Giovedì 18 luglio sarà in concerto a Prato con il suo omaggio a Sergio Endrigo, all’anfiteatro Pecci.
Com’è nato il progetto?
«Ho avuto l’onore di poter incidere un duetto nel mio primo album “Fabbricante di canzoni” con Sergio Endrigo dal titolo “Questo è amore”. Sono sempre stato legato alla sua figura di artista e di uomo, mi rivedo molto nella sua poliedricità, nel suo cambiare sempre pelle. Una sera a cena scherzando mi proposero di mettere su questo tributo: non presi sul serio subito la proposta, ma poi capii la reale importanza che questo progetto poteva avere e mi sono messo a studiare. Anche perché mi reputo più un narratore che un cantante».
Questo concerto ha debuttato a Fiesole l’anno scorso.
«Una serata straordinaria quella di Fiesole, il pubblico ha applaudito dal primo all’ultimo pezzo, abbiamo fatto quattro bis. Ciò vuol dire che questa musica continua ancora oggi ad emozionare. Ero accompagnato dall’orchestra de I nostri tempi di Firenze diretta da Edoardo Rosadini. Sono tutti ragazzi giovani appena usciti dal conservatorio e sono stati molti di loro a chiedere di poterci essere anche Prato: segno evidente che la musica di Endrigo piace anche agli orchestrali»
Cosa rende attuale oggi Sergio Endrigo?
«La potenza della melodia: abbiamo scelto un programma basato quasi esclusivamente sul suo repertorio anni ’60/’70 dove lui giocava e creava queste melodie stupende che sono arrivate fino ai giorni nostri. Tant’è che una canzone eterna come “Io che amo solo te” è una delle più eseguite ancora nei pianobar (ride ndr)».
Vedi dei punti in comune tra te ed Endrigo?
«La cosa che più mi avvicina a lui è sicuramente la voglia di esplorare nuovi mondi. Anche il mio interesse per la causa degli esuli istriani, fiumani e dalmati, mi lega ad Endrigo. Lui era di Pola e scappò via dalla sua città a 14 anni a seguito dell’annessione dell’Istria alla Jugoslavia di Tito: questa storia sarà al centro dello spettacolo che farò a Prato, con un lungo monologo degli italiani dell’Istria, come Sergio Endrigo, come Laura Antonelli, come Ottavio Missoni, e sarà seguita da una canzone che ho scritto che si chiama “Magazzino 18”, dedicata a questo luogo che c’è a Trieste dove sono contenuti tutti gli oggetti di vita quotidiana di quelli che scappavano da quelle zone. Ci sarà quindi spazio per questo argomento, tra l’altro centro del mio nuovo spettacolo che debutterà ad Ottobre, proprio a Trieste. Ci sarà spazio per altre mie canzoni, anche del mio ultimo lavoro “Album di Famiglia” che si rifà moltissimo alla lezione di Sergio Endrigo, e alla grande canzone d’autore italiana. Sia nelle melodie, che negli arrangiamenti».
Un ricordo che hai di Sergio Endrigo
«Averlo conosciuto è stata una fortuna per me. Mi ricordo un uomo divertentissimo: veniva considerato un musone, soltanto perché con i media non aveva grande dimestichezza, ma era capace di farti piangere dalle risate raccontandoti una barzelletta e farti piangere d’emozione due minuti dopo. Un personalità straordinaria che s’incontra poche volte nella vita. Lui teneva tantissimo al nostro duetto: fino agli ultimi giorni della sua vita ha chiesto di essere informato su come andava la canzone, se era piaciuta.
Mi ricordo i suoi racconti sul Brasile, dove ha sempre avuto un grande successo: riempiva gli stadi, per intenderci, mentre in Italia era considerato uno dei tanti. ll coraggio di sfidare nuovi mercati, collaborando anche con artisti oltre oceano come Vinicius De Moraes o Josè Martì. La sua voglia di restare un artista libero, facendo anche collaborazioni coraggiose, come quella con Pasolini e Ungaretti, che hanno prestato i loro versi per le melodie di Sergio. La canzone che più mi lega a lui, che suonavo già durante i miei concerti è “Via Broletto 34”, una canzone splendida che racconta di un assassinio per amore».
Lorenzo Tempestini
www.pratosfera.com 17 luglio 2013
La locandina dello spettacolo sull’Esodo giuliano-dalmato che Cristicchi porterà in tour in Italia da ottobre. Il sottotitolo è “L’esodo di Italiani cancellati dalla Storia”, con testi scritti a quattro mani insieme a Jan Bernas, che con la collaborazione dell’ANVGD pubblicò il libro “Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani”