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Dalmazia: il triste destino dei leoni alati (Voce del Popolo 13 mar)

di Dino Saffi

Lavori di conservazione sì, re­stauro no. La differenza tra questi due concetti appare "sottile", forse difficile da cogliere, eppure indica in maniera eloquen­te il rapporto dell'attuale élite dal­mata verso il passato della regione. Stiamo parlando del caso del bas­sorilievo del Leone marciano, inca­stonato nel bastione della Cittadella a Zara, nelle immediate vicinanze della Fossa. La ragione che spinge a compiere simili "capriole dialet­tiche" la si evince alla perfezione dalle parole del sindaco zaratino, Zvonimir Vrancic: "Ogniqualvolta a Zara si menziona il restauro dei leoni, si risvegliano alcune associa­zioni storiche".

E la vicenda è chiaramente una di quelle che fa riandare con la me­moria alla storia, in questo caso alla triste sorte toccata al simbolo della Serenissima al momento della ca­duta della Repubblica di Venezia e che si ripetè in terra dalmata nella prima metà del Novecento.

RISPETTATO E TEMUTO L'emblema leonino, allo stesso tempo rassicurante ed ammonito­re, ha accompagnato per secoli la Serenissima nella felice ed infausta sorte. Rispettato, venerato e temuto nel periodo favorevole dell'espan­sione commerciale e territoriale nelle isole greche, sulle coste dal­mate e in Terraferma; dileggiato e profanato, come spesso avviene nel cambio dei regimi, nel lungo, ine­sorabile riflusso, seguito alla cadu­ta definitiva della Serenissima il 16 maggio 1797.

Il leone divenne emblema reli­gioso e politico di Venezia dal XIII secolo. Per affermarsi pienamente in età gotica ed ancor più in epoca rinascimentale.

Dai leoni marciani più antichi a quelli più recenti è trascorso quasi un millennio e i modi di esecuzione hanno risentito degli stili dell'epoca in cui sono eseguiti, anche le scrit­te, a parte quella consueta Pax tibi Marce evangelista meus, hanno ri­sentito talora delle vicende o dei tempi.

Numerose le interpretazioni possibili riguardo la combinazione tra spada e libro: il solo libro aper­to è ritenuto simbolo della sovranità dello Stato (numerose le raffigura­zioni dei dogi inginocchiati davan­ti a tale raffigurazione), il solo libro chiuso è invece ritenuto simbolo della sovranità delegata e quindi delle pubbliche magistrature, il li­bro aperto e la spada a terra non visibile sono ritenuti simbolo del­la condizione di pace per la Sere­nissima.

La scritta classica che compare sul libro aperto recita: PAX TIBI MARCE EVANGELISTA MEUS, con l'aggiunta talvolta in calce: JE­SUS DIXIT. Molte le scritte alter­native che comparivano comunque specialmente nelle città della Dal­mazia e nelle isole dell'Egeo come a Zara: Pax tibi semper quia dedisti pacem nobis, Pace sempre a te che desti pace a noi; oppure a Corfu: Sub umbra alarum tuarum prote-ge nos, Sotto l'ombra delle tue ali proteggi noi. A Genova su un leone preda di guerra dall'Istria: Marcum ecce ego mitto angelus meum ante faciam tuam qui preparabit viam tuam ante te, Marco ecco mando il mio angelo dinnanzi a te per pre­pararti la strada. A Trau: Iniusti pu-nirentur et semen impiorum peribit, gli ingiusti saranno puniti e il seme degli empi perirà.

CANCELLARE LA MEMO­RIA La dimostrazione dell'impor­tanza di questo simbolo sta nel fatto che i nemici della Repubblica di Venezia in varie epoche cercarono di cancellare la memoria della Se­renissima distruggendone i simbo­li. Le prime distruzioni dei simboli marciani avvennero all'epoca della Lega di Cambrai, 1509-1517. Al grido di: "Mora San Marco con tute le forze, San Marco impicà" venne­ro abbattutti numerosi leoni ai confini della Repubblica.

