DI MAURO MANZIN
Un milione di turisti italiani, come stima il nostro ministro dell’Interno Roberto Maroni, stanno facendo le valigie destinazione Croazia (da dove il presidente Napolitano è appena tornato da una visita di Stato). Per assisterli al meglio il Viminale, grazie a un accordo con le autorità di Zagabria, manderà dei poliziotti che apriranno uffici sulla costa dalmata a Spalato, Pola e Hvar. Oltre a un mare magnifico, cosa troveranno? Troveranno un Paese che, a vent’anni esatti da una guerra che ha provocato migliaia di morti e decine di migliaia di profughi, ha concluso il 30 giugno scorso il percorso per entrare nell’Unione europea (l’adesione avverrà il primo luglio del 2013). Ma anziché gioirne, dopo una corsa ad ostacoli durata sei anni, il Paese pare perplesso sui rea! vantaggi dell’approdo a Bruxelles. Colpi di una crisi economica a cui si sommano i temuti sacrifici da sopportare per rispondere ai parametri comunitari. Mentre sullo sfondo rimangono problemi ancora irrisolti legati al conflitto degli anni Novanta.
Sospesa tra passato, modernità e futuro, la Croazia è un Paese ricco di contraddizioni. Dove convivono gli opposti. C’è il ricco e borghese salotto buono di Zagabria percorso da lussuosi Suv guidati da giovani tycoon con abiti Armani. E sarebbe un indizio di successo se ancora non fosse poco chiaro il limite tra lecito e illecito in troppo repentine fortune. E se non fosse arduo distinguere tra nuovi ricchi perbene e la potente mafia dell’Erzegovina croata che si foraggia con proficui traffici di droga e armi . Poi ci sono ancora le macerie, le aree desolate come Vukovar, la città sul Danubio che fu rasa al suolo dai serbi, dove le ferite della guerra sanguinano ancora; le cartoline rurali della Slavonia dove il tempo sembra essersi fermato ai primi del Novecento. Per arrivare, infine, alle più europee e aperte coste istriana e dalmata, con gli alberghi, le spiagge, la nautica da diporto, i traghetti e i turisti. Una costa che si è adeguata al mercato in tutti i sensi, anche quelli negativi, se un caffè nei locali dello storico Stradun di Dubrovnik costa tre euro.
Contraddizioni, luci ed ombre, dunque, condite dall’agro sapore balcanico che si respira ancora in politica. Il governo di centrodestra della premier Jadranka Kosor sembra ormai fuori moda. Le misure e le decisioni prese per adeguare il Paese agli i standard europei hanno ancor più ingrossato le schiere degli insoddisfatti. Come la r lotta alla corruzione di cui viveva molta della popolazione croata e che ha portato alle manette e alla galera (a Salisburgo in Austria, dove è stato catturato) l’ex premier Ivo Sanader, proprio l’uomo che ha imboccato la svolta europea e ha iniziato a ripulire il partito di maggioranza, l’Hdz . (Unione democratica croata), dalle ultime scorie dell’ipernazionalismo imposto dal defunto presidente Franjo Tudjman, il padre dell’indipendenza. L’europeista Sanader, dunque, anche lui accusato di corruzione, affari in nero e bustarelle per svariati milioni di euro.
L’altro grande potere sul banco degli imputati è quello della Chiesa. Se negli anni della guerra dai pulpiti croati i preti salmodiavano gli inni del nazionalismo oggi i fedeli non si sentono più rappresentati dalle autorità ecclesiastiche. Una Chiesa troppo lontana dai problemi della gente che ha imposto allo Stato un conto di 5 milioni di euro per l’ultima visita a Zagabria di papa Benedetto XVI mentre non teme di spendere cifre milionarie per la nuova iperlussuosa sede dell’Arcivescovato nella capitale.
Un vero pugno allo stomaco per chi nel Paese non riesce a sbarcare il lunario. E un insulto, ad esempio, agli oltre 10 mila operai dei cantieri navali dell’Adriatico, a partire dallo storico Tre maggio di Fiume (3 mila addetti più indotto). Operai che si trovano di fronte alla privatizzazione obbligata proprio dall’adesione all’Ue. Il governo croato ha indetto già due bandi per la vendita dei cantieri di Fiume, Pola (l’unico a non essere in rosso), Portorè, Traù e Spalato che sono andati deserti anche perché la clausola vincolante era il mantenimento dell’attività cantieristica che, con l’attuale congiuntura economica mondiale, non gode certo del favore delle commesse.
