A bordo di un canotto, sono discesi lungo le acque del Serio fino alla foce del Po e, da lì, hanno risalito la costa adriatica per raggiungere Trieste. Da Crema alla piccola Vienna sul mare, in dieci giorni, per consegnare un dono prezioso: una lettera di solidarietà patriottica firmata dal sindaco cremasco, Virgilio Pagliari.
«Al sindaco di Trieste e ai triestini — recitava la missiva — il popolo di Crema, che assediato tra le antiche mura, desioso di libertà, udì e trafisse i figli suoi, appesi alle torri ossidionali del Barbarossa, oggi ad animosi argonauti affida il suo messaggio d’amore augurale di nuova liberazione nel nome dei fratelli d’Italia».
Gli «argonauti» che settant’anni fa (per la precisione era il 9 agosto) hanno imbracciato i remi per la missione acquatica si chiamavano Luciano Carera (27 anni), Aldo Magri (32), Valentino Marinoni (30), Carlo Rossi (25) e Mario Zagheni (28): cinque giovani eroi cremaschi che, mossi dall’amor patrio, non hanno esitato a correre il rischio di finire nella mani di Tito pur di recapitare il loro messaggio di fratellanza. Era l’estate del 1953 e Trieste — da otto anni sospesa nel limbo del mai costituito Territorio Libero — era agitata dalle manifestazioni di chi chiedeva il ricongiungimento col territorio italiano. Pochi mesi dopo, a novembre, la popolazione triestina insorse contro l’esercito di occupazione anglo-americano.
A ricordare il coraggioso viaggio degli ‘argonauti seriani’, nel settantesimo anniversario dell’impresa, è il 29enne Francesco Carera, nipote di uno dei rematori: «Dieci anni fa, per la mia tesi di maturità classica, ho ricostruito gli avvenimenti attraverso i giornali dell’epoca — racconta —. Gli audaci argonauti avevano a cuore la situazione critica della città di Trieste, allora divisa in zona A e zona B, di cui erano a conoscenza grazie alla stampa locale e alla radio. Mossi da un forte sentimento patriottico, portarono ai triestini il messaggio della città di Crema a bordo di un canotto a remi e con la sola forza delle loro braccia».
Carera sottolinea: «L’impresa non fu priva di pericoli e di difficoltà, ma, come disse uno dei cinque coraggiosi cremaschi al ritorno, ‘il sole ci ha asciugato i polmoni e i portafogli, Trieste però ha bagnato i nostri occhi. Ci ha fatto piangere’. Mio nonno era uno dei cinque giovani audaci e l’avventura di Trieste gli è rimasta sempre nel cuore, come testimoniano i numerosi articoli di giornali locali e nazionali e le fotografie in bianco e nero che ha raccolto e che io conservo gelosamente».
Il raid Crema-Trieste ebbe una notevole risonanza: a parlarne furono non solo le testate cremasche, ma anche quotidiani nazionali come L’Italia (ora l’Avvenire) e il Corriere della Sera, oltre a Il Piccolo di Trieste. «Purtroppo — prosegue Carera — mio nonno non ha mai potuto raccontarmi personalmente questa avventura, essendo scomparso quando io ero ancora molto piccolo, ma ritengo l’esperienza che ha compiuto con gli amici davvero straordinaria e unica. A mio avviso è davvero sorprendente come questi cinque amici abbiano intrapreso una simile avventura, mettendo anche a rischio la loro vita, fortemente motivati da un esemplare amor patrio. Con pochi mezzi e molta audacia i giovani cremaschi hanno portato a termine la loro impresa: in fondo, mi pare di poter affermare che anche mio nonno e i suoi amici diedero il loro contributo a una vicenda così significativa per l’unità dell’Italia». Ancora viva, settant’anni dopo.
Riccardo Maruti
Fonte: La Provincia di Cremona – 24/08/2023