Ecco le opere e i giorni di Mons. Janni Sabucco a Fiume dal 1939 al 1948 nella parrocchia del SS.mo Redentore, con don Luigi Polano. Arrestato e torturato dall’OZNA, fino a rovinargli la vista, don Sabucco è esule a Pisa, con la covata di Mons. Ugo Camozzo, ultimo vescovo italiano di Fiume. La sua attività pastorale viene alla luce grazie ai documenti conservati dai suoi parenti in Friuli, in Canada e ai dati dell’autorità dell’Arcidiocesi di Pisa. Il progetto è a cura del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine, cui hanno collaborato l’ANVGD di Arezzo e quella della Toscana.
È su don Janni Sabucco che si intende ora focalizzare l’attenzione. Egli è tra le ultime persone a vedere ancora in vita, pur se malconcio di botte, il senatore Riccardo Gigante, prigioniero dei partigiani comunisti che lo conducono a Castua, luogo dell’esecuzione. Don Sabucco ne descrive la tragica sfilata in una sua pubblicazione intitolata …si chiamava Fiume, del 1953, citata per primo da Luigi Maria Torcoletti, nel 1954, poi da Enrico Burich nel 1964 e da Mario Dassovich nel 1985.
Il senatore Riccardo Gigante, capo dell’irredentismo fiumano, è la prima vittima dei partigiani comunisti slavi. Viene catturato nella sua abitazione la notte stessa dell’invasione. Avrebbe potuto salvarsi in tempo a Trieste, come fece buona parte degli esponenti fascisti, secondo Burich. Perché mai Gigante non si è messo in salvo? Avendo la casa bombardata, perché egli resta a Fiume riparandosi all’Oratorio salesiano con don Girolamo Demartin o in altri posti? I titini, ben informati dalle spie dell’OZNA, lo arrestano a casa del colonnello Salvatore di Caro, già rifugiatosi a Trieste con mezzi pubblici. L’OZNA è il servizio segreto di Tito; la sigla significa “Odeljenje za Zaštitu NAroda”, cioè: Comitato per la difesa del popolo. Da varie fonti si sa che c’era una corriera, o un camion, per portare gli sfollati di Fiume a Trieste, come ha ricordato Miranda Brussich.
Si sa che a Fiume don Janni Sabucco aveva incontrato Gigante nel rifugio Nido Luisa d’Annunzio, ai primi di maggio 1945 (…si chiamava Fiume, p. 8). Lo trova assai sereno. “Intanto lei se ne vada, senatore, gli disse il Sabucco – gli automezzi sono in via Manzoni, non si fidi a rimanere qui”. Riccardo Gigante gli risponde: “Non ho nessun conto da rendere, bisogna che divida la sorte della mia città”. Non immaginava la furia etnica che sarebbe scoppiata con estrema violenza nella città ridotta ormai al lumicino. Al mattino del 4 maggio lo stesso don Sabucco vede Riccardo Gigante risalire via Trieste, seminudo, coi polsi sanguinanti legati con il filo spinato dietro alla schiena, sotto il controllo dei titini – come riportano il già citato don Sabucco, a pag. 8 e don Torcoletti a pag. 297 del suo libro. Poco dopo il senatore è visto anche da Felice Derenzini, in mezzo ad un gruppo di prigionieri. “Mi sembra che andremo molto lontano”, gli disse Riccardo Gigante fissandolo negli occhi (vedi: Burich, pp. 99-100).
Don Sabucco elenca alcune persone note di Fiume “all’improvviso eliminate” dalle bande di Tito, come il senatore Icilio Bacich, il dott. Mario Blasich, l’ingegnere Giovanni Rubinich, Simcich di Borgomarina, il preside Sirola, la madre e figlia Sennis, il direttore della «Fiume» Ancona, la signora Pagan su ricatto e la famiglia di Carlo Colussi. “I loro cari non sanno neppure dove sono le loro tombe” (… si chiamava Fiume, p. 9).
