Gli esuli avrebbero «rinunciato di propria volontà» al patrimonio-di cui disponevano «in cambio della cittadinanza italiana». A sostenere una simile tesi è il notiziario bilingue della Città di Dignano "Attinianum" in un articolo apparso sul numero del dicembre 2009.
«La Città di Dignano – si legge nel testo in lingua italiana -, considerando la specificità della sua posizione e della sua storia, ha molti problemi anche con il patrimonio degli optanti. In tal senso già da molti anni sta aggiornando i dati sulle proprietà in questione, ovvero sta raccogliendo da vari organi preposti i dati sulle persone registrate quali proprietari formali degli immobili, iscritte come optanti, ovvero come soggetti che hanno rinunciato di propria volontà al patrimonio nell'ex stato, in cambio della cittadinanza italiana loro concessa. Si tratta di immobili iscritti quali proprietà di optanti, ma che in realtà risultano registrati quali proprietà della Città di Dignano. La documentazione raccolta sugli optanti va poi consegnata all'ufficio regionale preposto, che avvia l'iter sullo status del patrimonio di optanti. Nel caso in cui si stabilisca che si tratta realmente di proprietà di optanti, l'ufficio della Regione Istriana che se ne occupa emana un decreto confermativo che viene inoltrato al tribunale catastale che a sua volta iscrive la Città di Dignano quale proprietario formale degli immobili in questione».
Non è affatto vero però che gli "optanti" abbiano rinunciato ai propri beni, tantomeno «di propria volontà», in cambio della cittadinanza italiana! L'Allegato XIV del Trattato di pace stabilisce al comma 9 che i beni, diritti e interessi dei cittadini italiani residenti al 16 settembre 1947 nei territori ceduti avrebbero dovuto essere rispettati come quelli dei cittadini jugoslavi, mentre i beni, diritti e interessi dei cittadini italiani non residenti avrebbero dovuto essere rispettati come quelli dei cittadini stranieri. In base all'art. 79 dello stesso "diktat", tali beni, diritti e interessi non avrebbero potuto essere trattenuti o liquidati in compensazione delle riparazioni per danni di guerra, ma avrebbero dovuto essere restituiti ai legittimi proprietari senza alcuna delle misure restrittive prese fra il 3 settembre 1943 e il 16 settembre 1947.
L'articolo 19 dispone inoltre che «tutti i cittadini italiani che, al 10 giugno 1940, erano domiciliati in territorio ceduto dall'Italia» alla Jugoslavia «ed i loro figli nati dopo quella data» avrebbero avuto la «facoltà di optare per la cittadinanza italiana» entro un anno dall'entrata in vigore del trattato (dunque entro il 15 settembre 1948, data poi prorogata), a patto che la loro lingua «usuale» fosse l'italiano. La Jugoslavia era però legittimata a costringere gli optanti a trasferirsi in Italia entro un anno, cosa che non esitò a fare.
Dunque il trattato di Parigi parla chiaro: non c'era nessun legame fra opzione e beni, ma "solo" (ahinoi!) fra opzione ed esodo. I beni di quanti optarono per la cittadinanza italiana avrebbero dovuto essere conservati o restituiti (se in precedenza sottratti). La cittadinanza italiana non sarebbe stata «concessa» a quanti erano già cittadini italiani, ma sarebbe stata semplicemente conservata. Quanti invece, non avendo esercitato il diritto di opzione, rimasero nei territori ceduti perdettero, sempre ai sensi dell'articolo 19, la cittadinanza italiana acquisendo quella jugoslava.
Vero è che le autorità comuniste non restituirono il maltolto e anzi continuarono a man bassa con gli espropri. A seguito di tale condotta illegale, il 23 maggio 1949 i governi italiano e jugoslavo firmarono un accordo che lasciò in mano a Tito, quale compensazione per i danni di guerra, i beni rubati agli esuli e istituì una commissione bilaterale con il compito di stabilire la cifra che la Federativa avrebbe dovuto pagare per il loro indennizzo. Ne derivò la legge italiana 1.064 del 1949, che stabiliva per gli aventi diritto che ne avessero fatto richiesta un indennizzo sulla base della misera cifra versata dalla Jugoslavia. A quella legge sull'indennizzo ne fecero seguito altre ancora peggiori, sempre in violazione al Trattato di pace oltre che ai più elementari principi di giustizia.
«I problemi relativi il patrimonio degli optanti – aggiunge l'articolo di "Attinianum" – riguardano anche il dato di fatto che tali proprietà vengono alienate abusivamente, ovvero che persone terze che non hanno alcun diritto sugli immobili in questione trovano i "veri proprietari", o meglio i loro eredi iscritti al catasto quali proprietari ufficiali e fanno da mediatori nella vendita degli stessi immobili (che non risultano di proprietà della Città di Dignano), facendosi pagare la provvigione».
In sostanza l'amministrazione comunale di Dignano si lamenta perché certe agenzie immobiliari fanno da intermediarie fra i discendenti degli esuli espropriati e gli acquirenti, ricavando un compenso sulla vendita di beni che la Città vorrebbe invece accaparrarsi sottraendoli agli esuli.
«Nel comprensorio della Città di Dignano – continua l'articolo -ci sono anche moltissimi immobili ancora iscritti al catasto come proprietà sociale, pubblica. Si tratta anche di proprietà sulle quali la Città non ha alcun diritto di iscriversi quale proprietario e perciò anche per tali immobili, nel processo di soluzione dei problemi giuridico-patrimoniali, si sta lavorando velocemente alla trascrizione della proprietà a favore della Città di Dignano. Finora sono già stati risolti lo status patrimoniale e la relativa trascrizione al catasto di un grande numero di questi immobili».
In sostanza la Città di Dignano si rallegra di essersi impadronita di molti beni degli esuli divenuti in epoca jugoslava di «proprietà sociale» e rende noto di voler acquisire anche i rimanenti, con lo scopo non di restituirli ai legittimi titolari, ma di trarne un utile vendendoli o affittandoli. Tale comportamento, che dura da anni e non riguarda certo solo Dignano, è moralmente riprovevole, oltre che in contrasto col Trattato di pace.
«La decisione presa dalla Città di Dignano – commenta Maria Biasiol Aprà, l'esule dignanese residente a Torino che ci ha fornito l'articolo in questione – appare come un vero e proprio esproprio». Non possiamo che sottoscrivere tali parole. Quanto la Città di Dignano sta facendo è un abuso che completa le illegali procedure di esproprio attuate dalle autorità comuniste jugoslave contro dignanesi "rei" di aver voluto rimanere cittadini italiani.
No: così proprio non va. Impossessarsi, a scopo di lucro, dei beni di chi ha dovuto lasciare la propria terra per fedeltà all'Italia è furbesco e ingiusto.
Invitiamo caldamente la Comunità degli Italiani di Dignano ad attivarsi per tutelare i sacrosanti diritti dei propri compaesani e connazionali esuli, prima che sia troppo tardi.
Al Governo di Roma ribadiamo invece la richiesta che tutti i beni degli esuli ancora "liberi" vengano restituiti ai legittimi titolari.
Paolo Radivo