Il 1. luglio la Croazia diventa il 28mo membro dell’Ue, dopo un percorso di profonda trasformazione. Per il professor Dejan Jović, consigliere del presidente Ivo Josipović, se l’élite politico economica del paese festeggia, l’opinione pubblica mostra indifferenza e non nasconde qualche timore
Un paese che si affaccia alla piena membership nell’Unione europea dopo processi di trasformazione profondi, talvolta tormentati e ancora in atto, con un’élite decisa a seguire la strada europea, anche se con motivazioni diverse e in parte divergenti, ed un’opinione pubblica indifferente e preoccupata per il proprio standard di vita.
Questo il ritratto della Croazia tratteggiato da Dejan Jović, chief analyst del presidente della Repubblica Ivo Josipović e professore associato di Relazioni internazionali all’Università di Zagabria, durante una conferenza organizzata dall’Europan council on Foreign Relations a Sofia, in Bulgaria.
“La Croazia è il primo paese che entra nell’Ue con un’esperienza recente di guerra. La transizione dal post-conflitto è ancora in corso. Basti pensare, ad esempio, che circa 500mila persone ricevono ancora sussidi direttamente legati alle conseguenze della guerra. Questo influenzerà il paese nel primo periodo da membro a pieno titolo dell’Unione”, sostiene Jović. “Anche perché”, precisa il professore rispondendo ad una domanda di OBC, “istituzioni come il Tribunale dell’Aja, a cui il destino europeo della Croazia è stato così fortemente legato, hanno dato un contributo controverso a normalizzare il rapporto del paese con i vicini e col proprio recente passato”.
Sentenze come quella recente sulle responsabilità dello stato croato in Herceg-Bosna, o la pesante pena inflitta in primo grado al generale Gotovina, poi seguita in appello da una piena assoluzione, “lasciano molti motivi di sconcerto, e rendono forte l’atmosfera di scetticismo sull’operato complessivo del Tribunale”.
“Sull’ingresso nell’Ue, l’élite politico-economica croata ha raggiunto e conserva un consenso quasi unanime, ma per ragioni diverse”, argomenta Jović. “Per quella che definisco la ‘Croazia liberale’, l’Ue rappresenta lo strumento per ampliare le libertà personali, rafforzare la sicurezza, ma anche porre un freno ad eventuali derive nazionaliste”.
Per il consigliere di Josipović, le ragioni della “Croazia conservatrice” per sostenere il progetto europeo sono invece profondamente diverse: “Per questa parte politica rappresenta il ritorno della Croazia nella ‘casa europea’ di cui ha sempre fatto parte, e uno strumento per rafforzare le differenze con i paesi vicini [Serbia e Bosnia-Erzegovina] che non farebbero invece parte della famiglia europea”.
Questi differenti approcci, secondo Jović, emergeranno nell’atteggiamento croato verso l’ulteriore processo di allargamento dell’Ue nei Balcani occidentali. “Per i liberali, la Croazia sarà davvero al sicuro dall’instabilità regionale solo quando tutti i Balcani saranno stati inglobati nel progetto europeo. I conservatori vorrebbero invece che il paese si trasformasse di nuovo in una ‘frontiera militare’ a difesa del cuore del Vecchio continente”.
Per Jović, una prospettiva indesiderabile e pericolosa. “La Croazia ha centinaia di chilometri di frontiera con territori non-Ue, e una miriade di isole da controllare. Un compito ingestibile per le sole forze a disposizione di Zagabria, e che nel medio-lungo periodo rischia di far emergere una ‘società militarizzata’”.
Le nuove frontiere europee, soprattutto nella prospettiva di una futura inclusione nello spazio Schengen, pongono poi alla Croazia un problema di non facile soluzione. Una parte del suolo croato, la striscia di costa intorno a Dubrovnik, non ha continuità territoriale col resto del paese e rischia di essere “tagliata fuori” dallo spazio comune Ue.
Ad un’élite compatta, seppur per motivi variegati, nel salutare con favore il prossimo ingresso nell’Unione, fa da contraltare un’opinione pubblica largamente “euro-indifferente”.
“Le aspettative dei cittadini comuni verso l’Ue sono in generale basse, come dimostrato dai bassi livelli di partecipazione al referendum sull’ingresso e dalle recenti elezioni europee”, afferma Jović. “Non mancano le paure. Innanzitutto verso la possibilità di veder peggiorare il proprio standard di vita. In Croazia molti godono di sussidi, che lo stato potrebbe allocare con più difficoltà una volta entrati nell’Ue”.
Non mancano poi le preoccupazioni su quella che viene avvertita come una potenziale perdita o limitazione della sovranità recentemente raggiunta. “Per molti l’Unione somiglia pericolosamente alla defunta Jugoslavia e il legare il proprio destino a quella che si prefigura come una possibile ‘nuova federazione’ raffredda l’entusiasmo verso il progetto europeo”.
Ancora poco chiaro, il ruolo che Zagabria vorrà giocare e ritagliarsi come nuovo membro dell’Ue. “L’élite croata ancora non ha cominciato a discutere seriamente su cosa il paese vuole fare nell’Unione. Ci sono alcune idee, ma ancora poco definite. Di certo la Croazia può fornire a Bruxelles conoscenze e consigli sui Balcani occidentali, ma il paese rifiuta di reclamare il ruolo di ‘protettore’ di Serbia e Bosnia Erzegovina nel processo di avvicinamento all’Unione”.
Altre direzioni in cui spingerà la Croazia, vista la propria identità e posizione geografica, sono “quella dell’ulteriore rafforzamento dell’Ue come ‘club di piccole nazioni’ e non solo scacchiera di intersezione degli interessi dei ‘grandi d’Europa e la spinta a conservare il Mediterraneo come un ambiente ‘pulito, sicuro e accogliente’”. “Di certo la Croazia sa cosa non vuole”, ha chiosato Jović in chiusura della conferenza. “Non vuole un’Europa a due velocità, che la emarginerebbe alla periferia del progetto europeo”.
Francesco Martino
www.balcanicaucaso.org 24 giugno 2013