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Cristicchi: «La frase di Pahor l’avevo già tolta» – 22ott13

Il teatro, per Simone Cristicchi, è un luogo di magia, di emozioni. Ed è su questo terreno che ci narra lo spettacolo dedicato all’esodo e agli esuli istriani, “Magazzino 18”, che sta mettendo in scena con la regia di Antonio Calenda. Vorrebbe che l’ago della bilancia non fossero le polemiche accesesi, prima di andare in scena, per la frase di Boris Pahor sul rogo dell’Hotel Balkan, inizialmente inserita nel testo: «Piazza Oberdan era piena di gente che gridava in un alone di luce scarlatta. Tutta Trieste stava a guardare l’alta casa bianca, dove le fiamme divampavano a ogni finestra. Fiamme come lingue taglienti, come rosse bandiere. Gli uomini neri intanto gridavano e ballavano come indiani che, legata al palo la vittima, le avessero acceso sotto il fuoco»,

Musical civile scritto da Simone Cristicchi con Jan Bernas, “Magazzino 18” debutterà domani al Politeama Rossetti di Trieste in prima assoluta, alle 20.30, con l’Orchestra FVG Mitteleuropa diretta da Valter Sivilotti. Prodotto dal Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con Promo Music, verrà replicato fino al 27 ottobre, per iniziare poi il tour nazionale (sarà alla Sala Umberto di Roma dal 17 dicembre).

«Il testo ha subito continue modifiche e molti tagli, – dice Simone Cristicchi – e per fare questo abbiamo dovuto riassumere la parte storica, che è il punto focale dello spettacolo, senza la quale non si può poi parlare di Esodo. Racconto in una manciata di minuti quarant’anni di storia, dai primi del ‘900 fino al ’47. Cito in maniera molto telegrafica alcuni avvenimenti per dare un senso a quello che accadeva in queste terre in quel periodo. La parte di Boris Pahor sull’incendio dell’Hotel Balkan non aggiungeva niente, soprattutto a livello espressivo, a quello che io volevo dire. Quando l’abbiamo provata in scena, interrompeva il ritmo dello spettacolo e l’abbiamo tolta, al di là di chi è Pahor, che comunque è un personaggio che non mette d’accordo tutti. La bambina slovena che legge la poesia, invece, una delle scene più strazianti dello spettacolo, è importante. Ma non è uno spettacolo giustificazionista. E sarà lo stesso in tutta Italia, non ci sarà una versione diversa a Trieste».

Come ribatte alle polemiche di questi giorni?

«Mi è un po’ dispiaciuto che stia passando il fatto che io non sia un artista libero. Le persone pensano che io possa essere manipolato, che mi vengano messe in bocca delle cose che non voglio dire. Vorrei tranquillizzare tutti: quello che dirò nello spettacolo è mia responsabilità, quindi se la devono prendere con me, non con Budin o con Calenda Secondo me questa polemica rischia di offuscare la bellezza e l’impegno di tutti noi nel realizzare uno spettacolo che è un omaggio agli esuli. Non vuole essere nient’altro. Un omaggio alla memoria di un capitolo di storia sconosciuto nel resto del Paese».

Quali sensazioni ha provato entrando al Magazzino 18?

«La cosa che più mi ha colpito è l’aver visto la Ellis Island italiana. In realtà anche i manicomi sono così. A Roma a Santa Maria della Pietà, il più grande manicomio d’Europa, c’è la cosiddetta “fagotteria”, che è una stanza grandissima con le valige dei matti e tutti i loro effetti personali. E questa massa di oggetti sa proprio di un’identità strappata. Come dice Primo Levi, se a un uomo gli togli prima gli oggetti, poi la casa, gli affetti, gli tagli i capelli, gli levi i vestiti, alla fine rischierà di perdere anche se stesso. C’è un parallelo nello spettacolo, molto importante, tra il dolore dello sradicamento, cioè per le radici che vengono strappate, e il manicomio. Quanti padri istriani non ce l’hanno fatta a ricominciare e si sono uccisi da soli con l’alcol, quante madri si sono impiccate perché avevano nostalgia della propria terra e sapevano che non ci sarebbero mai più tornate? Quelle sono vittime di cui nessuno parla. Non rientrano nemmeno nello scontro politico. Non rientrano nel conto finale delle vittime, il tempo ha fatto sì che venissero dimenticate».

E il suo personaggio?

«È un archivista romano, Persichetti, inviato al Magazzino 18 dal Ministero dell’Interno per fare un grande inventario di tutto. Ma lui non conosce nulla, a lui sembra soltanto un trasloco. Ecco che diventa un personaggio buffo, quasi alla Alberto Sordi. È l’italiano medio che non si interessa di queste cose, però piano piano prende consapevolezza dell’importanza di questo tesoro nascosto e comincia a percepire che questo materiale scotta. Fino ad arrivare a una sua redenzione, a un cambiamento nella sua coscienza, ma non sveliamo il finale…».

Calenda l’ha definita un poeta.

«Per me è una linfa vitale, la poesia. In questo spettacolo sono arrivato a una maturazione grazie al lavoro fatto col maestro Calenda. Perché fino ad oggi io non posso dire di aver recitato nei miei spettacoli teatrali, forse ho solo narrato delle storie. Lui, invece, è riuscito a tirare fuori tutta la mia potenzialità. Ed è stato uno stupore anche per me. Spero di riuscire a fare bene, ho molta paura di emozionarmi».

di Maria Cristina Vilardo su Il Piccolo del 21 ottobre 2013

 

 

 

Simone Cristicchi al Teatro Rossetti di Trieste durante le prove di “Magazzino 18”

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