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Dipiazza: Esuli trascurati e hanno pagato per tutti (Il Piccolo 22 feb)

TRIESTE «Che cosa ho detto al presidente Fini? Gli ho presentato mia madre». La bella signora bionda dice di avere 65 anni, accanto a lei la mamma, che ne ha 90, e che ha assistito alla cerimonia per Norma Cossetto in prima fila, seduta, impellicciata, elegante. «Mia madre – prosegue la signora – era l’amica del cuore di Norma, a Visinada d’Istria».

Si apre così, in mezzo alla folla di un avvenimento pubblico, l’ombra di un’altra storia che forse nessuno ha raccontato ancora fino in fondo, per quanto le cronache riportino il fatto parlando dei funerali di Norma Cossetto. Nel 19 dicembre 1943 l’organo ufficiale del partito fascista di Pola, «Il Corriere istriano», annunciò i funerali di otto «martiri». E le esequie furono comuni, per Norma e per Mario Bellini: «Mi chiamo Mariella Bellini – dice la signora – e questa è mia madre Noemi Cossetto». Lo stesso cognome? «A Visinada d’Istria era un cognome molto diffuso, e poi tra le famiglie c’era anche qualche lontana parentela, una remota cuginanza, ma non la conosco nei dettagli».

La vicenda, però, quella sì Mariella la sa: porta il nome, ingentilito, di suo padre Mario, il marito della anziana mamma. Un padre che non ha mai conosciuto, perché il giovane uomo è stato egli pure inghiottito in una foiba, in una catena di drammi intrecciati strettamente, fatalmente, al destino di Norma, 24 anni nel 1943, quando fu catturata, seviziata, legata, buttata nei buchi del Carso, e cui ora dopo la via è stata intitolato anche un monumento: nel giardinetto circostante sono state versate manciate di terra portate via dalla tomba, che è in Istria.

«Quando Norma scomparve – racconta con turbamento Mariella Bellini -, in quella stessa retata fu catturato anche mio nonno, Eugenio Cossetto. Momenti terribili, subito il padre di Norma, Giuseppe, e mio papà si misero insieme per fare ricerche rispettivamente sulla figlia e sul suocero». Secondo la storiografia, anche per una «spedizione punitiva». «Inutilmente mia nonna Amalia li scongiurò di non muoversi, di non andare in giro» riferisce Mariella.

Sulle tracce della ragazza sparita, in quell’atmosfera di violenza reciproca e di terrore, ben prima di scoprire che cosa fosse successo alla giovane studentessa e al congiunto, i due uomini furono a loro volta catturati dai partigiani, i loro corpi furono ritrovati nella fossa di Treghellizza. «Anche mio padre e mio nonno finirono in una foiba» riferisce Mariella.

Lei sarebbe nata un mese dopo. «Mi hanno dato il nome di mio padre, ma l’hanno un po’ modificato affinché non mi portassi addosso quel ricordo di morte per tutta la vita, è per quello che mi chiamo Mariella, e non Maria».

La mamma Noemi ha stretto la mano a Fini, che si è chinato a salutarla e ha ascoltato dalla figlia le concitate parole che a margine di eventi pubblici è possibile strappare al protocollo. La sorella di Norma, Licia, l’eterna testimone, aveva inizialmente salutato con affetto l’antica amica e quasi parente, e così il resto della famiglia, anche dei giovani nipoti arrivati in via Cossetto, al monumento Cossetto, con mazzi di fiori rigorosamente bianchi, rossi e verdi, con mughetti avvolti da nastri tricolori.

Perché poi la storia da cui si invoca verità è sempre questa: la tragica battaglia in Istria si consumò tra fascisti e partigiani, e gli stessi Cossetto hanno questo tragico passato nella loro memoria vissuta, Norma compresa, che oggi più che mai tende a diventare un simbolo astratto, una vittima dell’inumana violenza non più di parte. Sorride dalla sua lapide in bronzo con la stessa immagine con cui appare nella più diffusa e famosa foto che la ritrae, da cui lo scultore Antonio Volpicelli ha tratto l’effigie. E la sua amica, oggi novantenne, è venuta ancora a salutarla, a salutare un ricordo di bronzo.

(g. z.)

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