Nato a Buie nel 1948, deputato al Sabor croato per due mandati, membro del Gruppo di esperti per i confini della Repubblica di Croazia e componente della Commissione mista croato-italiano-slovena per l’attuazione dell’Accordo di Udine, Drago Kraljević è stato ambasciatore croato a Roma dalla fine del dicembre 2000 all’ottobre 2005.
Ha pubblicato oltre 400 saggi, articoli e contributi sulle relazioni croato-italiane e croato-slovene, sull’avvicinamento della Croazia all’UE, sulla democrazia locale e regionale, sulle minoranze e sui diritti dell’uomo. Nel 2009, per i tipi della casa editrice Adamić, ha pubblicato “Italija, naš najveći i namoćniji prijatelj” (L’Italia, il nostro maggiore e più potente amico) e nel 2011 “Istranin u Rimu”, con la Naklada Kvarner, ora uscito in italiano nella Collana dell’EDIT A porte aperte. Kraljević ci racconta la sua esperienza “romana” e parla della sua visione dell’Europa odierna.
Come nasce la versione italiana del suo ultimo libro e la collaborazione con l’EDIT?
“L’idea è venuta subito dopo la prima edizione del libro. Ricordo che in una delle presentazioni, tenutasi se non sbaglio due anni fa al Centro europeo di Zagabria, l’ex ambasciatore d’Italia in Croazia, Alessandro Pignatti Morano di Custoza, dichiarò che sarebbe stato bello se il libro fosse stato tradotto in italiano. Ne parlai con il direttore dell’EDIT, Silvio Forza, che mi informò dell’esistenza di una Collana speciale, chiamata ‘A porte aperte’, dedicata proprio a personalità della maggioranza che hanno scritto libri sui rapporti italo-croati. Poco dopo constatammo che si trattava di una buona idea, e che ‘Un istriano a Roma’, considerando la tematica di cui tratta, meritava di essere tradotto in italiano. Sono estremamente felice ed onorato del fatto che l’EDIT lo abbia tradotto, inserendolo come terzo libro, subito dietro a Miroslav. Krleža, nella sua Collana ‘A porte aperte’”.
Com’è stato, dunque, il suo periodo romano? Quale incontro istituzionale ricorda con maggior piacere?
“È difficile sceglierne uno, sono stati veramente tanti. Mi soffermerò su due. Il primo è stato la consegna delle credenziali al presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi. Alla fine del 1999, prima della vittoria alle elezioni della coalizione di centro sinistra, la Croazia aveva evitato le sanzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per un pelo, il che determinò per il nostro Paese l’isolamento internazionale, e io non sapevo quale clima mi aspettasse a Roma. Una volta arrivato andai ad incontrare il presidente Ciampi, e invece dei consueti cinque minuti, quanto secondo il protocollo avrebbe dovuto durare, l’incontro istituzionale si protrasse per mezz’ora. Già questo fatto mi fece capire il messaggio che Ciampi voleva trasmettere al Governo croato, e a me personalmente diede molto coraggio per il mio lavoro futuro. Poi Ciampi venne in Croazia, un appuntamento storico in quanto per la prima volta due presidenti fecero visita alla minoranza italiana di Fiume, Rovigno e Pola. Sono molto soddisfatto che ciò sia avvenuto durante il mio mandato”.
Che idea avevano gli italiani della Croazia al momento del suo insediamento?
