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Dignano: quando i partigiani arrestarono mio padre (Corriere Chieri 18 feb)

Esodo «Nell'ottobre '46 partimmo con la motonave "Saturnia" lasciando tutto: casa, lavoro, un uliveto»

Pulizia etnica «Nelle foibe finivano per prime le persone più in vista sacerdoti, medici, farmacisti, insegnanti»

 

«Quando i partigiani arrestarono mio padre»

 

La famiglia Toffetti fuggì in nave

 

Profughi istriani s'imbarcano a Pola per fuggire dalla loro terra ceduta alla Jugoslavia di Tito

 

■ «I partigiani titini entrarono in casa nostra, a Dignano d'Istria, e arrestarono mio padre. Lo vedo an­cora sulla porta, e ho quel pensie­ro: finirà in una foiba».

Gianna Toffetti ha 71 anni: è molto conosciuta in città sia per­ché ha insegnato a lungo inglese nelle scuole medie, sia perché pre­siede il Volontariato Vincenziano, al Duomo.

«Era il 1946: a mio papà andò be­ne, perché dopo gualche giorno ven­ne scarcerato».

Ma la famiglia Toffetti, come gran parte di quelle che si trova­vano della "zona B" dell'Istria, sot­to l'influenza jugoslava, capì che la situazione stava diventando troppo rischiosa. «Era una sorta di pulizia etnica. Nelle foibefinivano per prime le persone più in vista: i sacerdoti, i medici, i farmacisti, gli insegnanti. Il tentativo era di crea­re un'atmosfera di terrore, per far scappare tutti».

Non restò allora che imbocca­re la strada dell'esodo: «Nell'otto­bre '46 ci trasferimmo nella "zona A", intorno a Trieste, controllata dagli Alleati:partimmo con la mo­tonave "Saturnia". Quella dei miei non era una famiglia ricca, ma sta­va abbastanza bene. Lasciarono tutto: il lavoro, la casa, un oliveto».

A Trieste i Toffetti avevano un cugino, Gianni Bartoli, che in se­guito divenne sindaco della città e ne promosse la "seconda reden­zione", con il ricongiungimento all'Italia. «Si era laureato al Poli­tecnico di Torino:fu Ma suggerir­ci di emigrare in Piemonte».

La famiglia esule approda a To­rino nel febbraio del '47. Per quattro giorni abita alle "casermette" di borgo San Paolo, poi viene a sa­pere che il parroco di Andezeno ha un paio di camere che mette a disposizione dei profughi. (Avevo iniziato la terza elementare a Di­gnano, l'ho proseguita a Pola e l'ho terminata ad Andezeno, in una plurìclasse», ricorda. Come vi accolsero gli andezenesi? «Molto bene, con tanta cor­dialità. Addirittura ricordo che il giorno del mio compleanno non a-vrei potuto avere una torta, perché non disponevamo del forno. Me la cucinò la contessa Maria Teresa Balbiano d'Aramengo, che poi di­venne famosa a "Lascia o raddop­pia?"».

Nel frattempo il papà di Gian­na Toffetti aveva trovato lavoro a Chieri: prima in una falegname­ria, e poi al molino Persico al fon­do di via Roma. «Il Comune ci as­segnò una stanza in via San Gior­gio, nell'edificio degli ex combat­tenti Confinavamo con la sala da ballo, per cui la domenica sera ave­vamo il concerto in casa».

Nel '51 arriva il trasferimento nelle prima "case Ina", appena co­struite in via Colomiatti: «Mia ma­dre non aveva più trovato un lavo­ro come impiegata, e allora aveva comperato una macchina per ma­glieria: cosi lavorava in casa».

Che cosa pensa di quella paro­la, "foibe", che non ci sarà sulla lapide che verrà scoperta doma­ni, sabato, al. Parco della Rimem­branza? «E' un termine ormai co­nosciuto da pochi. D'altra parte di recente uno studioso ha esaminato 31 libri scolastici di storia: solo due parlavano del dramma delle foibe».

(courtesy MLH)

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