Don Sabucco è pure testimone di una sfilata di “spauriti carabinieri italiani, denudati e con i polsi legati col filo di ferro dietro alle spalle che salgono la lunga via Trieste, colpevoli solo di indossare panni militari che fanno gola a qualche graduato semianalfabeta che vuole avanzare nella carriera con spietatezza” (… si chiamava Fiume, p. 11). La soppressione ordita dai titini con il colpo alla nuca, in questo caso avviene “vicino alla struttura di cemento di un bunker; per poi tornare in città cantando una patetica canzone su Tito violetta bianca…”. Proprio via Trieste è un sito che ritorna in una sua poesia del 1945: “Con le mani nude e il cifrario nel cuore / strapperemo le corazze e i bacilli dell’odio / agli uomini del baccanale di sangue coagulato / sull’asfalto sgretolato di via Trieste”. È intitolata significativamente Ricordo di un massacro a guerra finita (Ascensione 1945). Centinaia di italiani prigionieri dei titini sono ammassati nelle sfilate lungo via Trieste, tanto da lasciare un baccanale di sangue coagulato sull’asfalto. I catturati diretti alla foiba, o alle fosse comuni, sanguinano per le percosse e perché mani, polsi e braccia sono legati col filo spinato. Certo è sconvolgente vedere la violenza slavo comunista elevata a poesia (vedi: Geografia d’occasione, p. 38), ma per don Sabucco quelle sfilate di morituri prigionieri dell’OZNA, potrebbero essere assimilate alla Via Crucis, con i dovuti distinguo.
La fossa di Castua – Di solito i titini a Fiume gettavano i cadaveri degli italiani eliminati nella Fiumara. Si è letto, tuttavia, che una dozzina di italiani, legati col filo di ferro (“el fil de trinca”, in dialetto istro-veneto) sono spintonati e bastonati dai titini fino a Castua, a una dozzina di chilometri da Fiume, oggi in Croazia. Furono presi a calci e pugni fino a rompere loro qualche arto. Sono stati Alessandro Fulloni sul «Corriere della Sera» e Lucia Bellaspiga su «L’Avvenire» a riferirlo, nel 2018. C’è chi ha detto che furono costretti a scavarsi la fossa dove furono seppelliti, ma altre fonti narrano che fu utilizzato un trincerone anticarro che i nazisti della Organizzazione TODT avevano ordinato di scavare ai requisiti locali, donne, ragazzi e vecchi, nel vano tentativo di bloccare l’avanzata dei carri armati iugoslavi.
Uno dei prigionieri di Castua, per provare a sollevare l’animo dei catturati, gridò a squarciagola: “Viva l’Italia! Viva l’Italia!”. Secondo il racconto, era egli il giornalista Nicola Marzucco, detto Nicolino. I resti di sette di quei trucidati, uccisi dai partigiani titini, sono rientrati in Italia il 20 ottobre 2018, proprio a Udine e riposano nel Tempio Ossario. Solo le spoglie del senatore Gigante, riconosciute col test del DNA, sono state traslate nel 2020 al Vittoriale degli Italiani di Gardone Riviera (BS), per volontà dei discendenti. A ritrovare le salme sono stati gli agenti del Commissariato generale per le onoranze ai caduti. Tale ente del Ministero della Difesa si occupa dell’identificazione delle spoglie dei militari italiani morti nelle guerre e del loro rientro in patria. Per detto ente i resti umani sono di ignoti. I corpi dei caduti di Castua sono stati esumati nel mese di luglio 2018 dalle autorità croate, durante una campagna di scavo iniziata dopo una segnalazione, risalente al 1992, effettuata dalla Società di Studi Fiumani, con sede in Roma, con segretario Marino Micich. Erano nel bosco di Loza, in località Crekvina, vicino a Castua.
Grazie agli accordi tra Italia e Croazia si è potuto verificare il rientro delle sette salme nel 2018. Ciò è dovuto alla buona collaborazione tra l’ufficio di Onorcaduti, diretto dal generale Alessandro Veltri, con gli omologhi del “Ministry for Croatian Veterans for Detainees and Missing Persons”. Molto interessante è tale collaborazione tra italiani e croati. Potrà condurre a nuove indagini a Fiume e in certe zone della Dalmazia e dell’Istria. Sono questi i luoghi della tragedia delle foibe. Tali uccisioni e eliminazioni durante il conflitto e nei mesi successivi ad esso provocò la scomparsa di circa 12 mila italiani, per la pulizia etnica titina. Si è cercato di stabilire il nome dei trucidati. Uno dei nomi su cui c’è ormai la ragionevole certezza della sua identità, come accennato, è quello di Riccardo Gigante. Egli era senatore del Regno, ma anche ex sindaco ed ex podestà di Fiume, stretto collaboratore di Gabriele D’Annunzio e, infine, repubblicano di Salò.
