Il decollo del porto di Trieste, come scalo continentale di grande rilevanza, si realizzò proprio mentre tutti gli altri stavano soffrendo una fase di sensibile contrazione a causa della guerre innescate prima dalla Rivoluzione francese e poi da quelle napoleoniche. Fino a quel momento, Trieste era vissuta principalmente sul cabotaggio adriatico e grazie ai traffici con l’Impero ottomano. Non è detto, quindi, che le guerre portino sempre disgrazie, almeno in certe condizioni. E la fortuna continuò pure negli anni della Restaurazione, malgrado le epidemie e la guerra russo-turca e la rivoluzione nazionale greca, quando Trieste era l’unica porta meridionale dei mercati centro-europei. Siamo ancora in una fase premoderna, dove le ferrovie non sono ancora tracciate e la navigazione a vapore stenta a prendere piede per lo scetticismo che l’accompagna nel mondo della marineria tradizionale.
Lo storico Almerigo Apollonio ripercorre quella importante pagina di storia economica e dei traffici marittimi in una ricerca ricca di informazioni e spunti, non a caso intitolata “La ripresa economica dopo il ritorno degli Asburgo e i suoi protagonisti (1814-1840)”, pubblicata recentemente dalla Deputazione di Storia Patria per la Venezia Giulia (pagg. 322, euro 40,00). Quei trent’anni rappresentarono la rifondazione dell’economia triestina che però non coincise con efficace politica economica austriaca, eppure Trieste trovò l’inventiva di procedere da sola, rinunciando all’assistenzialismo finanziario, quello che atrofizzò troppo presto il Lloyd Austriaco. Fonte inesauribile di notizie di ogni genere sono i verbali della Deputazione di Borsa, il vero e proprio cervello e braccio della Trieste di allora: il ponte di comando di una città che non conosceva ancora la politica per gestire il presente, ma si affidava alle opportunità economiche e al fiuto degli affari di un élite molto determinata nello sfruttare una posizione di preminenza e quindi dotata di una certa spregiudicatezza. Si era disposti a tutto pur di difendere naviglio e carichi, davanti alle minacce dei corsari magrebini e greci che si spingeva fino alle coste istriane, anche di mutare bandiera se si riteneva più sicuro veleggiare sotto le insegne russe piuttosto che inglesi.
Non c’è grande letteratura sull’argomento, come gli studi di Fulvio Babudieri, o meglio quella particolare stagione non è stata scandagliata ed è caduta un po’ nell’ombra, quando invece l’interesse storico si è spostato sugli esiti della seconda metà del XIX secolo, ma in quel periodo nacquero, non a caso, le Assicurazioni Generali e il Lloyd Austriaco, non come eccezioni ma conseguenti alla necessità di dotarsi di strumenti per rafforzare ulteriormente un primato già colto in quella occasione. E certamente agli uomini di quel tempo non mancavano genialità e determinazione, trasformando il porto di Trieste da approdo dei traffici adriatici, soprattutto con Venezia e Ancona, in uno scalo che operava quasi esclusivamente nella dimensione del transito internazionale. Bisognava rifornire l’Europa del grano russo? Nessun problema, i legni triestini e dalmati facevano spola con il Mar Nero e poi i carichi prendevano da Trieste le vie fluviali, il Po, i Navigli, il Ticino. E quando non c’erano fiumi e canali, allora si riusciva ad ottenere l’apertura di nuove strada a scavalcare le Alpi, mentre già allora non era difficile scorgere nei porti brasiliani qualche nave triestina. Quanta esperienza si potrebbe ancora trarre da quella storia, a valere anche per presente.
Probabilmente quella era la vera Trieste del xe pol! Spesso le valutazioni dei traffici sono state affidate all’esame delle aride Tafeln (Tabelle) ma non hanno preso in esame i livelli decisionali che invece intervenivano proprio in seno alla Deputazione di Borsa, quelli messi in atto dai vari Sartorio, Falkner, d’Ottavio Fontana, Premuda, Gopcevich, Parente, Revoltella, Hagenauer, Loehly, de Crampagna, Brambilla, Gattorno, Chiozza, Lutteroth, Hartmann, un’eccezionale quadro pluralista di nazioni e religioni, un po’ dimenticato: furono costoro gli artefici della Trieste moderna che seppe poi resistere a vent’anni di depressione per poi decollare con gli anni settanta del XIX secolo. Ma su tutti quel triestino Reyer, rispettato da von Bruck ed ascoltato da Metternich al punto da convincerlo dell’opportunità di inserire la navigazione a vapore– quella introdotta a Trieste dall’inglese William Morgan – e le linee dei veloci packet-boats nella sfera degli interessi dello stato austriaco. Mancò, invece, la quadratura del cerchio, quella ferrovia largamente caldeggiata dall’élite economica triestina, che giunse con un ritardo di dieci anni solo per le titubanze di Vienna, la modesta propensione industriale austriaca e per altri interessi che preferirono privilegiare i collegamenti con i porti tedeschi.
E poi, una volta realizzata la Meridionale, avulsa però dalle infrastrutture padane, finì nelle mani dei Rothschild che la trascurarono per fini speculativi. Se fosse giunta per tempo, la città sarebbe stata in grado di creare qui un sistema integrato simile a quello realizzato tra Genova e il Lombardo Veneto. Sulla spinta di allora, Trieste visse di un lungo abbrivio, cogliendo per un attimo il suo vero destino portuale; infatti scrive a proposito Apollonio: «Quanto accadde con il crollo dell’impero fu quindi soltanto la conseguenza dell’aver deviato da una vocazione internazionale e non strettamente mitteleuropea, vocazione vanamente ripresa da personaggi discendenti dagli antichi capitani quarnerini, come i Cosulich, nei primi decenni del Novecento, ma brillantemente perseguita su scala mondiale soltanto dagli imprenditori triestini del ramo assicurativo».
Roberto Spazzali
“Il Piccolo” 10 aprile 2012