“Una città morta è una città senza ebrei”: così il drammaturgo e attore italiano Moni Ovadia, citando il filosofo rumeno Emil Cioran, spiega l’apporto della componente ebraica quale elemento di vitalità per qualsiasi città, fattore di cosmopolitismo, di sviluppo degli affari e delle relazioni. Alla fine degli anni Trenta nella regione quarnerina vivevano 1.743 ebrei, di cui ben 1.386 a Fiume, 313 ad Abbazia e 30 a Laurana. Fiume, dunque, assieme a Trieste, aveva la più alta percentuale di ebrei nel Regno d’Italia. Le persecuzioni fasciste e naziste soprattutto arrecheranno un immenso danno umano e sociale all’intera collettività. Oggi la comunità ebraica di Fiume si sta faticosamente rinnovando dopo la Shoah, mentre quella abbaziana si è completamente estinta.
Se ne parla nell’ambito della mostra didattica “Dall’emancipazione all’Olocausto. Gli ebrei di Fiume e di Abbazia, 1867 – 1945”, in visione al Museo civico del capoluogo quarnerino fino al 21 giugno.
La mostra, curata da Sanja Simper – storica e ricercatrice che da anni si dedica con passione alla riscoperta dei frammenti della storia ebraica della zona quarnerina –, esamina le dinamiche della vita tradizionale, religiosa, educativa e culturale nelle comunità israelitiche di Fiume e Abbazia. Una collettività i cui componenti provenivano dall’ex Monarchia “duplice”, in prevalenza dall’Ungheria, ma anche da altri Paesi dell’Europa centrale e orientale.
Sanja Simper affronta, in circa 20 panelli arricchiti con foto, documenti, ritagli di giornali d’epoca e testi, il periodo dell’emancipazione degli ebrei, avvenuta nel 1867. Si verificò all’epoca una massiccia immigrazione ebraica a Fiume, che sotto la diretta amministrazione ungherese iniziò, a sua volta, a svilupparsi velocemente come il maggiore emporio marittimo portuale della parte ungherese della Monarchia.
Qui a Fiume trovarono infatti una società alla quale era estraneo l’odio antisemita, quasi una terra promessa dove convivere serenamente con gli altri popoli. Tutto ciò fu bruscamente interrotto dalla promulgazione delle leggi razziali del 1938.
La mostra descrive il loro terribile impatto sugli studenti di religione ebraica, la privazione dei diritti civili e politici, la discriminazione sociale ed economica e l’impoverimento materiale. Cronologicamente, il racconto prosegue fino alle deportazioni nella Risiera di San Sabba e nel campo di Auschwitz, dove la maggior parte fu uccisa nelle camere a gas. Dalle ricerche emerge che da Fiume e Abbazia finirono nei campi di concentramento oltre 400 persone, delle quali a ritornare sono state solo poche decine.
“L’interesse per questo argomento è nato dalla consapevolezza che le persecuzioni ebraiche messe in atto dal fascismo e nazismo sono a tutt’oggi un contesto storico completamente estraneo ai più. Soprattutto nella nostra regione quarnerina – ci spiega la ricercatrice e studiosa –. Ma anche prendendo in considerazione che nell’Archivio di Stato di Fiume esiste un materiale molto ricco su questo argomento, che tuttavia è interamente inesplorato.”
Come mai alla mostra non è stato affrontato l’argomento legato al questore Giovanni Palatucci, la cui figura è ricordata per aver posto in salvo dalla deportazione un numero imprecisato di ebrei durante la Seconda guerra mondiale?
“Palatucci è stato tralasciato per il semplice fatto che nell’Archivio di Stato non vi è alcun dato sul questore fiumano. Inoltre, il mio interesse principale, era di focalizzare le persecuzioni antiebraiche e degli effetti devastanti subiti della comunità ebraica locale. Ciò non esclude che in futuro non potrei occuparmi anche di questo argomento”.
Qual è, secondo lei, il motivo che la Comunità ebraica di Fiume si sta ancor sempre difficilmente rinnovando?
“La componente ebraica di Fiume ha subito grandissime perdite umane nella Shoah. Alcune a causa dell’emigrazione e altre, in particolare, a causa dell’annientamento fisico dei loro componenti. Sono queste la ragioni principali che caratterizzano il suo difficile rinnovo, come d’altronde quasi tutte le comunità ebraiche europee nel dopoguerra. Poi, ci sono altre ragioni che hanno influenzato la situazione come ad esempio il mutamento del sistema politico avvenuto nell’Alto Adriatico subito dopo la conclusione del conflitto”.
Gianfranco Miksa
“la Voce del Popolo” 1 giugno 2013