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Don Bonifacio era un prete scomodo (Il Piccolo 04 lug)

TRIESTE «Di mezzo c’è solo la fede. La politica non c’entra niente. Mio fratello è stato fatto sparire perchè era scomodo: era un sacerdote vero, che ha voluto restare vicino ai suoi fedeli anche nel pericolo e sotto le minacce; perchè aiutando la gente ostacolava i titini e la diffusione delle loro dottrine ateiste». In un turbinio di commozione e agitazione, Giovanni Bonifacio, fratello di don Francesco, il sacerdote istriano torturato e infoibato nel 1946 e ora divenuto beato, nel giorno della firma di Benedetto XVI quasi non riesce a parlare.
«È uno dei più bei giorni della mia vita, che ho aspettato e sognato per tanto tempo. Chi non ha vissuto il dramma dell’esodo e delle foibe non può capire cosa sto provando. Don Francesco non è solo mio fratello. È un simbolo per tutti gli istriani e i dalmati». Tra uno squillo del telefono e l’altro, sparpagliando sul tavolo del salotto tante foto del compianto fratello e dell’amata Istria, Giovanni Bonifacio, ultimo rimasto di una famiglia numerosa, fatta di madre, padre e sette figli, parla di don Francesco. Ricorda gli anni passati insieme e racconta la dedizione del fratello per il suo lavoro. «È quello che lo ha ucciso – racconta -. Quando sulle colline istriane calò il terrore e quasi tutti i sacerdoti, minacciati dai miliziani jugoslavi, decisero di andarsene, lui invece restò. Fui io, che nel ’44 ero stato avvisato da un conoscente, a dirgli che era sotto tiro, che volevano che se ne andasse. Glielo comunicai – racconta – e lui corse a Trieste, da monsignor Santin, per avere delle indicazioni. Mio fratello si aspettava la risposta che alla fine ricevette: monsignor Santin gli disse che avrebbe dovuto restare lì a ”proteggere le sue pecorelle”, e così lui fece. Venne minacciato per due anni, ma non abbandonò mai la sua gente, fino a quell’11 settembre in cui, alle 19.30, lo vidi per l’ultima volta, prima che venisse rapito, torturato e infoibato».
Giovanni Bonifacio tiene tra le mani un fascicolo, scritto in prima persona. È un memoriale sulla storia di don Francesco Bonifacio, che forse un giorno renderà pubblico. In quelle pagine ha concentrato intensi ricordi di un passato sofferto e per anni volutamente ignorato da tanti. Su quei fogli ci sono le foto dei paesi che il fratello attraversava quotidianamente per celebrare la messa, confessare, visitare i malati, come Tribano, Musolini, Buzzai, Beredine, Buie; per seguire i ragazzi e le ragazze della «sua» Azione cattolica e del suo coro, a Villa Gargossi.
Sulla possibilità che don Francesco Bonifacio sia stato ucciso per una sua possibile attività politica, Giovanni Bonifacio risponde secco: «Lui non ha mai fatto politica, nè comizi. Scriveva sul quaderno i sermoni: al massimo 12 minuti, solo le parole del Vangelo, niente altro. E teneva sempre le porte della chiesa aperte, affinché tutti sentissero la parola di Dio». (e.c.)

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