La seconda e più grave devastazione avvenne durante la dominazione francese, breve ma capillare. Durante tutto il 1797 su ordine preciso: "Far abbat­tere in tutte le città di terraferma i leoni di San Marco", vennero scal­pellati oltre mille simboli marciani in tutto il territorio con esclusione dell'Istria. Beneto Giraldon era il nome del capo scalpellino incari­cato di procedere al disfacimento. Fortunatamente l'Austria non con­tinuò la distruzione dei leoni, ma in qualche caso permise la loro ri­collocazione, visto che politica­mente l'epopea veneziana era or­mai un ricordo. Altre distruzioni si verificarono in tempi più recenti: in particolare in Dalmazia negli Anni Venti e Trenta.

FURORE   ICONOCLASTA
Del furore iconoclasta furono vit­tima soprattutto i marmorei leo­ni marciani collocati sugli edifici pubblici e militari del territorio. La furia distruttrice, comunque, non ha cancellato del tutto i leoni marciani: rimangono ancora sul territorio di quelli che furono "lo stato da ter­ra" e "lo stato da mar" numerosissi­mi simboli. Oggi i leoni alati resisto­no impassibili all'indifferenza degli uomini e all'ineluttabilità del tempo che passa. Possono essere considera­ti resti di un periodo sicuramente al­l'insegna della tolleranza, in quanto Venezia era rispettosa delle autono­mie e degli usi civici locali.
Ma soprattutto dopo la fine del­la Prima guerra mondiale e la caduta dell'Austria-Ungheria essi sono stati spesso e volentieri considerati sim­boli di italianità da cancellare. Un modo per rimuovere la memoria non soltanto della Serenissima, ma so­prattutto dei residui della presenza culturale italiana in Dalmazia.

LA RESA DEI CONTI A PAR­TIRE DAL 1921 La resa dei conti con i leoni alati ebbe inizio nel 1921 dopo il ritiro delle truppe italiane da gran parte del territorio dalma­ta. Che il clima non fosse propizio per la salvaguardia dei monumenti del passato e che la furia iconoclasta si potesse abbattere in quel frangen­te storico sui simboli di San Marco, era ben chiaro anche al responsabi­le della sovrintendenza alle belle arti regionali, don Frane Bulic, il quale già il 15 aprile 1921 in una missi­va inviata al Consiglio nazionale di Curzola aveva espresso il timore che "dopo la partenza degli italiani" si potesse giungere "nell'atmosfera di entusiasmo creatasi", alla distru­zione dei monumenti degli "ex Stati e in particolare del governo venezia­no in Dalmazia". Pertanto don Fra­ne Bulic aveva chiesto alle autorità competenti di impedire che si verifi­cassero atti vandalici. La sovrinten­denza anzi aveva inviato una circo­lare in cui aveva invitato a cessare di distruggere quelli che erano "monu­menti storici". Invano. Subito dopo il ritiro italiano, ad esempio, alcuni leoni marciani erano stati danneg­giati a Curzola da abitanti della lo­calità di Racisce.

Ma i momenti peggiori doveva­no ancora venire. A suscitare grande scalpore nell'opinione pubblica di allora era stato l'incidente del primo dicembre 1932, quando a Traù (Trogir) gli appartenenti al Sokol aveva­no danneggiato o distrutto addirittu­ra otto leoni marciani. Ma già prima, nel 1930, il leone alato era stato ri­mosso a Veglia.

Il periodo più tragico per il vec­chio simbolo è stato quello succes­sivo alla capitolazione dell'Italia, ovvero all'8 settembre 1943, quan­do sono stati distrutti o danneggia­ti parecchi leoni. E non soltanto da parte delle autorità comuniste, ma anche da parte di quelle dello Stato indipendente croato (NDH) di Ante Pavelic. Le autorità dell'NDH han­no sistematicamente rimosso a Spa­lato i leoni nell'autunno del 1943, dopo diversi articoli pubblicati sul quotidiano locale "Novo Doba". In uno di questi articoli si rilevava, ad esempio: "Non siamo in linea di principio per la distruzione dei mo­numento storici che hanno un qual­che valore artistico. Comunque sia­mo dell'opinione che alcuni simbo­li pubblici dello straniero vadano rimossi dalla città". E questi sim­boli sarebbero "i vecchi leoni vene­ziani" che "non hanno alcun valore artistico". Dopo il completamento dell'opera di rimozione, alla fine di novembre, la municipalità spala­tina era stata lodata per "aver ope­rato bene, per aver fatto rimuovere tutti quei segni stranieri di schiavitù dalle mura della nostra città croata di Spalato".

