Il libro di Alessandro Cuk, La questione giuliana nei documentari cinematografici, pubblicato da Alcione editore (2012, pp. 142 euro 12), si sveste di inutili fronzoli e dichiara già fin dalle prime pagine il suo intento. Ossia mettere un po’ d’ordine in una materia specifica, che è quella dei numerosi lavori documentaristici, realizzati nei vari decenni, sulle tematiche istro-quarnerine e dalmate, spesso relegati alle sole note problematiche del confine orientale italiano.
L’autore, che tra l’altro co-dirige la collana “Atmosfere istriane e dalmate” per conto dello stesso editore – e sotto l’egida dell’ANVGD, associazione in cui ricopre la carica di presidente del Comitato provinciale di Venezia –, non è nuovo a studi e ricerche sull’argomento. Ricordiamo “L’esodo giuliano dalmata nel Veneto” (con Tullio Vallery, 2001), “Giuseppe Berto, uno scrittore al cinema”, “Il confine orientale” (2005), “Il cinema di frontiera” (2008), “Guida agli attori giuliano-dalmati” (2012).
Cuk ritorna dunque sull’argomento proponendo una cronologia che copre mezzo secolo di vita a ridosso di un confine “difficile”. Il suo racconto inizia con “Combat film. Trieste terra di nessuno”, raccolta di cinegiornali inglesi del 1945 – 1947, narrati dalla voce fuori campo di due giornalisti italiani, Italo Moscati e Roberto Olla. Sono filmati che portano, per la prima volta agli occhi del grande pubblico, episodi drammatici legati all’occupazione di Trieste da parte dell’Armata di Tito. Qui, come in un film dell’orrore, si muovono vigili del fuoco e soldati alleati tesi a togliere dalle viscere della terra carcasse di animali e poveri corpi di uomini, assassinati e gettati nelle foibe, squarci naturali del Carso. Altri filmati trasportano sullo schermo manifestazioni di opposte fazioni sul futuro amministrativo e politico della città giuliana, contesa
sia dall’Italia che dalla nascente Repubblica Jugoslava.
Seguono a ruota i lavori documentaristici di due pionieri triestini, Franco e Gian Alberto Vitrotti, che nel 1947 girano “Pola, una città che muore” e successivamente, sempre sull’esodo polesano, “Addio mia cara Pola” (1947), inserito nel numero 46 de “La Settimana Incom” (“Hanno sperato fino all’ultimo – recita la voce fuori campo –, hanno sperato che non fosse vero. Il Toscana procede nelle gelide acque invernali del bacino San Marco e segna il tracollo delle speranze. I polesani hanno abbandonato la loro città…”).
Nello stesso anno ancora un documentario dei Vitrotti tocca il tema della tragedia giuliana, fissando l’attenzione sulle foibe (quella di Plutone, Crusevizza e Jelenka), con “Campane a morto in Istria”; seguono “Giustizia per la Venezia Giulia” (1947-1948), “Giuliani in Sardegna”, con la regia di Enrico Moretti (i Vitrotti sono i produttori) e il commento di Gino Villasanta, e “Genti Giulie” (1948), sceneggiato e realizzato da Gian Alberto Vitrotti e Carlo Pelizzon, con il consueto commento di Villasanta. Il “ciclo” dei Vitrotti si chiuderà con “Vacanze in Valsugana” (1948), “Mine alla deriva” (1949), sull’annoso problema delle mine tedesche gettate nel Golfo di Trieste e ancora attive, e “Trieste a Lampedusa” (1952), sul percorso accidentato di alcuni pescherecci, costruiti per trovare approdo a Trieste, ma successivamente
dirottati nell’isola siciliana a causa delle mine antinave.
Finita l’era documentaristica dei fratelli Vitrotti, l’attenzione sul confine orientale dell’Italia passa la mano ad argomenti di tutt’altro spessore: è il periodo della forte crescita economica e sviluppo tecnologico che investe il Belpaese. Il cosiddetto miracolo economico occupa la maggior parte dei pensieri degli italiani e le tensioni rimaste irrisolte non trovano ascolto. Bisognerà aspettare cinquant’anni, prima che la storiografia accademica e non si rimpadronisca dell’argomento.
Nel 2004 Nicolò Bongiorno per la Venice film gira “Esodo” [ANVGD, ndr], che si suddivide in due parti: “La memoria negata e “L’Italia dimenticata” dove vengono ripresi i temi delle foibe e dell’esodo. Sempre la medesima produzione nello stesso anno, dietro l’impulso dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), viene realizzato “Padre Flaminio Rocchi. L’Apostolo degli Esuli” e due anni dopo “Le radici del ricordo. Storia di una terra e del suo popolo” (2006).
Un altro documentario di natura ben diversa dai precedenti e con un taglio più monografico, viene realizzato nel 2002 dal Centro di Documentazione Multimediale di Trieste con il titolo “Viaggio sui binari della storia”, scritto da Rosanna Turcinovich Giuricin. Il documentario riporta alla memoria la mitica strada ferrata che collegava Trieste alla città di Parenzo.
Nel 2003, L’Istituto Luce, produce per la regia di Marino Maranzana “1943-1954 Trieste sotto. La storia tragica e straordinaria di una città in prima linea”, sulle tre occupazioni che il capoluogo giuliano subì nell’arco di soli undici anni: tedesca (settembre 1943-aprile 1945), jugoslava (1.mo maggio-10 giugno 1945) e alleata (1945-1954).
