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Daila: si guarda a Strasburgo (Voce del Popolo 18 ago)

di Jurica Pavicic

Neanche la fede aiuta se non sei Croato

Una delle verità generali sulla quale si appoggia sia la chiesa cattolica croata, sia la destra nazionalista è il fatto che durante il socialismo la chiesa e i “veri Croati” furono perseguitati.  Questa affermazione ha un forte potere retorico in primo luogo perché e in gran parte vero. Effettivamente durante gli anni 40 e 50 le repressioni contro la chiesa e il clero furono grandi, decine di sacerdoti uccisi, alla chiesa portati via tantissimi beni materiali. Professori, impiegati o giudici cattolici dovevano esprimere la loro fede discretamente e spesso gli si impediva avanzamento nel lavoro.  Ogni accentuazione del sentimento nazionale era punito come “incidente  nazionalista”  e in quella voce espandibile entravano anche le banalità tipo cantare “Vila Velebita”. In queste circostanze, secondo stereotipo politico, veri credenti e Croati in massa, centinaia di migliaia, decisero di emigrare, la dove nelle congregazioni religiose e le missioni croate lievitava il pane patriottico della libertà futura. Immaginate cosa succederebbe se sulla scena politica dovesse apparire un intellettuale di spicco, professore,  filologo ed ex ministro e afferma che tutto questo che ho scritto adesso non e vero. Immaginate se questa persona pubblica rilascia l’intervista in un giornale di tiratura alta dove dichiara che tutti quelli scappati dai comunisti sono traditori di poca fede.

Provate a immaginare se dicesse che repressione comunista “non dovrebbe essere una ragione per lasciare il paese se ci si sente veramente un patriota,” che coloro che andarono, infatti sono privilegiati perché “allora molta gente voleva andare, ma non era permesso” e che coloro che sono andati via,  comunque possiedono all’estero grandi possedimenti alberghi e azioni”. Di conseguenza, non si dovrebbe ridargli quello che gli e stato confiscato e non gli si dovrebbe dare il benvenuto, ma lasciarli stare dove sono e le loro ex proprietà bisognerebbe lasciare allo stato.

Qualcuno che scriverebbe qualcosa di simile, si troverebbe probabilmente attaccato dai nazionalisti croati con ganci e zappe patriottiche,  per crocifiggerlo come un massone, UDBA, comunista, jugoslavo,suo articolo verrebbe sepolto di insulti e commenti dei patrioti accaldati.

Questa frase che ho citato, tuttavia, non ha scritto alcun successore di Jakov Blazevic, né un anarchico né un jugomassone mediatico. L’ autore del citato di cui ho parlato si chiama Adalbert Rebic, un biblista e docente di teologia a Zagabria, nonché un ex capo dell’ufficio per i rifugiati e il ministro senza portafoglio.

Il suddetto professore Rebic ha pronunciato queste affermazioni questo sabato in un’intervista, “Jutarnji List”, dove si é pesantemente e decisamente opposto alla decisione del Vaticano e della Commissione, in cui sedeva l’arcivescovo Bozanic, di ridare complesso monastico, situato nella parte occidentale dell’Istria a Daila, all’ordine benedettino che ha la sua sede a Praglia Padova.

Secondo Rebić, i Benedettini di Padova, hanno lasciato la loro parrocchia, anche se non dovevano, quindi di conseguenza perdono il diritto di concessione del nobile  veneziano, e a loro, come tutti i proprietari italiani d’ Istria, bisogna pagare in conformità dell’accordo di Osimo e ribadire che qui non possono più tornare.

Durante questa estate, strada facendo ho visitato due complessi monasteri dalmati, che i monaci abbiano “abbandonati” e il governo comunista confiscato circa nello stesso periodo come il Daila. Sull’isola di Meleda, un ex convento situato su un’isola nel mezzo di un lago salato. Il monastero e sotto il socialismo trasformato in un albergo che era il motore dell’economia di tutta l’isola isolata.