Altri due individui possibilmente riconosciuti, come accennato, sono il giornalista Nicola Marzucco e il vicebrigadiere dei carabinieri Alberto Diana. Nella fossa furono gettate dagli slavi anche delle ossa di animali. Questo era un misero stratagemma titino per mescolare le carte, in caso di una esumazione e della scoperta degli omicidi efferati.
Fiume, e allora la liberazione? – Vari storici e gli autori dell’esodo giuliano dalmata considerano l’ingresso dei titini a Fiume come un’occupazione militare senza colpo ferire, così ha scritto Rodolfo Decleva, nel 2020. Altri storici (balcanici o marxisti) la considerano una liberazione dal nazifascismo. Si pensi che certi reparti partigiani slavi erano già sbarcati sul litorale di Mattuglie e Laurana, partiti da Porto Re, accerchiando così Fiume. C’è da dire che soprattutto i titini dal 1° maggio avevano ormai vinto la Corsa per Trieste, anticipando le autoblindo neozelandesi provenienti dal litorale veneto e friulano. Per circa 40 giorni Gorizia, Monfalcone, Pola e Trieste si trovano sotto una ferrea oppressione titina. Ciò provoca pestaggi, arresti e sparatorie contro chi avesse rivendicato l’italianità di quelle zone. Solo dal 12 giugno 1945 nei suddetti territori entrano gli alleati (a Pola il 20 giugno), ma i titini avevano praticato già migliaia di arresti di militari e civili italiani, con conseguente deportazione nelle prigioni iugoslave e uccisione nelle foibe, o nelle cave, o nelle caverne. Fiume e Zara restano sotto il controllo iugoslavo, premessa della futura annessione avvenuta nel 1947, che comprenderà pure l’Istria.
Flavio Fiorentin,esule da Fiume e presidente del Consiglio dei Revisori dei conti del Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, ci ha scritto sul tema: “Vorrei precisare che l’Organizzazione TODT faceva scavare trinceroni o blocchi stradali nei dintorni ed alla periferia di Fiume nell’ultimo mese di presenza tedesca in città non tanto per bloccare carri armati titini (peraltro simbolici o inesistenti), ma piuttosto per confondere il nemico sui punti in cui i tedeschi avrebbero opposto resistenza e tentare invece lo sganciamento improvviso per confluire in Trieste ed attendervi l’arrivo degli anglo-americani.
Le squadre di lavoro erano formate da giovani e uomini reclutati anche e soprattutto in Fiume tra quanti non avevano un lavoro od una occupazione essenziale. Ad esempio ne faceva parte il portinaio dello stabile dove abitava la mia famiglia. Era anche un modo per tener impegnate persone tra le quali avrebbero potuto nascondersi partigiani e terroristi. Alle cinque le squadre dei lavoratori rientravano in città scortate da pochi ed anziani soldati tedeschi e si scioglievano in piazza Dante dopo aver disceso la scalinata cantando, sull’aria di una marcia tedesca, il seguente ritornello: ‘Fiumani demoghèla, / La vita xe più bela! / Ribaltòn, ribaltòn / ghe molèmo sto bidòn. / Viva el ribaltòn!’ [demoghela, ovvero “diamogliela a gambe”, “scappiamo”, era il grido di sopravvivenza del Reggimento austroungarico di fanteria n° 97, con arruolati del litorale, destinati nel 1914 in Galizia, contro i Russi, ripreso qui in associazione al Ribaltòn, ovvero il ribaltone politico militare dell’8 settembre 1943, NdA].