“Trovo difficoltà a parlare in generale, dirò qual è stata la prima valutazione pubblica fatta di me, appena arrivato a Roma, da parte di un’importante media che segue regolarmente le partenze e gli arrivi dei nuovi ambasciatori. Citerò ciò che trasmesse in quell’occasione Il Velino Diplomatico – Agenzia Nazionale Quotidiana di politica, economia e cultura: ‘Un Istriano quale ambasciatore croato a Roma, conclusa l’era di Rudolf. Il nuovo ambasciatore croato a Roma, Istriano, ha 53 anni, parla perfettamente l’italiano. Drago Kraljević è già in Italia e assumerà ufficialmente l’incarico non appena avrà consegnato le credenziali nel palazzo presidenziale del Quirinale, entro l’inizio di febbraio. Con lui, deputato socialdemocratico al Parlamento croato, si chiude ufficialmente il periodo di Davorin Rudolf, che per sette anni è stato il rappresentante di Tuđman, in una stagione burrascosa dei rapporti bilaterali. Picula ha atteso con pazienza che Rudolf, che peraltro ha già maturato l’età per la pensione, tornasse in patria, per affidare l’importante posto a Roma al fedele seguace del premier Ivica Račan. Già il fatto stesso di aver scelto un Istriano appare come una chiara indicazione della volontà della maggioranza, che un anno fa è subentrata all’HDZ del defunto Tuđman, di seppellire i malintesi del passato. Da Zagabria, che tende all’Unione europea, a nuovi rapporti di buon vicinato e alla solidarietà adriatica, a Roma arriva una persona di sicura affidabilità’”.
Quant’è importante oggi l’Italia per la Croazia e viceversa?
“Quando arrivai a Roma verso la fine del 2000 lo scambio commerciale tra i due Paesi era di circa 2 miliardi di dollari. Dopo il rientro in Croazia arrivò a toccare oltre 4,8 miliardi di dollari. Per non parlare della presenza delle banche italiane nel sistema bancario croato, delle tante società, centri commerciali nati in Croazia grazie a investimenti di imprenditori italiani. Tutto questo dimostra che oggi in Croazia è difficile pensare a investimenti stranieri o all’apertura di nuovi posti di lavoro senza la partecipazione dell’imprenditoria italiana e del capitale italiano”.
“Tuttavia, quando si tratta di rapporti tra Italia e Croazia, non si può ridurre il tutto all’aspetto economico. In Croazia vive l’unica minoranza autoctona italiana nel mondo. Ci sono inoltre secoli di storia e di tradizioni in comune che, nonostante i traumi del passato, nello stesso tempo ci legano attraverso la cultura, la moda, il commercio, l’Adriatico… Per questo non sorprende che soprattutto le iniziative regionali, quali la Adriatico Ionica, la Centro-europea, la Quadrilaterale e altre, dipendano in grande misura dai rapporti italo-croati”.
Come vede l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea? Quale ruolo potrebbe svolgere il Paese nello scacchiere europeo?
“L’ingresso della Croazia quale nuovo membro UE è arrivata nel momento in cui la maggior parte dei cittadini europei, e sono quasi 500 milioni di persone, è preoccupata per il futuro, sta vivendo una difficile crisi economica e d’identità, la maggiore dalla sua costituzione. È giunto il momento di riflettere, all’interno dell’Unione, in quale modo questa possa convincere, soprattutto i nuovi membri, di possedere la forza necessaria per assicurare stabilità, sviluppo e democrazia. Il nostro cammino verso l’UE non è stato semplice.
Alcuni, invece di aiutare le nostre ambizioni, hanno spesso frenato e rinviato la nostra entrata. La Francia, ad esempio, ha cercato di rallentare al massimo questo processo, da una parte anche per ridurre l’immigrazione incontrollata dall’Est, ma dall’altra per non assecondare l’Italia e la Germania, che al contrario sostenevano la nostra entrata. Poi la Slovenia ha fatto tutto ciò che poteva per non aiutarci nelle nostre ambizioni.
I Paesi Bassi hanno sempre posto la condizione della cooperazione con il Tribunale Penale Internazionale. La Germania, a cui va il merito più grande per il nostro riconoscimento internazionale, ha ratificato per ultima, e non per caso, il Trattato di adesione. Oggi la maggior parte dei cittadini croati ancora non vede nell’Unione una garanzia per lo sviluppo economico e personale”.
Sapremo sfruttare il nuovo ruolo?