 Su Badia vicino a Curzola, monastero costruito dai monaci bosniaci e stato trasformato durante socialismo in un campo sportivo .Per i Curzolani  Badija era una risorsa, un luogo di svago. Entrambi i monasteri dopo il ’90. sono stati restituiti alla Chiesa.

Su Badia oggi vive in solitudine frate francescano di Medjugorje e personaggio nel film “Lady” Jozo Zovko, e Meleda e caduta nel dimenticatoio fino a pochi mesi fa quando un funzionario della diocesi di Ragusa e ha “sparato” che gli abitanti dei villaggi circostanti dovrebbero pagare alla Chiesa per vivere nel suo feudo. In entrambi i casi, ex monasteri ora sono cantieri e non hanno alcuna finalità pubblica.

Direbbe anche nei casi di Badia e Meleda  Adalbert Rebic che il monastero deve prendere lo stato, e che non si dovrebbe restituire ai monaci?  Direbbe anche in questi due casi che i monaci abbiano lasciato la loro gregge, e quindi perso il diritto di proprietà? Direbbe anche per il caso Badia Rebic che l’attuale proprietario del monastero (la provincia francescana di Herzegovina), oltre il confine in Bosnia e ricca di beni, “terra, alberghi e banche”, in modo che non ha bisogno di Badija? Certo che lo avrebbe fatto. E perché no, qual e la differenza?

Beh, la differenza e che in questi due casi, monaci e frati – i croati, nel caso Daila – italiani. Dal momento che dai molti membri di alto clero cattolico croato negli ultimi quindici anni abbiamo  visto un insensibilità  testarda. Ci siamo abituati dalla parte del clero croato completa insensibilità nei confronti delle vittime (dei croati),  crimini di guerra contro le persone di altre fedi e nazioni.

 Siamo abituati all’ insensibilità verso le persone che si frappongono nei loro interessi patrimoniali. Ci siamo abituati alla crudeltà contro i serbi ortodossi, le altre persone di orientamento sessuale (stesso Rebic sostenne coloro che  lapidarono gay pride a Spalato).

Tuttavia, durezza di cuore, che in questo caso mostra Rebic e qualcosa che nella storia porta una nuova dimensione. Adalbert Rebic poteva mostrare almeno un pizzico di simpatia nei confronti dei suoi correligionari, i membri del clero, della stessa confessione, anche perché quelle persone fuggirono davanti alla stessa ideologia che lui odia e che é stato la vittima. Ma tutti questi motivi  empatici si fermano di fronte a  un duro, solido motivo per cui i monaci di Praglia sono nemici: loro sono Italiani e  in Istria come in Dalmazia si sa; Italiano uguale nemico.

Intervista di sabato ad Adalbert Rebic in una orribile, crudele chiarezza  illustra quello che molti di noi hanno capito tempo fa chiaramente. Per gran parte della leadership della Chiesa cattolica in Croazia,  la fede e la speranza  e Gesù e la dottrina cristiana sono solo cose effimere senza importanza. Quello che effettivamente  gli tiene insieme e l’ideologia del crudele, osceno e antipatico nazionalismo.

Poi, quando il nazionalismo che si confronta con le nazioni di altre religioni (serbi e bosniaci), il nazionalismo trasforma il cattolicesimo nella Chiesa militante e l’etichetta dell’ideologia nazionale. Però, quando i presunti interessi nazionali e reali dei croati contrastano coi vicini cattolici (gli italiani e sloveni),  in una parte della Chiesa in Croazia, “il fusibile salta,” e non riesce a far fronte in questo incesto strano.

E l’altra parte continua a comportarsi esattamente come prima, prende in mano la bandiera tricolore, e continua il suo assalto ai suoi fratelli, questa volta dalla stessa, universale (Catholicos) chiesa.

 

(courtesy MLH)

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