Con la regia di Lorenzo Gigliotti, nel 2004 la Regione Lazio, Venice Film e l’ANVGD producono “Una storia negata. Gli esuli Istriani, Fiumani e Dalmati nel Lazio”. L’anno successivo, sempre per conto dell’ANVGD, Guido Rumici, docente all’Università di Genova, presenta “Foibe. Il dramma dei deportati e scomparsi sul confine orientale d’Italia”. Ancora l’ANVGD e il CDM producono “Pietra d’Istria. Architettura e territorio” (2005). “La rosa dei tempi. L’esodo dal ricordo alla speranza” (2005) è il video tratto dall’omonimo spettacolo di Rosanna Turcinovich, con la regia di Sabrina Morena. Nel 2006 Guido Cace, Camillo Pariset
e Massimo Valentini affrontano in “1921 l’esodo ignorato” una pagina trascurata dalla storiografia: il primo esodo dalla Dalmazia, dopo il Trattato di Rapallo.
Da citare ancora “Ritorno a casa” (2007), docu-fiction di Simone Damiani [ANVGD, ndr], “Il vento dell’Adriatico”(2008) [ANVGD, ndr], di Pasqualino Damiani, “Voci in esilio” (2008) e “Vivere in esilio” (2010), di Emiliano Loria, prodotti dall’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio e introdotti dal suo presidente Marino Micich. Nel 2009 era uscito invece, per la regia di Dorino Minigutti, “La cisterna”, nato dall’omonimo spettacolo teatrale, co-prodotto da Immaginaria e Libero Comune di Pola in esilio. Nello stesso anno, ma da un’angolazione diversa, viene proposto “Italiani sbagliati. Storia e storie dei rimasti”, prodotto dalla Pilgrim Film e dal Il Ramo d’Oro Editore, per la regia di Diego Cenetiempo. Del 2012 è “Magna Istria”, di Cristina Mantis, prodotto da Route 1.
Un’ampia ed esaustiva carrellata, quella proposta da Alessandro Cuk, sui tanti lavori cinematografici che dal dopoguerra a oggi hanno avuto come oggetto le nostre terre.
Con il suo impegno ha colmato una lacuna e soddisfatto quella che, per storici e cultori dell’argomento,era da tempo vissuta come una necessità. Non le sembra comunque esiguo quello che è stato prodotto? Se sì, ritiene che questa disattenzione possa essere letta anche come una specie di rimozione di fatti che ancora oggi provocano dolore?
“Ritengo che il lavoro relativo ai documentari realizzati in quest’ultimo decennio sia positivo, sia in termini di qualità che di quantità. Però se valutiamo il dato numerico nel lunghissimo periodo, e quindi negli ultimi sessant’anni, siamo a livelli piuttosto scarsi. Il silenzio ‘cinematografico’ di cinquant’anni, soprattutto sulle foibe e sull’esodo giuliano-dalmato, va di pari passo con il silenzio che c’è stato in ambito storiografico, informativo e didattico, e questo è dovuto in larga parte a una rimozione di carattere politico, perché c’è stata, invece, attenzione su altri tragici eventi che hanno coinvolto il nostro Paese”.
Nell’introduzione del suo libro scrive: “Per spiegare i drammi del Novecento non è sufficiente circoscrivere il racconto a pochi anni, magari alla guerra o al periodo prettamente antecedente, ma bisogna andare indietro nel tempo per scoprire quali sono le radici di questi territori ma anche approfondire le complesse dinamiche dell’Ottocento che portarono già a forti contrapposizioni”. Il panorama editoriale ufficiale, e spesso anche quello legato alla pubblicistica dell’arcipelago associativo degli esuli, a parte alcune eccezioni, non sembra però intenzionato a percorrere tale strada. Come lo spiega?
“Le complesse vicende del confine orientale”, come cita la legge sul Giorno del Ricordo, sono davvero complesse e articolate, per questo possono essere spiegate meglio e approfondite adeguatamente nel luogo periodo, mettendo in evidenza dinamiche ed evoluzioni di carattere storico, sociale e politico. Invece si tende a semplificare e la più facile semplificazione è quella di contrapporre, nel ’900, fascismo e comunismo. Questo è soltanto un elemento dei complicati avvenimenti, che visto da solo non aiuta ad avere un quadro più organico ed equilibrato”.
Cosa bisogna ancora fare per scrollarsi di dosso questo fardello affinché queste tematiche rientrino, finalmente, a pieno diritto nella storia nazionale italiana?
“Bisogna continuare nella direzione intrapresa, lavorare ancora di più con il mondo della scuola, dove si sta facendo un lavoro capillare di informazione verso studenti e docenti. Aggiungere questa pagina mancante nei libri di testo scolastici, sensibilizzare i mass media verso i temi riguardanti il Giorno del Ricordo per fare in modo che l’opinione pubblica acquisisca consapevolezza verso questi temi. Proseguire e incrementare l’attività di collegamento con le comunità italiane e le scuole italiane presenti in Istria, a Fiume e in Dalmazia, perché i cosiddetti esuli e rimasti sono un unico popolo, che si deve sempre più ritrovare per guardare insieme al futuro”.
Francesco Cenetiempo
“la Voce del Popolo / Suppl. “Cultura” 4 settembre 2013
Alessandro Cuk, presidente del Comitato ANVGD di Venezia e vicepresidente nazionale