«Coi cuscini sotto il braccio. A piedi da piazza Garibaldi a via Piccardi dove avremmo abitato. Questo è stato il nostro viaggio di nozze».
Così Neva e Adriano de Rota ricordano quanto accadde il 19 settembre 1943, il giorno del loro matrimonio. Ora, a 70 anni di distanza da quella cerimonia svoltasi in tempo di guerra, quando i nazisti si erano appropriati da pochi giorni di gran parte dell’Italia, si ripromettono di ritornare nella Cattedrale di San Giusto per ricordare il “sì” che ha cambiato le loro vite. Lo hanno già fatto nel 1968, nel venticinquesimo anno del loro matrimonio; e ancora nel 1993, a mezzo secolo di distanza da quella camminata con i cuscini sotto il braccio, dopo essere usciti a braccetto dalla cattedrale e aver posato per un attimo davanti all’obiettivo della fotocamera di un parente.
Oggi una sola immagine di quella cerimonia è sopravvissuta faticosamente alle violenze della guerra e ai 40 giorni dell’occupazione jugoslava di Trieste. Adriano de Rota, 96 anni, decano dei fotografi triestini, spiega che tutto l’archivio conservato dello studio di Largo Barriera fu gettato nella spazzatura nel maggio del 1945, quando le truppe di Tito si impadronirono della città. Paura, timori di rappresaglie, odio, vendette. «La decisione fu di mio padre Ezio che aveva fondato lo studio nel lontano 1903. All’epoca le immagini venivano realizzate all’ultimo piano dello stabile usando unicamente la luce del sole. Non esistevano flash e nemmeno lampade elettriche adeguate. Gli assistenti spostavano tende bianche e nere, specchi, pannelli riflettenti; ubbidivano agli ordini del fotografo che una volta ottenuta la luce desiderata, puntava l’obiettivo sul cliente e impressionava le lastre». Poi lo sviluppo e la stampa.
In quello studio di Largo Barriera sono passate teste blasonate come i Principi di Torre e Tasso di Duino e i Windisch-Graetz che all’inizio dello scorso secolo vivevano nel rione di Barcola. «Tutto perso, tutto finito nelle immondizie nel 1945», dice Adriano de Rota con mestizia e rimpianto. Nello stesso studio nel maggio e nel giugno del 1945 sono invece saliti centinaia di militari jugoslavi che volevano farsi ritrarre. «Le scale dei cinque piani dello stabile erano affollate di tanti giovani in divisa perché la voce si era sparsa nei reparti. Fui anche chiamato al loro comando di villa Necker. Mi pagavano con pacchi di margarina per realizzare le foto segnaletiche necessarie ai tesserini dei soldati. C’era molta fame all’epoca e quella margarina era ben gradita…».
Dal 1945 al 2001, quando Adriano de Rota cessò la propria attività, gli otturatori delle sue fotocamere si sono aperti e chiusi più di 400 mila volte, realizzando una sequenza di altrettante immagini. I negativi – lastre e pellicole – oggi sono conservati a Palazzo Gopcevich, nella fototeca comunale a cui sono stati affidati dalla Fondazione CRTrieste che le aveva acquistate dall’autore nel 2000. «Sono in buone mani», aveva detto all’epoca Adriano de Rota. Oggi a 13 anni di distanza il lavoro di catalogazione e digitalizzazione ha compiuto un terzo del suo cammino. A Sophia Loren, Maria Callas, Walter Chiari, Piero Cappuccilli, Federico Fellini e ad altre centinaia di personaggi dello spettacolo si affiancheranno a breve scadenza sul video le immagini dei piloti delle auto della Trieste – Opicina, dei calciatori della Triestina in Serie A, dei ragazzini dei corsi della Ginnastica Triestina diretti dal maestro Piero de Jurco, degli arrivi delle corse all’Ippodromo di Montebello.
Molte di queste immagini sono state stampate sulle pagine di giornali e quotidiani. «Un lavoro durissimo, da fame, pagato solo a pubblicazione avvenuta: 300 lire a foto», ricorda Adriano de Rota. «Di fotogiornalismo non si viveva; si guadagnava invece con le immagini e i ritratti realizzati nello studio, ai matrimoni, ai battesimi e alla cerimonie».
Claudio Ernè
www.ilpiccolo.it 15 settembre 2013