FIUME – Fra poco più di un mese ricorreranno i novant’anni di quel Natale di sangue che determinò la fine dell’impresa di Fiume, portata avanti da Gabriele D’Annunzio tra il settembre del 1919 e il dicembre del 1920. Come riportò il Vate stesso: “Il delitto è consumato. Le truppe regie hanno dato a Fiume il Natale funebre. Nella notte trasportiamo sulle barelle i nostri feriti e i nostri morti. Resistiamo disperatamente, uno contro dieci, uno contro venti. Nessuno passerà, se non sopra i nostri corpi. Abbiamo fatto saltare tutti i ponti dell’Eneo. Combatteremo tutta la notte. E domani alla prima luce del giorno speriamo di guardare in faccia gli assassini della città martire.” È uno dei tanti scritti lasciati dal Poeta Soldato abruzzese, il cui nome viene accostato preferibilmente alle sue quasi leggendarie azioni, piuttosto che al suo ruolo nella letteratura italiana. Azioni epiche e attività politica nazionalistica, di cui l’epopea fiumana rappresentò indubbiamente il culmine, e che in fin dei conti lo rese famoso a livello internazionale, tanto che D’Annunzio a Fiume fa ancora parlare di sé (per non dire che il personaggio stesso rimane, a distanza di ormai oltre settant’anni dalla sua scomparsa, uno dei pochi italiani che suscita più attenzione dopo la sua morte, di quanto non avesse fatto durante la sua turbolenta esistenza).
ARGOMENTO DIFFICILE Parlare di D’Annunzio è tutt’altro che facile e parlare di D’Annunzio nella città che lo ha visto indiscusso protagonista è ancor più difficile, o meglio continua a essere difficile nonostante le (timide) aperture degli ultimi anni. È difficile se si vuole farlo in maniera intellettualmente onesta, improntata alla comprensione più completa del fenomeno, rifuggendo da interpretazioni semplicistiche o di parte, rompendo la prassi degli appiattimenti schematici, quella dell’esaltazione retorica e quella della demolizione tout court. In altre parole, discuterne liberamente per rileggerne la figura e l’opera complessiva, senza pregiudizi di sorta, senza emettere giudizi o sentenze basati su considerazioni di carattere politico (ideologico o nazionale) o morale, come spesso (purtroppo) è avvenuto finora. Ed è forse un paradosso, che ad essere restii a parlare di D’Annnuzio in modo diverso, “costruttivo”, siano proprio gli storici e i politici di Fiume.
È un peccato che non si riesca a “capitalizzare” quest’esperienza, che ha portato la città al centro dell’attenzione della politica mondiale. In pochi mesi – sedici – si sono verificati fatti in cui si possono riconoscere, condensati, fermenti e fenomeni che hanno caratterizzato secoli di storia, dalla specifica posizione geopolitica della città – che ha avuto uno sviluppo proprio, staccato dalle esperienze dell’Istria, della Dalmazia, del suo hinterland, e, in fin dei conti della stessa sponda orientale dell’Eneo –, alla sua pluriculturalità e multietnicità, alle rivendicazioni delle diverse realtà nazionali nei suoi confronti, alla sua propensione all’autonomismo, alla singolarità del suo dialetto, all’indole pragmatica di fiumani (da alcuni scambiata per “settebandierismo”), alla loro gioia di vivere, ma anche al coraggio delle scelte, all’attaccamento alla propria… Torre Civica…
CAMBIARE L’ATTEGGIAMENTO Invece l’atteggiamento che prevale a Fiume e presso la sua storiografia da ormai quasi sessant’anni – salvo rare e sporadiche eccezioni, che confermano la regola – si alterna tra una generale indifferenza e una squalificante condanna del personaggio D’Annunzio. Si ricorderanno alcune affermazioni fatte al convegno scientifico di un anno fa, organizzato in concomitanza con il novantennale dell’impresa fiumana – intitolato “Gabriele D’Annunzio e la sua protofascista Reggenza italiana del Carnaro” – su iniziaitva dell’Istituto per le scienze storiche e sociali dell’Accademia croata delle scienze e delle arti a Fiume, della Società storica di Fiume e dall’Associazione dei combattenti e degli antifascisti. In quell’occasione furono illustrati alcuni aspetti del governo dannunziano, definendo il medesimo uno dei periodi peggiori nella storia di Fiume. A dodici mesi da quell’appuntamento – in cui nessun esponente della storiografia italiana, che pur avrebbe potuto e avuto da (ri)dire sull’argomento, vista l’attenzione con la quale viene studiata, a tutto tondo, la figura di D’Annunzio –, la Società di Studi Fiumani, rispettivamente l’Archivio – Museo Storico di Fiume a Roma, ha offerto e presentato al pubblico, alla città, ai ricercatori, agli appassionati del passato fiumano, uno strumento d’indagine nuovo, che indubbiamente sarà utile e renderà più agile e agevole il lavoro di esplorazione e approfondimento della tematica. Tale strumento, eccellente base di partenza e spunto per ulteriori analisi, è stato proposto mercoledì sera alla Comunità degli Italiani di Fiume, dal suo “creatore”, Danilo Luigi Massagrande e dalla Società che lo ha promosso e pubblicato. La presenza di un nutrito e coinvolto uditorio è stata un’ulteriore conferma dell’interesse che continua a restare vivo sulla questione dannunziana.
