La Croazia ha già iniziato il suo conto alla rovescia. Se l’ingresso ufficiale nell’Unione europea è previsto per il primo luglio, la realtà dei fatti invece è molto diversa. Per Zagabria la data fatale sarà il 1 marzo prossimo, ha dichiarato al Vecernji List un alto diplomatico Ue, se entro quella data la Slovenia non ratificherà il Trattato di adesione della Croazia all’Ue tutto potrebbe saltare in aria. Ancora 31 giorni, dunque, per rimuovere l’unico ostacolo che ancora si frappone sulla strada di Zagabria verso Bruxelles: la questione Ljubljanska Banka.
Ma perché proprio il 1 marzo e non, ad esempio, il 1 maggio dopo la pubblicazione della relazione sul monitoraggio Ue relativo all’armonizzazione degli standard legislativi, sociali ed economici della Croazia all’Unione europea quando, a detta di tutti, la Germani accelererà l’iter di ratifica al Bundestag? Innanzitutto per la situazione estremamente confusa all’interno del governo sloveno, situazione che potrebbe anche sfociare in elezioni anticipate, con i tempi lunghi che ne conseguono prima dell’insediamento del nuovo Parlamento. Ma poi anche, temono a Zagabria, per l’iter relativo al referendum popolare in Slovenia. La paura, anche se per ora non si intravedono segnali in questa direzione, è che a ratifica avvenuta qualcuno pensi di indire un referendum sulla legge di ratifica stessa. Se lo stesso viene ammesso scattano 35 giorni per raccogliere le 40mila firme necessarie alla consultazione popolare. Già in occasione della ratifica del trattato di adesione di Zagabria alla Nato si innescò la “pistola” del referendum.
A proporlo fu il Partito del popolo sloveno, formazione extraparlamentare di estrema destra. I suoi esponenti furono però ricevuti dall’allora premier Borut Pahor (oggi capo dello Stato) che li convinse a desistere. In effetti fu Washington allora a fare pressione su Pahor chiedendogli di mettere in atto qualsivoglia forma legale per neutralizzare il possibile referendum, il tutto documentato da Wikileaks in un dispaccio diplomatico datato 5 marzo 2009. E Pahor obbedì. Una fonte diplomatica Ue ha poi dichiarato all’Evening Gazette che l’attuale premier sloveno e quello croato non hanno quel livello di comunicazione avuto dai loro predecessori, rispettivamente Pahor e Kosor, i quali, a detta del diplomatico, al di là dei summit ufficiali avevano un dialogo quasi quotidiano che ha portato alla soluzione dell’arbitrato internazionale relativamente al contenzioso sui confini terrestri e marittimi.
L’Europa chiede dunque alle parti (Slovenia e Croazia) il massimo sforzo con la discesa in campo dei rispettivi capi di governo. I quali, peraltro, si sono incontrati ieri a margine del vertice in Cile tra Unione europea e Sudamerica e che, secondo conferme ufficiali, avrebbero anche discusso del nodo Ljubljanska Banka. Ma la “patata bollente” sembra essere ancora in mano ai rispettivi ministri degli Esteri. Janša fa il giocatore di poker, proibisce al suo ministro degli esteri di andare all’incontro con la collega croata Vesna Pusic. Ma l’incontro si farà lo stesso e l’odore è quello di un machiavellico gioco delle parti. Lubiana sta cercando di tirare la corda allo spasimo, deve stare attenta però che questa non si spezzi, perché assieme alla Croazia a fare un capitombolo sarebbe anche la Slovenia.
Le pressioni internazionali su Lubiana (leggi Washington e Berlino in primis) si moltiplicano al punto che il ministro degli Esteri sloveno Karl Erjavec se solo pochi giorni fa paventava che la Croazia potrebbe non entrare mai nell’Ue ora non solo disubbidisce a Janša e vuole incontrare la Pusic, ma si dice anche molto ottimista su un incontro che potrebbe essere addirittura risolutivo. Qualsiasi sarà il risultato è chiaro che Janša vuole che l’esito possa essere sfruttato a suo favore in termini di politica interna. Ne ha un maledetto bisogno.
Mauro Manzin
“Il Piccolo” 29 gennaio 2013