“L’introduzione del capitalismo in Croazia, 22 anni fa, nel modo in cui è avvenuta, attraverso la ‘conversione’ e la ‘privatizzazione’, con la diffusione della corruzione e della criminalità organizzata, ha gravemente delegittimato e compromesso non solo il mercato, ma anche la democrazia, creando così un modello di ‘capitalismo selvaggio’, che difficilmente si adatterà al sistema dell’UE. Allo stesso tempo l’Unione ci dà la possibilità di divenire un’importante realtà nella nostra regione, dal turismo all’agricoltura, ai trasporti, all’energia, alle nuove tecnologie. L’unico interrogativo è se sapremo e saremo in grado di sfruttare tutto ciò”.
Tanti analisti politici parlano di un’Europa in crisi di identità, del rischio serio di fine del progetto europeo. È davvero cosi?
“I problemi odierni dell’Unione, che si manifestano innanzitutto nella mancanza di processi democratici e nella non efficace soluzione della crisi politica ed economica, mi fanno pensare ai problemi dell’ex Jugoslavia, ai tempi in cui non si era riusciti a raggiungere un accordo su temi fondamentali per lo sviluppo, che poi alla fine portò al crollo dello Stato. Da una ricerca uscita su ‘Pew Institut’ emerge che la fiducia di quasi tutti i cittadini europei, ad eccezione dei Tedeschi, nelle istituzioni dell’Unione è in serio calo”.
“Molti si chiedono quali opzioni politiche si rafforzeranno e quali invece si indeboliranno, si chiedono se sopravviveranno gli euro-ottimisti o gli euroscettici. Questa preoccupazione non è casuale. Molti già adesso risentono sui propri salari il grande peso del potente TRIO formato da Banca Centrale Europea, Commissione UE e FMI. Uno degli effetti della crisi è rappresentato dall’emergere di nuove divisioni all’interno dell’Unione. Non si tratta più della divisione tra Oriente e Occidente, ma della divisione tra gli Stati dell’Eurozona e quelli che non ne fanno parte.
Una seconda grande divisione, che sta crescendo sempre più, è rappresentata tra quelli che sono i debitori e quelli che sono i creditori. Non so come andrà a finire questa storia. L’UE non può continuare a svilupparsi soltanto sull’euro e sul rafforzamento dei centri finanziari di potere. L’UE deve fondarsi, se vuole sopravvivere e svilupparsi, sulle politiche concordate e di qualità degli Stati sovrani, che delegheranno a livello europeo le misure da intraprendere. Oggi, guardando ad alcuni sondaggi, i cittadini tedeschi hanno fiducia nell’UE perché in realtà ripongono grande fiducia nella cancelliera Angela Merkel. In molti altri Stati membri, i cittadini non hanno fiducia nei propri politici ed allora pensano che l’UE sia meglio, sia un qualcosa che sia in grado di risolvere i loro problemi”.
“Accanto a tanti altri problemi, ce ne sono due cruciali con i quali l’UE deve fare seriamente i conti. Cosa succederà con lo Stato sociale nel contesto del capitalismo neoliberale e con la sempre più forte concorrenza che domina il modo, rappresentata da Cina, India, Giappone, Brasile? Come fronteggerà l’UE il problema dell’invecchiamento della popolazione? Chi finanzierà questo aspetto della politica sociale, che sarà sempre più caro visto che la maggior parte dei Paesi membri sta entrando in un indebitamento sempre più profondo? Presto si dovranno fare i conti con queste e altre questioni”.
Secondo lei la Croazia doveva entrare nell’UE prima del 2013?