ECCESSO DI ZELO Anche nelle zone sotto il controllo partigia­no si erano verificati incidenti, come testimonia in uno scritto l'ex capo della missione militare alleata pres­so il Comando supremo dell'Eserci­to popolare di Liberazione, Fitzroy Maclean. Egli ricorda di essersi re­cato in visita a Curzola in un "vec­chio palazzo veneziano nel quale si erano insediati i nuovi padroni del­la città… Sul portone c'era una statua di San Marco priva della testa, che probabilmente era stata decapitata da qualche partigiano troppo zelan­te". Nel dopoguerra va menzionato il periodo della crisi di Trieste della fine del 1953, quando in tutta la ex Jugoslavia si erano svolte manifesta­zioni di protesta contro il passaggio del capoluogo giuliano sotto l'am­ministrazione italiana. In quel fran­gente a Zara erano stati danneggiati alcuni leoni. Tra di essi c'era anche quello sulla Porta di Terraferma, che era riuscito a sopravvivere persino ai pesanti bombardamenti alleati della città nella Seconda guerra mondiale.

Il resto è storia dei nostri giorni. Quel passato burrascoso è alle no­stre spalle. Anche se il suo peso si fa sentire, comunque, l'impressione è che a Zara e in genere in Croazia, cominci a maturare la consapevolez­za della necessità di tutelare i simbo­li storici, senza snaturare il loro rea­le significato con arbitrarie interpre­tazioni storiche. Se i politici vanno con i piedi di piombo, il clima che traspare dagli articoli di stampa è molto più propizio. Così il 13 gen­naio 2005 tutti i più importanti mass media croati hanno riportato la no­tizia della "riemersione" dalle ac­que fangose della Fossa di Traù di un leone alato danneggiato, uno dei tanti che una volta ornavano questa città dalmata.

LA «PRUDENZA» DEL PRI­MO CITTADINO E nella vicenda zaratina pure i toni sono stati sfuma­ti, se non di apertura. Certo gli esperti della sovrintendenza hanno respinto la proposta di restauro firmata dal­la locale Comunità degli italiani (da realizzarsi con il cofinanziamento della Regione Veneto, ovvero con i fondi della legge sulla conservazione e il recupero del patrimonio veneto) , affermando che "la ricostruzione è un'operazione impossibile da com­piere per la mancanza dei disegni originali e di fotografie del bassori­lievo, scattate prima del suo danneg­giamento". Inoltre una ricostruzione non sarebbe giustificata nemmeno dalla "qualità artistica del bassorilie­vo". Gli esperti zaratini hanno co­munque sottolineato che il reperto va "analizzato, ripulito e conservato". E il loro giudizio è stato fatto pro­prio dal "prudente" sindaco Zvonimir Vrancic, il quale probabilmente per evitare le "associazioni storiche" menzionate in precedenza, nella sua delibera non parla in alcun posto del leone, ma ricorre alla circonlocuzio­ne "rilievo di pietra, simbolo di San Marco".

La Comunità degli Italiani, in ogni caso è soddisfatta già per la decisione di procedere comunque alla conservazione del bassorilievo, che verrà cofinanziata attingendo ai fondi veneti. La politica dei piccoli passi è sicuramente la più saggia, te­nendo conto del fatto che le autorità, chiaramente, prima di muoversi, vo­gliono tastare gli umori dell'opinione pubblica. Che a giudicare anche dai riscontri sulla stampa locale non ap­paiono di certo negativi, anzi.

 

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