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Da Spalato e Parenzo due alternative all’architettura di regime (Voce del Popolo 02apr13)

Mentre in Europa nasceva e si diffondeva il Movimento Moderno, in Italia la ricerca di un’architettura nazionale come elemento di propaganda fascista determinò l’imporsi di uno stile che fondeva classicismo e innovazioni razionaliste in una forma di monumentalismo privo di decorazioni. Alcuni gruppi di architetti proponevano, invece, soluzioni differenti destinate ad avere meno fortuna in un tale clima politico. Tra questi Vincenzo Fasolo (1885 – 1969), che iniziò la professione prima della salita al potere di Mussolini, e Giuseppe Pagano Pogatschnig (1896 – 1945), che cominciò ad esercitare in quegli anni.

Entrambi ebbero origini giuliano-dalmate e operarono in gran parte nel periodo fascista, ma arrivarono ad esiti assai eterogenei, mossi da posizioni politiche e influenzati da figure professionali diverse. Lasciarono la terra d’origine in giovane età rimanendone molto legati, operando principalmente a Roma e a Milano.

Pagano fu attivo in ambito politico, partecipò alle vicende italiane, prima come fascista poi come antifascista, e divenne promotore dell’architettura razionale aderendo al Movimento Moderno europeo. Fasolo, invece, si dedicò di più all’insegnamento e fu maggiormente ispirato dal gusto Art Nouveau arrivando a posizioni medievaleggianti. Essenziale per comprendere tali differenze è considerare gli anni che separarono l’inizio dell’attività professionale dei due, la passione per la storia e il disegno di Fasolo e l’adesione ai principi funzionalisti per Pagano.

Vincenzo Fasolo nacque a Spalato nel 1885 dalla quale si trasferì presto fino ad arrivare nel 1905 a Roma, a seguito della morte del padre, dove svolse i suoi studi e dove lavorò per molti anni per il Comune dal 1912 al 1936. Insieme a Marcello Piacentini, Gustavo Giovannoni, Arnaldo Foschini e Manfredo Manfredi fu promotore della Scuola di Architettura di Roma, che diventerà la prima facoltà di architettura in Italia, della quale fu professore di Storia e Stili dell’Architettura. Suo maestro fu proprio Gustavo Giovannoni da cui riprese un metodo che sosteneva lo studio dell’antico quale strumento imprescindibile per le nuove creazioni e una maniera progettuale visionaria con modelli ripresi dalla tradizione. Quando esordì nella professione, nel primo decennio del ’900, l’ambiente romano era lontano dalle innovazioni proposte dalle avanguardie europee e tentava un rinnovamento in chiave romantica dello stile tradizionale attraverso l’esaltazione delle architetture minori e del pittoresco.

Il suo stile fu variegato ed eterogeneo: nella Casina delle Civette a Villa Torlonia usò una grande varietà di materiali e particolari decorativi, mentre nel ponte Duca d’Aosta ricorse a volumi nitidi e forme pulite. Emblematica è la sua partecipazione nel 1929 insieme al gruppo “La Burbera” a un progetto di Piano Regolatore che si contrappose al progetto del GUR (Gruppo Urbanisti Romani), tra cui Marcello Piacentini. Mentre questi ultimi proponevano nuove tecniche urbanistiche e puntavano su un modello alternativo di decentramento territoriale orientale della città, il gruppo “La Burbera” confermava la tradizione con un piano fondato sull’intersezione tra cardo e decumano, secondo il modello romano. Tale contrasto evidenziò la rottura che avveniva in quegli anni tra l’ala accademica e quella modernista. Quando prese piede lo stile imperiale del modernismo moderato, di cui Piacentini divenne esponente, Fasolo venne marginalizzato nell’ala accademica e non partecipò alle grandi trasformazioni urbanistiche degli anni ’30 (come la Città Universitaria e l’Eur).