I soldati di scorta, ritenendo si trattasse della traduzione italiana della loro marcetta, scendevano la scalinata tutti impettiti. Con riguardo al senatore Gigante, residente di fronte al palazzo in cui abitavo con i miei genitori, egli scriveva spesso articoli sul quotidiano cittadino «La Vedetta d’Italia». All’inizio del 1944, deluso per l’assenza delle truppe italiane ricostituite nell’area del Quarnaro (ad eccezione di alcuni reparti della X Mas) e per il progressivo controllo tedesco anche sulla Amministrazione civile, scrisse un forte articolo dal titolo significativo “Se ci sei, batti un colpo”. Solamente il 3 maggio 1945, dopo la ritirata notturna dei tedeschi verso Trieste, le truppe titine scesero in città ed all’alba dello stesso giorno l’OZNA venne ad arrestare il senatore Gigante, che aveva rifiutato di abbandonare Fiume.
Prima di seguire gli agenti egli, che era ancora in pigiama, chiese di potersi vestire ed indossò la divisa fascista. È probabile quindi che fosse proprio lui ad essere particolarmente martirizzato nell’ultima camminata verso il luogo dell’esecuzione. Tutto ciò l’abbiamo saputo dal racconto della vedova. Con i migliori saluti. Flavio Fiorentin”.
La sfilata dei prigionieri italiani, fascisti, o presunti tali, sottoposti a violenze varie, deve essere stato un chiodo fisso per la propaganda dei miliziani dell’OZNA. Pure l’ingegnere Alberto Picchiani, prigioniero dei titini è fatto sfilare in gruppo con altri italiani per Arsia, prima di essere soppresso nella foiba di Vines il 5 ottobre 1943, come dal racconto del figlio Roberto.
I titini e don Luigi Polano – In seguito all’arrivo dei titini don Luigi Polano organizza un Comitato fiumano in via S. Nicolò. Un prete dell’esodo fiumano è don Polano, nato nel 1904 a San Daniele del Friuli, in provincia di Udine. Ordinato sacerdote a Udine nel 1927, fu cappellano di Ampezzo, Colza e Maiaso (in Carnia) e cappellano e poi vicario di Blessano (UD). Lasciò la Diocesi di Udine nel 1935 e s’incardinò in quella di Fiume, nel golfo del Quarnaro. Pedinato dall’OZNA, dopo l’esodo del 1945 fu in servizio in veste di cappellano di bordo sulle navi che portavano i profughi istriani in America. Negli ultimi anni del suo servizio sacerdotale fu premiato con la nomina a Monsignore. Ricoverato all’Ospedale Civile di Udine, morì il 6 gennaio 1955 (Vedi: Arcidiocesi di Udine, Stato del personale del clero, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1934-1955).
Don Polano è stato insegnante di religione all’Istituto Nautico di Fiume, cappellano e quindi parroco della Chiesa di S. Antonio a Borgomarina e quindi nella chiesa del SS. Redentore (la stessa dove opera don Janni Sabucco), anzi fu proprio Lui il promotore dell’erezione di questo ultimo tempio. Nel triste periodo successivo il giorno 8 settembre 1943 aveva compreso la situazione e cercato d’agire in conseguenza per salvare il salvabile. Creò con pochi animosi la F.A.I. (Federazione Autonoma Italiana). Per merito di don Polano, la F.A.I. fiumana fu in contatto con i movimenti partigiani anticomunisti di Trieste e del Friuli. Purtroppo l’opera di don Polano fu frustrata dall’avversità degli eventi ed anche dalla miopia politica di chi lo circondava. Fu Lui, il 3 maggio 1945, ad organizzare la presa di possesso degli edifici pubblici, dei magazzini ed altre opere di pubblica utilità da parte di forze regolari italiane la notte dell’evacuazione della Città da parte dei Tedeschi e fu Lui a fare innalzare sul Municipio di Fiume, in quelle tragiche ore, il tricolore d’Italia. Nel tremendo periodo seguito all’occupazione, dopo essere sfuggito alla cattura da parte dei titini, che l’avevano condannato a morte, riuscì a riparare a Trieste presso la sorella. Anche nella città giuliana i titini tentarono due volte di catturarlo. Rifugiatosi da ultimo nella natia San Daniele, fu insegnante di religione in quelle scuole professionali e quindi cappellano sui transatlantici che trasportavano gli emigranti italiani nelle due Americhe (Vedi: «Bollettino» della Lega Fiumana, aderente al Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, n. 22 del 21 settembre 1959).
