Come giocano i bambini di oggi e come giocavano quelli di una volta? Prima di tutto, giocare è un’attività innata nell’uomo. Sappiamo tutti che anche i bimbi di pochi mesi sanno giocare, senza bisogno di insegnarglielo. La domanda è che cosa succede con i bambini di oggi. Sviluppano queste loro capacità? Le nutrono in gruppo, come hanno fatto per secoli i nostri antenati (e noi stessi), oppure si “perdono” davanti agli schermi della tv e del computer? Sono veramente spariti i tempi quando i bambini giocavano tranquillamente in cortile, e rincasavano solo la sera, quando le mamme li chiamavano per la cena? Sull’argomento mi sono ritrovata tra le mani il libro di Giuseppe Sabalich “Giuochi popolari zaratini”, scritto a Zara nell’inverno del 1917.
Storico, narratore, poeta, scrittore di teatro, Giuseppe Sabalich è l’autore più prolifico in lingua italiana a Zara tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Nacque nella città dalmata da Giuseppe Sabalich e Rosa Vukovich, il 13 febbraio 1856, anno in cui la famiglia si trasferì a Venezia, dove visse fino al 1866, quando ritornò per sempre a Zara. Il giovane Sabalich non dimenticò Venezia e spesso vi tornò in visita, fino a quando, ammalatosi di agorafobia e talassofobia, non riuscì più a viaggiare. A Zara diventò famoso più per le sue fobie che come brillante letterato. Dedicò la sua vita professionale allo studio della storia della sua città natale, dove morì il 13 settembre 1928.
Sabalich iniziò a occuparsi di letteratura nel 1872, a sedici anni, quando curò al ginnasio il giornale “Tra noi”. In seguito, dopo il ritorno dagli studi di diritto compiuti a Graz, collaborò con la rivista letteraria zaratina “La Palestra” e diede vita ai periodici “Scintille” (1886) e “Cronaca Dalmatica” (1888), pubblicando racconti, bozzetti, commedie, monologhi teatrali e poesie, specialmente quelle in dialetto zaratino. Inoltre, scrisse per un centinaio di altre testate, sempre in contatto con gli intelletuali italiani, da parte dei quali era stimato e noto per la sua attività letteraria.
La sua passione per la storia, in primis quella di Zara, città di cui era innamorato, emerge fin dalle sue prime opere. Tra queste, “La Cronistoria Aneddotica del Teatro Nobile di Zara” (1781-1881), “Guida archeologica di Zara con illustrazioni araldiche”, “Sotto San Marco”, “Civiltà latina in Dalmazia”, “La Dalmazia nei commerci della Serenissima”, “Monografie storiche zaratine”, “Le miniature antiche di Zara”.
Sabalich studiò pure il folclore zaratino e potrebbe essere definito anche un dialettologo, dati gli studi da lui condotti sul dialetto zaratino, sui proverbi e sui giochi praticati nella regione, il tutto trattato nelle opere “Giouchi popolari zaratini” e “Tradizioni popolari zaratine”. Da citare alcune delle sue opere teatrali: “Le simpatie di Gemma”, “Monologhi e scene”, “Tra i due litiganti il terzo perde”, “Il mercato”, “Le fritole“, “La bela Nene”, “La comare”, “Cuor di bambini”, che furono rappresentati in varie città. Al pubblico italiano fu noto anche per i suoi componimenti prosaistici e poetici, soprattutto dedicati a Venezia. Pubblicò, inoltre, cinque raccolte di poesie, alle quali si aggiungono numerose canzoni uscite singolarmente, come “El ‘sì’”, che divenne quasi l’inno degli italiani in Dalmazia.
All’inizio della sua carriera letteraria pubblicò la raccolta di racconti “Profili”, dedicata agli studenti dalmati a Graz, poi una serie di bozzetti e racconti pubblicati in varie riviste, di cui la maggior parte in “Cronache bizantine”, diretto da Giosuè Carducci. La critica giudicò positivamente anche la raccolta “Chiacchiere veneziane”, ispirata al soggiorno dell’autore a Venezia nel 1887, durante l’Esposizione artistica mondiale. Numerosi furono anche i suoi studi nel campo della letteratura storica. Il tutto a consacrare Sabalich a scrittore più fecondo di Zara nel periodo precedente la Prima guerra mondiale.
Questo piccolo gioiello si apre con le parole “Ai piccoli figli di Zara, che lieti folleggiano nei popolari trastulli, gentili schiere legate al mio affetto, con serena rispondenza dell’anima mia zaratina, dedico questa raccolta, sereno diletto d’infantili ricordi e laborioso conforto di studi senili”. Lo stesso Sabalich, nella sua esauriente Prefazione, rileva di essersi premurato di raccogliere “tutti quei guochi, passatempi o trastulli che si usano a Zara dai bambini, dai ragazzi e dagli adulti, nelle famiglie o all’aria aperta; sui piazzali e nei pubblici giardini, nei cortili o nei campieli, durante i bei giorni di sole o nelle uggiose sere d’inverno; nelle sagre, feste nuziali, nelle veglie funebri o negli onomastici, nelle festicciuole di Carnevale, a Natale, a Pasqua, dovunque, insomma, è raccolta gente spensierata, gioventù chiassosa, dove ci sono bambini allegri e figliole gioviali” (p. XX). L’autore ha ritenuto utile aggiungere anche alcune varianti dello stesso gioco nelle diverse regioni (“paesi”, come dice lui) italiane. È bello, per esempio, che ci faccia ricordare che “sega-botega” (nel quale i fanciulli si avvolgono sulle mani del filo ripigliandolo in varie figure l’un dall’altro), gioco comunissimo ai fanciulli di quei tempi – il ripiglino di quelli d’Italia – è anche un passatempo presso gli Eschimesi, a conferma che tutti i giochi hanno un’origine unica e non sono altro che un patrimonio etnico universale.
