LETTERE
Ho letto l’editoriale del direttore Possamai con alcune considerazioni sulla presenza dei tre presidenti al concerto previsto a Trieste e si allinea con altri nel proporre l’omaggio al Balkan e propone il non-omaggio alla foiba di Basovizza. «Chi è davvero forte delle proprie opinioni, non teme di ammettere pure i propri torti». A proposito dei propri torti, ricordati dal direttore Possamai, sarebbe illuminante sapere come la Slovenia ricorda e onora il «Marburger Blutsonntag».
Maribor fino al 1918 si chiamava Marburg an der Drau e secondo il censimento austriaco del 1910 l’80% della cittadinanza dichiarò come lingua d’uso il tedesco. Alla fine della guerra Marburgo fu contesa tra il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni e la Prima Repubblica Austriaca. Nel novembre 1918, l’ex maggiore austriaco di etnia slovena Rudolf Maister occupò la città, sciolse la giunta cittadina e proclamò l’annessione di Marburgo e di tutta la Bassa Stiria al neonato stato jugoslavo. Il 27 gennaio 1919, mentre la popolazione attendeva nella piazza principale l’arrivo di una delegazione americana che aveva l’incarico di verificare la situazione etnica per le successive trattative di pace, le truppe slovene al comando di Maister chiusero gli accessi alla piazza e aprirono il fuoco, causando 13 morti e oltre 60 feriti tra i civili.
La giornata viene ricordata dalle fonti tedesche come Marburger Blutsonntag (La domenica di sangue di Marburgo). Le fonti slovene tendono a rovesciare la responsabilità sui germanofoni, affermando che ci fu un attacco dei dimostranti contro le truppe slovene, le quali però non lamentano morti o feriti… Siccome la Slovenia onora Rudolf Maister (il responsabile della strage) dedicandogli il giorno 23 novembre (dan Rudolfa Maistra) quali sono gli altri meriti del Maister, evidentemente compensativi della strage (13 morti e 60 feriti)? E infine cosa sanno oggi i giovani di Maribor di questo tragico avvenimento accaduto nella loro città ben 91 anni addietro?
È importante che soprattutto i giovani siano compiutamente e correttamente informati, concetto ribadito per esempio, quando si ricordano le violenze fasciste di 90 anni fa. Basterebbe inviare un giornalista a Maribor e verificare se nella piazza in questione esiste almeno una targa a ricordo della sparatoria e chiedere a qualche giovane di passaggio cosa conosce dell’avvenimento ed essendo in zona sentire anche la versione austriaca, per avere una completa visione storica. Dalle risposte ottenute si potrebbe verificare se la «controparte» è arrivata solo seconda a riconoscere gli errori propri, come suggerito dal direttore Possamai. C’è il rischio però che la «controparte», invece di arrivare seconda, forte delle proprie opinioni, non arrivi per niente. Quindi la scelta di arrivare primi si trasforma «ipso facto» in un atteggiamento di cupidigia di servilismo, di solito disprezzato dallo stesso beneficiario. Ricordare, e non ignorare, certi fatti non può mettere in imbarazzo nessuno.
Flavio Gori