Raggiunto l’obiettivo europeo, la Croazia ha ancora varie questioni da risolvere: la crisi economica, trovare il suo spazio politico dentro l’UE e sciogliere alcuni nodi interni al paese. Tra questi, il rispetto dei diritti della minoranza serba. Ne parliamo con Milorad Pupovac, deputato del Sabor e presidente del Consiglio serbo di Croazia.
Cosa pensa dell’ingresso della Croazia nell’Unione europea?
Grazie a questo obiettivo la Croazia ha terminato una parte della sua difficile strada in merito all’ordinamento del paese, all’assestamento economico, alla riforma di norme e leggi. L’ingresso della Croazia nel Consiglio d’Europa (1996), nella Nato (2009) e nell’UE sono stati strumenti per la realizzazione di importanti riforme. E dunque anche per lo sviluppo di nuovi rapporti tra i cittadini del paese e le sue diverse anime politiche. In questo senso è stato un processo positivo. Ma questi risultati devono essere mantenuti stabili anche in futuro. La Croazia ha raggiunto un primo obiettivo, ora deve continuare la costruzione del suo spazio all’interno dell’Unione europea.
Quali sono le prossime difficoltà che dovrà affrontare?
La Croazia non ha motivi per festeggiare, perché la situazione nel paese, così come nell’Unione, non ne offre il motivo. Abbiamo da affrontare la crisi economica ma anche le limitazioni poste dell’UE per com’è ora organizzata. Vi è poca solidarietà interna ed è messa in dubbio la pariteticità tra i membri. Il cittadino croato medio ha la sensazione di non vedere abbastanza rispettata la sua vita e non è sicuro quanto verrà aiutato dal suo paese e dall’Unione.
A parte la crisi economica, i cittadini croati temono che dentro l’UE saranno minoranza. La crisi europea è anche politica. L’UE deve riordinarsi, deve riformare le sue politiche. C’è bisogno di politiche che riconoscano pari diritti tra i membri, più solidarietà e che tengano maggiormente in conto le contraddizioni sociali che si sono create con l’aumento delle differenze di sviluppo nei diversi paesi dell’Unione.
Lei è anche presidente del Consiglio serbo di Croazia. Qual è la situazione di questa minoranza, la principale in Croazia?
Negli ultimi 8-9 anni è stato fatto molto dal punto di vista del diritto di tutte le minoranze, dunque anche di quella serba. Si è lavorato alla soluzione dei problemi dei profughi e del riconoscimento dei loro diritti, ma resta ancora molto da fare. Ad esempio, la non imparzialità nel trattamento dei processi per crimini di guerra e la revisione dei primi processi per crimini di guerra.
In Croazia vi sono ancora in essere 1.500 denunce a carico di serbi per crimini di guerra, e per lo stesso reato le condanne comminate a carico di serbi sono molto più elevate di quelle a carico di croati processati per crimini simili.
Vi è inoltre il mancato pagamento delle pensioni, nel periodo della guerra, agli anziani di nazionalità serba. Erano state infatti bloccate le transazioni finanziarie tra il governo centrale e la parte di territorio della Croazia che era sotto controllo delle Nazioni Unite e dei serbi. Quindi tra il 1991 e il 1997, ben 1.000 persone non hanno ricevuto la pensione. Mio padre è morto, era in pensione per il lavoro fatto prima della guerra e ciò che gli era dovuto relativo a quel periodo non l’ha mai ricevuto. E così mia madre, che aveva diritto a ricevere la pensione di suo marito alla sua morte.
Avete avviato una procedura legale su questo?
Sì. Con il sostegno di organizzazioni internazionali, l’Alto Commissariato per i profughi (Unhcr) e con l’UE. E di questo tema si è parlato in diversi incontri con rappresentanze del governo croato. Si riconosce che è un problema da risolvere, è stato inserito nel programma del governo come un’obbligazione a cui adempiere, ma siamo ancora molto lontano dalla soluzione effettiva.
Per quale motivo?
Innanzitutto per motivi politici e, oggi, anche per mancanza di fondi.
Quali altri problemi dovete affrontare, ad esempio a sostegno del rientro nelle loro case dei profughi e degli sfollati serbi?
Vi sono ancora problematiche relative alla restituzione degli appartamenti nelle città, sia delle proprietà private che degli immobili di cui avevano il diritto di residenza e che erano di proprietà statale prima della guerra. Si sono fatti grandi sforzi fino al 2009, ma poi tutto ha subito un rallentamento.
Esiste inoltre il grosso problema dello sviluppo delle aree in cui vivono i serbi. La percentuale di disoccupazione in questi territori varia tra il 50 e l’80%. Le infrastrutture comunali e sociali sono ancora per la maggior parte distrutte, non c’è prospettiva per un ritorno sostenibile.
Quante sono le persone tornate nelle proprie case?
Dai dati in nostro possesso risulta che sono tornate a vivere nelle loro case 136.000 persone. Questo è vero sulla carta, ma nella realtà il numero è di 70.000, quindi circa la metà, su un totale di oltre 300.000 tra profughi e sfollati, di cui la maggior parte dalla Krajina a causa dell’operazione Tempesta dell’agosto 1995.
Secondo il censimento del 2011, risulta che oggi in Croazia ci sono 186.000 persone che si dichiarano appartenenti alla minoranza serba e cioè il 4,6 per cento sul totale della popolazione. Mentre prima della guerra i serbi di Croazia erano 600.000. Il panorama è dunque abbastanza desolante.
Vi sono altri problemi?
Il processo di assunzione delle minoranze negli uffici pubblici è un obbligo di legge. Purtroppo però, invece di aumentare, diminuisce il numero di appartenenti alle minoranze nella polizia, nel settore della giustizia, nell’amministrazione.
Infine, il riconoscimento del diritto all’istruzione nella propria lingua e all’uso della scrittura in cirillico. Stiamo assistendo ad una continua guerra rispetto al nostro diritto di usare questo alfabeto. Questo tema ci porta alle proteste avvenute a Vukovar sull’inserimento del bilinguismo e del cirillico. E dire che l’UE aveva dichiarato allora che la Croazia non poteva entrare in Europa con proteste del genere…
Non è normale che contro l’applicazione di un diritto, in questo caso il bilinguismo, si organizzino delle proteste di persone in uniforme che sventolano bandiere militari. E che si usi la minaccia della violenza. Questa non è peculiarità di una società democratica.
Inoltre, ritengo non si possa definire una scrittura o una lingua responsabile di una guerra, e dire che a causa di questo non si deve permetterne l’uso. L’aumento in ambito pubblico delle campagne di estrema destra contro il cirillico, contro la minoranza serba, contro singoli accadute negli ultimi tempi – prima, durante e dopo le elezioni locali, ma anche solo tre giorni prima dell’ingresso nell’UE – compromettono seriamente la democraticità di questo paese.
Dopo la sentenza in appello di assoluzione dei due generali Ante Gotovina e Mladen Markač da parte del TPI dell’Aja nel novembre dell’anno scorso, la società croata ha fatto passi indietro sul piano della riconciliazione e del rispetto della minoranza serba. Non so sinceramente se sarebbe successo anche se la sentenza fosse stata diversa, ma i fatti dimostrano che subito dopo quell’assoluzione, in Croazia si sono rafforzate le posizioni estremiste, di destra. Ritengo che, vista l’atmosfera, si stia tornando indietro a prima del 2002 cioè prima della firma del patto di Associazione che ha avviato il paese verso l’UE.
Nicole Corritore
www.balcanicaucaso.org 28 agosto 2013