A Fiume, dopo l’8 settembre 1943 (“el ribaltòn”) e, soprattutto, in seguito alla fuga dei nazisti il 2 maggio 1945, si sa che don Polano si impegna molto sul piano politico, lasciando a don Janni Sabucco, nella stessa parrocchia del SS.mo Redentore, il compito di celebrare i matrimoni, i funerali e i battesimi, come ha riferito ad Angela Sabucco il signor Mario Sirola, che è stato il suo primo chierichetto.
Ecco un commento sul tema di Rodolfo Decleva: “Nel mattino del 3 Maggio 1945 mi sorpresi positivamente nel vedere i nostri soldati in Via Roma di guardia a due mine anticarro, lasciate dai tedeschi fuggiti durante la notte. Erano finanzieri con l’elmetto, e tenevano il fucile appeso con la cinghia sulla spalla e la canna in giù. Erano tranquilli nel loro servizio di guardia ai due ordigni. Le loro divise erano disordinate e pensai che dovessero trattarsi di soldati imboscati dopo l’8 Settembre che ora erano riapparsi. Ma allora c’era di nuovo la nostra Italia che aveva ripreso il comando della nostra città?
Carceri titine e esodo da Fiume – Riguardo al clero di Fiume si accenna al fatto che don Torcoletti e don Pavan sono menzionati nelle poesie in dialetto fiumano di Gianni Angelo Grohovaz. L’OZNA fa arrestare pure diversi preti, oltre a civili e militari italiani. È il tale Oscar Piskulic, detto “Zuti” (il giallo) a comandare i reparti dell’OZNA a Fiume fino al 1947, mentre Pietro Klausbergher è al comando del Comitato Popolare Cittadino, che, secondo certe fonti era peggio dell’OZNA, nei reparti della quale c’erano pure dei fascisti convertiti (vedi: Ballarini 1986, p. 149).
La sede dell’OZNA a Fiume è in piazza Scarpa, nel palazzo che fu sede del Consolato iugoslavo e rappresentanza della Croazia ustascia, già casa Milidragovich, del 1802, secondo il libro di Dassovich del 1975. Guarda caso il pianterreno è occupato dalla sede del Comitato Popolare Cittadino, mentre ai piani superiori è tutto un pullulare di spie. Nel liberare un certo prigioniero gli agenti dell’OZNA, infatti, gli imponevano di collaborare per lo stesso servizio segreto, pena il ritorno in cella, o in un lager di Tito. Le tappe del tragitto di molti italiani arrestati sono analoghe. Dopo il passaggio e le angherie negli Uffici di piazza Scarpa, ci sono le carceri di via Roma, i campi d’internamento improvvisati di Sussak, Costrena e Cirquenizza (Dassovich 1975, p. 169). Si pensi che circa 700 furono i fiumani che spariscono e finiscono probabilmente nella Foiba di Costrena. È Orietta Moscarda ad affermare, nel 2021, che: “L’OZNA era l’organo di intelligence e fu collegata alle violenze tra guerra e secondo dopoguerra, in quanto era il braccio armato della rivoluzione comunista iugoslava” (vedi: Stella Defranza).
Mons. Alojzije Viktor Stepinac, arcivescovo di Zagabria, viene relegato nel campo di concentramento iugoslavo di Lepoglava (1946-1951), vecchio carcere asburgico, con l’accusa di collusione col regime ustascia. Nello stesso lager titino è rinchiuso pure lo zaratino Antonio Cattalini, padre di Silvio, per 45 anni presidente dell’ANVGD di Udine. Antonio Cattalini, classe 1895, è arrestato e imprigionato dai titini per tre lunghi anni di lavori forzati “per collaborazionismo coi tedeschi – ha spiegato il figlio – ma i tedeschi se non se lavorava per lori i te copava subito, tocava armarghe le navi in cantier”.
Secondo la testimonianza di Angela Sabucco, nel 2017, Bruno Tardivelli, di Fiume e Danica Glazar, di Sussak, detta Dania, hanno festeggiato il 70° anniversario del loro matrimonio avvenuto a Fiume il giorno 11 giugno 1947 nella Chiesa Votiva del SS.mo Redentore del Rione Mlacca, poi distrutta con l’esplosivo, nel 1949, dai titini. Ha officiato il Rito il parroco Janni Sabucco, assistito dal chierichetto (el muleto) Mario Sirola, che cantò alla fine del rito l’Ave Maria. “Ci eravamo sposati in Municipio una settimana prima – è la spiegazione dei coniugi Tardivelli – il matrimonio religioso non era riconosciuto come valido, però a noi sembrava logico ricevere la Benedizione prima di andare a vivere assieme nella nostra casa”. Oggi in Mlacca c’è un parco.
