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Divampa la polemica sulle opere d’arte istriane (Il Piccolo 25 gen)

di GABRIELLA ZIANI

Si fa il tiro alla fune su base internazionale per una pregevole collezione di quadri, ma in realtà si parla anche di altro. Le associazioni degli esuli tornano a mostrarsi i denti dopo che in Slovenia è stata rilanciata voce secondo cui il presidente Türk, in visita al presidente Napolitano, avrebbe chiesto la restituzione della collezione pittorica portata nel ’41 dall’Istria a Roma per salvarla da azioni di guerra, e attualmente a Trieste.

Mentre l’argomento provoca di nuovo toni acri tra chi ha plaudito al concerto «pacificante» di Muti e dei tre presidenti in piazza Unità, con annesso omaggio a ben scelti monumenti memoriali, e chi invece ha visto di pessimo occhio che sia stata elusa la visita a Basovizza, entra in scena nel mezzo di una battaglia a due (Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e Unione degli istriani) l’illustre e iperpremiato scrittore triestino-sloveno Boris Pahor. Che parteggia senza meno per la richiesta slovena: «Quei quadri devono tornare dov’erano – scandisce – , altrimenti quelle chiese e palazzi sono luoghi monchi». Cioé chiese e palazzi di Pirano e Capodistria.

La «riconciliazione» resta ai piani alti, il dibattito politico è sceso, il centrodestra arma i denti, le due associazioni si sfidano a chi delegittima meglio l’altra, ma nella mischia (e nello specifico) è rientrato sull’argomento anche Vittorio Sgarbi. Fu il critico nel 2002, quand’era sottosegretario, a disseppellire dai magazzini di Palazzo Venezia i 79 «quadri istriani», e oggi affermando che devono restare a Trieste dice però: «Bisogna esporli, non tenerli in magazzino, altrimenti si porge il destro alle richieste altrui». Quanto a una sede, Sgarbi propone il Museo della civiltà istriana, fiumana e dalmata.

E qui salta su il Comune. Alza la voce l’assessore alla Cultura, Massimo Greco: «Quadri in magazzino? Ma dove mai? È falso. Sono esposti nella galleria sotterranea del Museo Sartorio, chiunque pagando il biglietto entra e li vede. Appartengono al ministero, e c’è una convenzione (recentemente rinnovata) tra la Soprintendenza, che non saprebbe dove metterli, e il Comune, per la conservazione e l’esposizione. Se poi li si volesse accasare diversamente – prosegue Greco -, ottima soluzione il Museo della civiltà istriana, o in alternativa un ingresso autonomo ai sotterranei del Museo Sartorio, conservando due sedi ma unificando il percorso. I due musei sono infatti vicini».

La Soprintendenza, col direttore regionale dei Beni culturali Giangiacomo Martines, ha già ricondotto la vicenda nel suo alveo: spetta al ministero dei Beni culturali e alla Farnesina dare indicazioni. E la Farnesina, subito dopo la visita ufficiale di Türk in Italia, si è dimostrata prudente: la proprietà dei quadri non è tutta del ministero, il diritto internazionale in tema di salvaguardia delle opere d’arte è carente, «se un procuratore di Lubiana chiede le opere, se le prende».

Così la prospettiva di organizzare anche solo una mostra fa rizzare i capelli all’Unione degli istriani, irritata anche per la richiesta slovena di rafforzare il bilinguismo a Trieste. Il presidente Massimiliano Lacota ai cugini «pacifisti» dell’Anvgd, e ai loro dirigenti, dice brutalmente: «Lucio Toth e Renzo Codarin, presidente e vicepresidente, non contano niente. Lubiana – afferma – ha richiesto la restituzione dei quadri ponendo la questione al comitato dell’Unesco che si occupa di queste vicende. Quadri fuori dall’Italia? Solo quando il Parlamento di Lubiana avrà riconosciuto con atti ufficiali la proprietà italiana».

Risponde Codarin: «Non vogliamo polemizzare con chi cerca solo spazi, rinfocolare polemiche serve a poco, ma a qualcuno serve». Lacota accusa: al monumento degli esuli scelto dall’Anvgd per il concerto di Muti «non c’era nessuno, e questo la dice lunga sulla loro rappresentatività». Codarin rimbecca: «La nostra posizione fu confermata da un sondaggio, il 97% dei cittadini ha gradito il passaggio a quel monumento». Se Napolitano ha fatto del concerto dei tre presidenti a Trieste un punto fermo della politica estera italiana, a Trieste i 79 quadri fanno regredire il dibattito alle note e insuperate questioni.

Infine il pd Fabio Omero fa la sua proposta, e in fondo condivide l’intento sloveno: rivolgersi all’arbitrato dell’Unesco. «Si torna a strumentalizzare in chiave elettorale la collocazione dei quadri istriani. La soluzione però esiste dal 1978 – afferma Omero -, da quando cioé venne costituito in seno alla Conferenza generale dell’Unesco il ”Comitato intergovernativo per promuovere il rientro dei beni culturali nei loro paesi d’origine o la loro restituzione in caso di appropriazione illecita”. Il Comitato promuove negoziati e cooperazioni bilaterali per risolvere i contenziosi tra paesi sulla restituzione o anche sul ”prestito a lungo termine” dei beni culturali, sta per risolvere il caso delle metope del Partenone, che lord Elgin trafugò agli inizi dell’800 e che la Grecia dal 1983 chiedeva le venissero restituite. Perché non chiedere al Comitato un arbitrato anche tra Italia e Slovenia?».

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