«Due anni fa attraversai il portone del Magazzino 18 al porto vecchio di Trieste e rimasi ossessionato dal silenzio che respirai là dentro, tra le masserizie degli esuli italiani in fuga dalla Jugoslavia dal 1947 in poi…». Simone Cristicchi si è aggirato in quel luogo della memoria tra letti e specchiere, armadi e giocattoli, valigie e fotografie, vite cristallizzate nel tempo, racchiuse in oggetti che ancora parlano di chi li possedette. È nato così il suo bisogno di far conoscere la storia più dimenticata d’Italia, il grande esodo dei 300mila istriani quando le loro terre furono cedute a Tito: Magazzino 18, che debutterà martedì al Teatro Rossetti di Trieste con la regia di Antonio Calenda, è un «musical civile», un’opera di «educazione alla memoria».
Come è nata l’idea in un cantautore romano, che nulla ha a che spartire con quei luoghi?
Ormai ho capito che in me tutto nasce dai silenzi. In passato mi avevano ispirato il manicomio, l’abbandono della miniera, e ancora il silenzio di mio nonno Rinaldo sulla guerra di Russia. Il Magazzino 18 di Trieste era ciò che Magris chiamerebbe un silenzio oltraggioso, una pagina di storia rimossa anche dai libri scolastici. Dovrebbero farne un museo aperto a tutti!
Da studente aveva studiato le foibe?
Quasi nulla. Ma a me ha interessato ciò che è successo dopo: i morti di esodo, gente che moriva di nostalgia, consumata come candele… Ci sono persone finite in manicomio a causa dello sradicamento. Quando poi mi è capitato di leggere un libro di Jan Bernas, che ha raccolto le testimonianze dirette sia degli esuli che dei “rimasti” in Jugoslavia, mi ha colpito tanto che gli ho proposto di realizzare questo testo teatrale insieme a me. Il risultato è uno spettacolo che ha la presunzione dell’equilibrio e l’intenzione di pacificare, dopo decenni di scontri ideologici.
Tra i tanti esuli e “rimasti” incontrati, chi si porta nel cuore?
Tanti. Una signora mi ha scritto una stupenda e-mail dagli Usa dopo aver ascoltato su YouTube la canzone Magazzino 18, e allora ho capito di aver scoperchiato una pentola enorme. Altri esuli mi hanno cercato da Argentina, Cile, Canada, Australia… E tra i “rimasti” ricordo una signora di Montona, in Istria, appena ha sentito che parlavo italiano non le pareva vero e anche a me sembrava di aver trovato un antico tesoro, sono tanto rari ormai. Suo marito era morto in foiba.
In un’Italia che censura chi non si omologa, non ha temuto di essere marchiato per la sua scelta?
L’ho messo in conto ma non mi tocca. Quando il pubblico vedrà lo spettacolo, capirà quanto lavoro c’è dietro e coglierà la magia del teatro, la potenza dell’orchestra, dei quaranta bambini coristi, di una scenografia imponente. A me importa dare emozioni al pubblico, non occuparmi di beghe ridicole.
La tounée girerà tutta Italia, ma non Milano o Roma…
Purtroppo ci sono piazze “caute”, vogliono prima vedere cosa succede altrove.
Il negazionismo sembra duro a morire. Perché a 70 anni dai fatti si ha ancora paura della verità?
Probabilmente perché esce il lato oscuro del comunismo nazionalista. A me danno fastidio i “contabili delle foibe”, trovo oltraggioso litigare su quanti morirono davvero in foiba e quanti affogati o nei campi di prigionia di Tito. Ieri si è proposto di estendere il disegno di legge contro il negazionismo dalla Shoà alle foibe e lo trovo giustissimo: non tolgo alcun merito alla lotta partigiana, nei cui valori credo, ma nemmeno è giusto santificare la Resistenza, perché ogni fatto storico ha pure un suo lato negativo. Anche gli italiani durante la guerra hanno compiuto i loro crimini e in Magazzino 18 ne parlo, ma nulla può giustificare ciò che poi avvenne.
Quale oggetto da quel Magazzino si sarebbe portato a casa, se avesse potuto?
Piero Del Bello, che custodisce quel patrimonio, in effetti me ne ha offerto uno e io ho scelto una sedia in legno tra centinaia che erano accatastate fino al soffitto come in un groviglio di ragni. Sotto c’è ancora attaccato il biglietto con il nome del proprietario, Ferdinando Biasiol, il “numero del collo”, la dicitura “servizio esodo”. È il marchio del dolore. Quella sedia verrà con me sul palcoscenico.
Cosa avviene in scena?
Interpreto io tutti i personaggi alternando prosa e musica. I protagonisti sono due, uno sprovveduto archivista romano spedito dal ministero degli Interni a redigere l’inventario di tutti quegli oggetti e lo Spirito delle masserizie, che narra le vicende umane. In dicembre porterò Magazzino 18 in Istria tra la minoranza italiana, reciterò per i “rimasti” di Pola, Fiume, Rovigno e Umago. Sarà un’emozione immensa, in quel momento sul palco salirà davvero la storia.
Lucia Bellaspiga su Avvenire del 21 ottbre 2013