Il Consiglio d’Europa sollecita la Croazia a promuovere di più la lingua italiana. Nonostante i passi in avanti, per alcune comunità di italiani rimasti al di là del confine orientale il bilinguismo rimane un’utopia
L’integrazione europea non è solo questione di moneta. È un processo che non può non passare anche da un progressivo e inesorabile avanzamento dei diritti civili. Uno di questi è sicuramente quello di ciascun individuo a veder riconosciuta piena dignità alla propria lingua d’uso. E allora bisogna accelerare nel percorso di protezione e promozione delle lingue minoritarie. È il messaggio recapitato alla Croazia, ormai prossima all’ingresso nell’area Schengen, dal Consiglio d’Europa. Sebbene i passi in avanti mossi da Zagabria siano significativi, le risultanze del report triennale sullo stato di attuazione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie dicono che si deve fare di più. È d’accordo il presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Renzo Codarin che ci spiega come in Croazia il bilinguismo sia tutelato “a macchia di leopardo”. Sono già passati ventisei anni dall’accordo Dini-Granić sui diritti delle minoranze. “La situazione – continua Codarin – è assolutamente disomogenea, noi vorremmo che tutti i territori adriatici in cui gli italiani avevano una presenza storica godano del medesimo trattamento”.
Questa disparità dipende dalla consistenza e dalla concentrazione dei “rimasti” dopo il grande esodo. Più le comunità sono folte e soprattutto coese e più il livello di bilinguismo è avanzato. È chiaramente un fatto di peso, non soltanto storico, ma anche politico. Questo perché la costituzione croata demanda molto spesso agli enti locali la disciplina della materia. “Il governo centrale non può scavalcare le autonomie locali”, ci spiega Furio Radin, deputato della comunità degli italiani dell’Istria e di Fiume al parlamento di Zagabria. “Il bilinguismo si applica per legge laddove almeno il 30% della popolazione si è dichiarata italiana al censimento, un’eventualità che riguarda pochissime città, in tutti gli altri casi dipende dalla sensibilità politica delle amministrazioni locali che lo possono introdurre mediante statuto”. Negli anni Novanta, la Dieta democratica, partito d’ispirazione liberale, spopolava in buona parte dell’Istria ed è stato possibile riscrivere gli statuti, sia a livello regionale che cittadino, in modo da innalzare la tutela linguistica della comunità italiana. Non è successo lo stesso a Fiume.
Qui il Partito socialdemocratico ha sempre ostacolato l’introduzione del bilinguismo. Uno spiraglio si era aperto nel 2020, quando la città è stata nominata capitale europea della cultura. Il sogno di vedere le insegne bilingui all’ingresso della città e nelle vie del centro sembrava a un passo dal realizzarsi, poi il progetto si è arenato a causa della pandemia. Oggi Marino Micich, figlio di esuli dalmati e direttore dell’Archivio Museo Storico di Fiume di Roma, chiede a gran voce di rinnovare quell’impegno: “Tutelare la lingua italiana in quei territori – sottolinea Micich – non significa soddisfare anacronistici irredentismi, ma dare maggior vigore al dialogo europeo tra popoli, attendiamo che il progetto delle tabelle delle vie bilingui prosegua”. C’è comunque da dire che gli oltre 2.300 italiani che vivono a Fiume possono contare su scuole, percorsi universitari ed un quotidiano, “La Voce del Popolo”, che è l’unico in lingua “straniera” del Paese. Tutte cose che alle latitudini di Zara, in Dalmazia, sono quasi sconosciute. Lì sono voluti più di dieci anni per registrare l’unico asilo italiano, per di più privato, della città.
“Il Consiglio d’Europa fa benissimo a sollecitare nazioni carenti nell’adeguarsi ai principi base dell’integrazione europea”, commenta Antonio Concina, presidente dell’Associazione dei Dalmati Italiani nel Mondo. “Il problema è politico, molto spesso – denuncia – la componente nazionalista prevale e non è particolarmente illuminata”. Anche Concina ci tiene a mettere in chiaro che non c’è alcuna intenzione revancista: “Vorremmo solo che la parte croata considerasse il bilinguismo come un elemento utile in primis al proprio percorso di maturazione europea e non come un obbligo. Noi esuli giuliano-dalmati abbiamo tradizioni storiche secolari e millenarie e questo ci ha consentito di pazientare per decenni, siamo stati europei ante litteram, e vorremmo che questo tipo di maturazione avvenisse in tempi tali da poterla vedere”.
Elena Barlozzari
Fonte: Il Giornale – 23/04/2022