Non è facile, per chi arriva da lontano, comprendere le radici della rivalità tra friulani e giuliani, e tanto più disorienta il fatto che tali dispute regionali siano più antiche degli ossari e dei monumenti ai caduti del ’15-’18, quella Grande Guerra di cui noi Psicoatleti andiamo cercando a piedi le tracce, quando ancora Udine e Trieste erano entrambe sotto l’impero d’Austria.
Non è semplice, raccapezzarsi nel panorama antropologico e sociale di questa regione, dove gli spazi sacri alla Patria – a cominciare dall’impressionante sacrario di Redipuglia per finire con le caserme ancora in attività e gli edifici pubblici in genere – appaiono isole sulle quali sventola il tricolore, circondate da un mare di borghi rurali dove ci si sente, prima di tutto, friulani o bisiachi, giuliani o sloveni.
Consapevoli di trovarci, ora più che mai, nell’area di cerniera fra le tre grandi culture – latina, germanica e slava – che hanno scritto la storia d’Europa, arriviamo leggermente confusi a Gorizia, Gorica in sloveno, Görz in tedesco, dove tanti fra i nostri padri e fratelli maggiori hanno prestato il loro servizio militare.
Oggi che il confine non è più presidiato ed è possibile sconfinare senza timori in Slovenia attraverso la piazza della Transalpina, Gorizia sembra aver perso la sua fama di città sacra e maledetta: vi regna un’aria placida da provincia mitteleuropea e la sera, davanti a una gigantesca lubijanska – una sorta di cotoletta per ciclopi – innaffiata da birra Union, può perfino coglierti il pensiero che, quando saranno trascorsi altri cento anni, forse delle frontiere nazionali, difese un secolo fa al prezzo di milioni di caduti, non resterà che la memoria.
A quali disastri abbiano portato l’invasione della Jugoslavia da parte dell’Italia fascista, e l’indiscriminata vendetta delle formazioni di Tito alla fine del conflitto, è una pagina tragica e nota a tutti; oggi, di quella stagione spaventosa, resta memoria nello spirito indomito delle comunità di istriani e dalmati riparati al di qua del nuovo confine, mentre nel Collio e nel Carso assume la forma di lapidi con la stella rossa dedicate ai partigiani locali, e dello stesso colore sono le bandiere che sventolano sui tetti delle costruzioni appena ultimate.
Qualcuno fra i compagni psicoatleti di viaggio si meraviglia, e osserva che sembra di trovarsi nella Jugoslavia degli anni Ottanta, quando ancora i ritratti di Tito erano appesi ovunque, mentre nella ultra-liberale Slovenia di oggi nessuno sembra sentire la nostalgia del Maresciallo.
Monfalcone non ha fama di essere la città più bella del Friuli-Venezia Giulia, anzi, ma va detto che, di solito, la gente non ci arriva a piedi: in molti potrebbero cambiare la povera opinione che ne hanno, se scendessero in città dalle severe alture di Doberdò, valicando nel bosco la modesta altura della rocca, per poi planare sull’abitato attraverso il parco urbano. Scoprirebbero, allora, che qui basta un sottopasso ferroviario per portarti dalla dimensione del trekking a quella di una piazza che ti accoglie a braccia aperte. Se poi sarete fortunati come noi e, dopo ore di marcia, troverete la piazza in questione gremita di banchetti, ciascuno impegnato a offrire specialità alimentari delle diverse contrade italiane, allora avrete l’impressione di sentirvi benvenuti in un posto speciale.
Ci sfamiamo di pane d’Altamura e pecorino sardo, infatti, olive e San Daniele, in un carosello di merende da far impallidire il buon Gargantua. La sera, a Duino, impazza una festa indetta dai giovani del Collegio del Mondo Unito, e anche noi ci sentiamo d’animo frizzante per avere ritrovato, dopo tanti orizzonti di terra, una pista a picco sul mare. Poco male se il celebre sentiero Rilke era chiuso – tanto i giornali italiani quanto il Primorski Dnevnik riportano le polemiche in corso fra il principe proprietario del terreno e l’amministrazione pubblica riguardo ai necessari interventi di manutenzione del percorso –.
Domani, da qui, potremo camminare verso il castello di Miramare seguendo i segnali escursionistici, con l’Adriatico sotto di noi e il profilo del Golfo nitido sino alle coste istriane. Trieste, ormai, è così vicina che sembra di poterne interrogare la bastionata di luci.
Enrico Brizzi
www.messaggeroveneto.it 25 luglio 2013