“Il 24 febbraio 2004, dopo preparativi piuttosto lunghi tenni nella sede della Stampa estera a Roma un seminario dedicato alle nostre ambizioni relative all’entrata nell’UE. Quel giorno nella sala gremita in ogni ordine di posti si è presentò un gran numero di funzionari italiani: il ministro per i rapporti con il Parlamento, Carlo Giovanardi, il vicepresidente della Commissione per la politica estera della Camera ed ex sottosegretario di Stato del MAE nel Governo di centrosinistra, Umberto Ranieri, il direttore generale della Direzione del MAE italiano per i Paesi d’Europa, Paolo Pucci di Benisichi, il senatore Milos Budin, una ventina di ambasciatori, giornalisti croati e italiani, associazioni croate e altri ospiti di spicco.
L’obiettivo di fondo della mia relazione era presentare ciò che la Croazia era riuscita a conseguire dopo i cambiamenti democratici del 2000 nel suo percorso verso l’UE. Illustrai in particolare i dati comparativi della Croazia con i 10 Paesi che nel 2004 dovevano essere accolti a pieno titolo nell’UE. Ciò che suscitò particolare attenzione fu un dato dal quale si poteva evincere che la Croazia era pronta circa il 25% in più della media dei dieci per l’ingresso nell’UE. Il nostro Paese, stando ai vigenti criteri dell’UE, era allora molto più pronto all’ingresso di molti altri candidati, quando ancora nessuno parlava della Romania e Bulgaria. Ancora oggi sono fermamente convinto che l’Unione Europea abbia allora commesso un grave errore non accettando all’epoca la Croazia fra i Paesi membri assieme agli altri dieci Stati”.
Il Paese attraversa un periodo di pesante crisi. Se la situazione politica, economica e sociale dovesse rimanere quella attuale, come vede il futuro di un giovane universitario o di un giovane lavoratore? Quale consiglio si sentirebbe di dargli?
“Se la situazione politica, economica e sociale dovesse continuare a basarsi sul modello esistente del capitalismo ‘selvaggio’, consiglierei ai giovani di cercare la felicità altrove. Non voglio credere però che in Croazia non sia possibile un capovolgimento nel modo di riflettere e di agire, di abbandonare questo modello che si basa su un tipo di cultura ‘predatoria’, che genera autoritarismo, arroganza e fa regredire la nostra società. Conto soprattutto sui giovani che vogliono costruire il proprio futuro su valori quali il lavoro, la creatività e l’onestà, e non su ‘valori’ che da 20 anni ci vengono imposti dal capitalismo selvaggio che ha distrutto parte del nostro presente e futuro”.
Minoranze nazionali: quali cambiamenti possono avvenire dopo l’ingresso nell’UE? Quali le sfide che, a suo avviso, si pongono per la Comunità nazionale italiana in Croazia e Slovenia?
“Per quello che riguarda le minoranze, mi aspetto che la cornice costituzionale rimanga più o meno così come è adesso. La cornice, lo ribadisco, è buona. Penso alla Costituzione, alla Legge costituzionale sulle minoranze, agli statuti delle regioni, delle città e comuni, che in generale hanno regolato bene questa questione. L’UE poi auspica trattati bilaterali tra gli Stati sulle minoranze, come ad esempio quello tra Croazia e Italia. Con l’entrata della Croazia nell’UE si forma, secondo me, un clima più propizio per l’implementazione di tutto ciò che riguarda le minoranze, visto che il Paese ha assunto l’acquis communautaire, l’insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli stati membri dell’UE.
L’abolizione della frontiera sul Dragogna, spero presto anche Schengen, avrà effetti molto favorevoli per la minoranza italiana in Croazia e Slovenia. Purtroppo i traumi della guerra in alcuni segmenti della società, ad esempio Vukovar, creeranno ancora per molto tempo ostacoli alla piena realizzazione dei diritti previsti dalla Costituzione per alcune minoranze in Croazia”.
Tornerà in diplomazia o continuerà a scrivere?
“Non credo che tornerò attivamente nel campo diplomatico e, per quanto riguarda i libri, ho alcuni piani. Staremo a vedere se si realizzeranno”.
Marin Rogić
“la Voce del Popolo” 16 ottobre 2013