Novità sono in vista per Fiume. Il re del cromo croato Danko Roncar, proprietario di miniere in Sudafrica, è interessato all’acquisto del Tre maggio e dei cantieri di Portorè e Traù, i piani di ristrutturazione sono già stati approvati da Bruxelles e ora si dovrebbe giungere alla fase conclusiva delle trattative. E gli operai tremano in quanto si teme un pesante taglio negli organici. La ristrutturazione potrebbe costituire un colpo mortale per migliaia di famiglie di Fiume e del Quarnaro. La cantieristica storicamente rappresenta un settore importante della produzione industriale croata contribuendo al 20 per cento del Pil e al 25 per cento dell’occupazione. Le attività principali sono rappresentate dai settori di base come quello siderurgico e metallurgico, petrolchimico e meccanico con la produzione di macchine agricole e tessili, materiale ferroviario e meccanico in genere. Il sottosuolo della Croazia fornisce antracite e bauxite che si trovano principalmente in Istria e giacimenti di petrolio e gas naturale situati nella Slavonia orientale nelle pianure della Drava e della Sava. Da queste zone il greggio viene inviato alle raffinerie di Fiume.
La Croazia, grande quanto Piemonte, Lombardia e Liguria insieme, ha 4,5 milioni di abitanti. Il Pil prò capite è di quasi 8 mila euro, il reddito medio è di 500 euro con un tasso di disoccupazione che tocca il 24 per cento. Il livello delle importazioni si attesta attorno ai 9 miliardi di euro, mentre quello delle esportazioni tocca quota 4 miliardi. Nell’interscambio commerciale l’Italia è al primo posto seguita da Germania e Slovenia. Particolarmente interessante è la penetrazione bancaria italiana con Unicredit che ha rilevato il principale istituto di credito croato.
Dati economici non brillanti, insomma, che sono anche la causa della crisi di consensi del governo. Gli ultimi sondaggi danno il partito del premier in caduta libera e
nelle stanze del potere c’è ancora molta incertezza sul quando indire le prossime elezioni politiche che erano previste per il prossimo 25 novembre. Prima, infatti, bisognerà indire il referendum per l’adesione all’Ue. Il cui esito non è del tutto scontato, nonostante l’Eurobarometro, proprio nelle ultime settimane, indichi una ripresa di fiducia. Il 56 per cento dei croati sarebbe a favore dell’adesione alla Ue, con il 34,2 di contrari e il 10 di indecisi. Nell’inchiesta, condotta dall’istituto Hendal per conto della televisione pubblica Hrt, il 40,8 per cento degli intervistati ha detto di ritenere che l’ingresso nell’Unione europea non porterà alla Croazia alcun cambiamento, il 35,7 si aspetta benefici mentre per il 23,5 avrà conseguenze negative.
Le note positive riguardano il florido settore turistico. Nel 2010,11 milioni di presenze con 54 milioni di pernottamenti, e ci si aspetta di ripetere o migliorare l’exploit nella stagione appena iniziata. Mare significa anche pesca (15 mila tonnellate di pescato l’anno). E poi una ricettività migliorata, anche se non sempre all’altezza delle stelle esibite, sono i servizi negli alberghi. Resta ancora radicata una mentalità statal-titina in base alla quale il turista è una seccatura perché ti impone anche di lavorare per prendere lo stipendio.
Decisamente in progresso, infine, i rapporti della Croazia con gli Stari confinanti. E stata avviata una fase di riconciliazione con la Serbia sopratutto per la volontà del presidente della Repubblica Ivo Josipovic (socialdemocratico). Si è anche concluso l’annoso contenzioso per il confine con la Slovenia per la sovranità delle acque del golfo di Pirano. E dove non è riuscita la diplomazia bilaterale, giudicherà un arbitro internazionale, con buona pace dei sempre presenti nazionalismi (nell’aprile scorso ci sono stati scontri e manifestazioni dopo la condanna a 24 anni inflitta dal Tribunale deli’Aja al generale croato Ante Gotovina per crimini contro l’umanità). Quanto all’Italia si è finalmente arrivati, 55 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, all’atto di riconciliazione voluto dai presidenti Giorgio Napolitano e Ivo Josipovic oltre che dallo sloveno Danilo Turk. “‘Spirito di Trieste”, dal luogo dell’incontro, è stata ribattezzata l’atmosfera cordiale. Uno spirito che dovrebbe aleggiare tanto più adesso grazie alla comune appartenenza sotto l’ombrello europeo. ■
(courtesy MLH)