Giuseppe Pagano nacque a Parenzo nel 1896. Il suo senso civico lo portò a battersi per il compimento dell’unità nazionale e ad arruolarsi volontario nell’esercito italiano cambiando il suo cognome da Pogatschnig a Pagano. Questa esperienza segnò profondamente il suo spirito al punto tale da non abbandonare mai più la causa sociale e l’impegno per la nuova patria. Aderì in un primo momento al partito fascista considerandolo il possibile strumento per un rinnovamento nazionale e illudendosi di poter conciliare i temi del Movimento Moderno con quelli del regime, ma se ne distaccò nel 1942 divenendone un accanito oppositore, contrasto che non mancò di manifestare apertamente dalle pagine di “Casabella”, rivista che diresse dal 1931 al 1943. Sotto la sua direzione “Casabella” divenne un canale di comunicazione collettiva in cui discutere non solo d’architettura, ma una finestra sul mondo, sulle esperienze e le tecnologie più all’avanguardia. Diverse le ragioni che lo allontanarono dal regime. Da un lato l’impossibilità di conciliare il suo impegno civile e la sua visione della società con il fascismo; dall’altro l’adesione all’architettura razionale aperta alla tradizione modernista europea in contrasto con la retorica accademica e monumentalista che assunse in quegli anni il ruolo di architettura nazionale.

Per tali motivi va sottolineato il contrasto che caratterizzò il rapporto tra Pagano e Piacentini, considerato l’architetto del Duce. Pagano, sostenitore del razionalismo, pensava che l’architettura potesse operare profonde trasformazioni nella qualità della vita di tutti e sosteneva la necessità della rinuncia a ogni ricerca individuale in favore della costruzione di una qualità complessiva dell’ambiente che fosse il risultato di un’adesione collettiva alla semplicità formale. In questa ottica va interpretato, oltre all’interesse per l’architettura rurale, l’Istituto di Fisica dell’Università La Sapienza di Roma del 1935, intervento al quale era stato chiamato da Marcello Piacentini, responsabile del piano. Seguendo rigidamente un criterio funzionalista, organizzò l’edificio su tre nuclei, chiaramente identificabili, che risolse in chiave esclusivamente volumetrica. L’opposizione tra i due architetti era poco evidente e Pagano aderiva ancora al fascismo, ma già in questo intervento è chiaro come fossero opposti e discostanti i punti di vista. Se da un lato Piacentini elaborò un impianto urbanistico basilicale in cui gli edifici erano pensati come fondali di quinte sceniche, dall’altro Pagano progettò invece un edificio dimesso e funzionalista.

Più forte divenne, invece, il contrasto in occasione di un altro grande intervento di carattere urbanistico e architettonico nella capitale: l’Eur. Il piano venne affidato nel 1937 ad un gruppo iniziale composto da Pagano, Piacentini, Piccinato, Rossi e Vietti, ma nel 1938 il progetto venne rielaborato con Piacentini a capo e gli altri relegati a ruoli marginali di collaborazione. Giuseppe Pagano criticò aspramente l’esito dell’intervento e dalla rivista “Casabella” ne sintetizzò i risultati parlando di “inutili colonne e archi posticci” e di “decadenza del gusto e povertà di fantasia”. Amareggiato dagli eventi politici e sociali che stavano segnando la storia del Paese, l’architetto giunse alla definitiva consapevolezza del crollo della sua fede fascista e passò alla Resistenza. Trascorse gli ultimi anni a combattere per la libertà del popolo italiano e pagò con la vita il suo impegno morendo nel campo di concentramento di Mauthausen nel 1945.

Dunque le posizioni dei due architetti furono radicalmente diverse. Vincenzo Fasolo, influenzato da una corrente tradizionale e pittoresca, che si collocava nel filone che aveva visto, in particolare a Roma, la nascita di grandi interventi con un gusto medievaleggiante e che aveva i suoi maestri in Giovannoni e Marconi, predilesse sempre l’insegnamento della storia e del disegno. Pagano fu invece un personaggio più controverso, che non si risparmiò né nell’attività politica né in quella di architetto, aderendo ai principi del Movimento Moderno e impregnandoli di forte contenuto sociale. In un momento in cui si imponeva quello stile imperiale e fascista, che in Marcello Piacentini ebbe il suo più fortunato esponente, si batté sempre per diffondere i principi di una nuova architettura al servizio della società.

Eufemia Giuliana Budicin
“la Voce del Popolo” 2 aprile 2013

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