Parlando del Medioevo e dei giochi degli adulti, Sabalich dice che dalle facezie e dalle burle di quell’epoca derivano anche molti giochi zaratini, i più piccanti passatempi, da quello della berlina a quello del raccontare, o inventare storielle, motti ambigui, burle smodate, in penitenza per sbagli di giochi “nelle veglie o nelle cene di tali riunioni allegre, dove ci sono, in ispecialità, accolte di donne”.
Discutendo del linguaggio infantile, l’autore spiega che bisogna ricorrere alle madri per ottenere la chiave di certi significati, perché ogni famiglia aveva un piccolo dizionario d’uso domestico, bambinesco. Comunque, dice lui, a Zara il chechè è il caffè, il brum brum è il da bere, la gnagne è la zia, la bua (bue o bube) è il male, le pepè son le scarpettine, il pepèlo è il cappello e tatà è l’andare a spasso, il cavallino è chiamato de-dè e bee l’agnellina, il cane si denota con il ciò-ciò, il diavolo con il baubau, la caca è la lordura, bà è il bacio e il bebelo è la cosa bella. Essendo l’onomatopea e la sinonimia le figure più usate negli sherzi materni e nelle ninne-nanne, l’autore ci fa notare che lo schioppo fa pum, la trombetta fa tù-tù, la campana fa don-don, il campanello din-din. Bau-sete (spauricchio) è a Zara il far capolino allo scopo non di impaurire i bimbi ma di farli ridere, ecc.
Il primo gioco offertoci è “Man morta”. Si prende al polso il braccino del bimbo in modo che la sua mano resti cionca, poi leggermente dimenandogli il braccio si ripete più volte il primo verso della cantilena. Quando la manina non offre più resistenza, gli si dicono gli altri tre versi e dicendo l’ultimo si fa che la manina del bimbo gli percuota leggermente il viso: “Man morta, man morta,/Bati su la porta,/Bati sul porton:/Daghe al…*) un s-ciafon!/*)” si nomina il bambino con cui si fa il gioco.
Un altro scherzo materno si esegue tenendo il bambino sulle ginocchia, facendolo saltellare dolcemente con queste parole: “Tu tu, tu tu, cavalo,/la mama vien dal balo,/co le tetine piene,/per darle al suo putin./El putin non le vol/A la mama le ghe dol…”. “Bozzolo, tondolo” è la frottola preferita che i bambini cantano tenenedosi per mano e girando in un circolo. All’ultima parola si accovacciano tutti per poi rialzarsi e ripetere il gioco: “Bozzolo, tondolo, canarin,/deghe da bever al fantolin,/deghene poco, deghene assai,/per l’amor de i profetai;/profetai xe andadi in guerra/tuti quanti col cul per tera!” (In qualche variante di Zara, come in quella di Venezia c’è: “Per l’amor de i s-ciopetai”).
Sabalich ci tiene a spiegare che alcuni vorrebbero derivare questi versi da schipetari, che erano i soldati della Serenissima tolti dall’Albania. Dopo aver citato le versioni di Curzola, Venezia, Toscana, Pomigliano d’Arco, Sicilia, Napoli, Garfagnana Estense, l’autore ci dà anche questa versione per l’Istria, raccolta dal Luciani (“Tradizioni popolari albonesi”): “Guzza, guzza, cortelin,/Dâme una feta de persutin;/Dâmene poco, dâmene assai,/Per amor dei podestai;/I podestai xe andadi in guera,/Per amor de Baldissera;/Baldissera à fatto un falo,/El xe cascà zò de cavalo,/E ‘l xe andà col cul per tera,/Viva viva Baldissera!”.
La lista dei giochi infantili e fanciulleschi che Sabalich ci riporta e spiega dettagliatamente è lunghissima. Tra questi “Siora mare granda”, “Doman xe domenega”, “L’ucelin che vien dal mare”, “La cariola”, “Ai quatro cantoni”, “A cafè-e-late”, “A chi ride prima”, “Al zogo del perché”, “A ciribiribì”, “A le bocie”, “El gato e el sorzo”, “A rebatin”, “A i quatro pugni”…
Nell’ultimo capitolo, dedicato ai giochi degli adulti, l’autore afferma che se si tolgono i giochi delle “bocie e degli zoni “(birilli) gli zaratini preferiscono il gioco delle carte. Aggiunge anche che “se in birraria egli questiona più volentieri di quello che non giuchi, al giuoco preferisce el goto e, se occorre, il canto e il ballo”. Comunque, alcuni dei giochi descritti sono “A panfil”, “A briscola”, “A tombolon”, “A tressette”, “A tombola co le carte”, “A ’l domino, co le carte”, ecc. Riteneva fosse curioso ricordare i proverbi che si potevano leggere sui mazzi di carte fabbricati a Trieste e a Venezia, tra cui: “La spada corregge/Chi offende la legge./Una coppa di buon vin/Fa coraggio, fa morbin./Son gli amici molto rari,/Quando mancano i danari./Molte volte le giuocate/Van finire a bastonate.”
È veramente incredibile la quantità del lavoro di ricerca e documentazione svolto da Giuseppe Sabalich e i libri a cui fa riferimento in questo suo saggio tanto esauriente quanto affascinante. La speranza è che possano essere uno spunto anche per altri studiosi che, come dice lui “vorranno continuare l’opera mia con più larghezza di studi”. Infatti, non sarebbe bello se ci fosse un altro Giuseppe Sabalich anche oggi, che potesse accingersi a una simile impresa e pubblicare un altro libro di giochi popolari cent’anni dopo?
Ana Maroević
“la Voce del Popolo” 26 giugno 2013