PROGETTO LUNGIMIRANTE Uno strumento, si diceva; con questo libro ha esordito la nuova collana avviata dalla Società di Studi Fiumani, rispettivamente Archivio – Museo Storico di Fiume a Roma, intitolata per l’appunto “Strumenti”. Il volume, “D’Annunzio e Fiume. Autografi dannunziani nell’Archivio della Società di Studi Fiumani”, è stato curato da Danilo Luigi Massagrande e stampato nel 2009 con il contributo del Governo Italiano ai sensi della Legge n. 296/06. Mette “in vetrina” una parte del ricco e variegato materiale – tra cimeli, documenti, opere d’arte, monete, raccolte fotografiche e filateliche, libri – che non può, per sua natura, essere esposto nella sede della Società, e quindi lo rende perfettamente visibile: il vasto archivio contenente carte dannunziane; carte che sono state classificate, ordinate, sistemate nelle 213 pagine del volume di Massagrande. Si tratta di materiale di mano o avente traccia della mano di Gabriele d’Annunzio, in buona parte inedito, con originali e anche copie (ma che assumono grande rilevanza in quanto dell’originale s’è ormai persa traccia e forse addirittura non esiste più). Il libro, corredato da un’interessante appendice iconografica, si apre con una prefazione di Amleto Ballarini, presidente della Società di Studi Fiumani e con un’introduzione esplicativa del lavoro svolto. I documenti appartengono a diversi fondi archivistici: Archivio Generale, Archivio Gian Proda, Archivio Grossich, Archivio Zanella, Fondo miscellaneo Gabriele D’Annunzio, Fondo miscellaneo già Depoli, Fondo Personalità Fiumane e Fondo Vosilla.
Ciò che si offre al lettore è una panoramica che comprende prevalentemente la corrispondenza diretta intrattenuta da D’Annunzio con personaggi a lui contemporanei, ma anche a imprese, istituzioni o associazioni. Ci sono poi ancora dediche (che stanno su volumi di D’Annunzio o sui fogli di carta recanti motti o intestazioni), lettere agli Italiani, al Podestà e al Popolo sovrano di Fiume (orazioni e/o perorazioni), lasciapassare, dichiarazioni, disposizioni, testi di discorsi, proclami, lavori letterari o giornalistici o d’occasione, e poi un’infinità di carte – fotografie, inviti a pranzi/cene/cerimonie/eventi, buste – recanti la firma del Vate. Il documento più antico è datato dicembre 1895 (dedica a Paolo Valera), quello più recente 15 dicembre 1937. Ovviamente il materiale più cospicuo è compreso nell’arco cronologico dell’Impresa fiumana.
INTERESSANTI CORRISPONDENZE Una delle parti più interessanti del volume è quella riproducente il contenuto delle lettere, rispettivamente un saggio del materiale inedito che è stato abbracciato da questo lavoro di Massagrande. Emergono sì i rapporti, molto intimi, che D’Annunzio ebbe con le più eminenti personalità di Fiume dell’epoca – tra cui con Icilio e Iti Baccich, quelle ad Antonio Grossich, Attilio Prodam, Lionello Lenaz, Giovanni Host Venturi, Armando Odenigo e altre. E poi ancora lettere ai responsabili della Marina italiana, in particolare con i comandanti delle navi da guerra, lettere al gentil sesso… Il tutto è accompagnato da note biografiche a piè di pagina, attraverso le quali è possibile ricostruire parte dell’identikit di una certa classe dirigente fiumana o di personalità che hanno gravitato su Fiume in quel periodo, come pure emergono alcuni retroscena storici e problemi relativi alla stessa Reggenza italiana del Carnaro e alle sue evoluzioni.
QUI CONTRA NOS? Impera su tutto lo stile comunicativo di D’Annunzio, il valore estetico che esso contiene, la funzione altamente immaginativa della sua parola. Un vocabolario ricco, di grande impatto, anche scenico. Guardando al lato puramente estetico, sono piccole fiale di pura seduzione, di un fascino che è riuscito non solo conquistare le più ambite donne del suo tempo, comprese quelle di Fiume, ma ha infervorato gli animi degli uomini, ammaliato gran parte della società dell’epoca. Ma se il suo fascino ha fatto indubbiamente breccia nei cuori, le sue azioni politiche non sono state altrettanto fortunate. Hanno avuto contro il mondo tutto, Italia compresa. A dispetto quasi di quel ”qui contra nos?” (chi contro di noi?), celebre frase dannunziana divenuta il motto della Reggenza Italiana del Carnaro. Riproposto sulla copertina azzurra del volume di Massagrande, resta il ricordo di un sogno cher parve realizzarsi e che invece poi svanì.
FIORI NUTRITI DI CORAGGIO E alcune delle conseguenze di questo naufragio, noi fiumani, italiani rimasti, le risentiamo purtroppo tutt’oggi, vivendo in una città che non riesce, o non vuole, recuperare interamente la propria memoria. Ma, come scrisse D’Annunzio, inviando un omaggio floreale a Ottavia Ceccherini Biondi (moglie di Santi Ceccherini, ufficiale generale dell’Esercito italiano che partecipò all’Impresa di Fiume e assunse funzioni in seno alle forze armate fiumane, ma poi entrò in disaccordo con D’Annunzio e lasciò la città), “i fiori di Fiume sono poveri ma nutriti di coraggio”. E il loro seme continua ad alimentare la fiducia del popolo fiumano nel suo futuro europeo. Dove la storia si fa e si farà sulla base delle “carte”, delle fonti attendibili e certe, ricomponendo le fratture del passato e le divisioni che permangono nel presente, sia tra popoli storicamente nemici sia tra gruppi che compongono la stessa unità nazionale.
Ilaria Rocchi