Come ha scritto nel suo libro di memorie, Bruno Tardivelli, classe 1923, lascia Fiume il 7 luglio 1949 e va esule a Genova, mentre suo fratello Aldo Tradivelli, è destinato malvolentieri al Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina nell’inverno del 1948, come ha ricordato Claudio Ausilio, pur non essendo annotato nell’Elenco Profughi Giuliani del Comune di Laterina. I Tardivelli passano per il Crp del Silos a Trieste e per il Centro smistamento profughi (Csp) di Udine. È un tragitto noto e citato pure nella recente ricerca storica dell’esodo (A. Ballarini, G. Stelli…, 2015).
Massimo Speciari, nel 2015, ha scritto nel suo blog che la chiesa del SS.mo Redentore fu fatta saltare con la dinamite nel 1949 dai partigiani comunisti di Tito “Io l’ho vista quando era ancora in piedi e poi distrutta, e nel posto hanno messo un busto di bronzo di Tito. I Fiumani dicevano che i responsabili del fatto hanno avuto una morte tragica”. Sul tema vedi pure: Patrizia Venucci Merdžo.Foto sopra: Documento di scarcerazione di Giuseppe Baucon, Archivio di Stato di Lubiana, Dipartimento per la Difesa della Nazione Ozna per la Slovenia, Ministero della Difesa Nazionale Jugoslava, 5 settembre 1946, pp. 3+traduzione. Collezione Marija Oseli, S. Giovanni al Natisone (UD).
Preti fiumani in esilio a Pisa. Prima dell’esodo da Fiume don Janni Sabucco, allora giovane sacerdote, subisce l’arresto, l’umiliazione e la tortura comunista. È sottoposto a uno stringente interrogatorio durato più giorni con una lampada fissa davanti agli occhi, che gli causa un grave danno corneale. Si sa che nelle ultime sue Sante Messe celebrate a Fiume, nel 1947-1948, partecipavano due agenti dell’OZNA in borghese, piazzati in fondo alla chiesa per controllare cosa dicesse nelle omelie in lingua italiana. Dopo la metà di marzo 1948 don Sabucco passa il confine a Basovizza (allora nel Territorio Libero di Trieste), subendo una “umiliante visita” dei titini su tutto il corpo, oltre che nel baule (…si chiamava Fiume, p. 23). Come ha detto Angela Sabucco nella Jugoslavia di Tito, come a tutto il clero italiano, era stata tolta la tessera annonaria necessaria per trovare il cibo, perciò suo zio prete viveva di elemosine. Ecco cosa scrive egli nel suo libro di poesie: “Dal 1944 al 1948 sono passato attraverso il terrore; ne sono uscito che pesavo 46 chili. Bisogna sapere cosa voglia dire il suono del campanello di casa dopo le dieci di sera” (Geografia d’occasione, p. 58). Si sa che il terrore dell’OZNA contro gli italiani a Fiume, in Istria e in Dalmazia, si manifestava con perquisizioni, arresti notturni e deportazioni, in modo che la gente non vedesse cosa stava accadendo. Anche la partenza per l’esodo, se fosse avvenuta con il treno, era sempre in piena notte, per lo stesso motivo. Don Janni Sabucco è prelevato dagli agenti dell’OZNA alle ore tre del mattino, come sa la nipote Angela.
Il Vescovo Camozzo pensa bene, prima di immetterlo nuovamente nella pastorale attiva, di concedergli un intero anno di riposo presso don Tilli, parroco di San Benedetto a Settimo, frazione del comune di Cascina (PI). La Parrocchia di San Benedetto ha come Patrona principale Santa Lucia: ogni anno moltissimi fedeli convergono a quella chiesa per la tradizionale benedizione degli occhi. Ovviamente don Sabucco ne diviene fedele devotissimo ottenendo, grazie all’intercessione della Santa e alla perizia dei medici, il dono di una (parziale) guarigione. Fa voto quindi, qualora fosse stato nominato parroco, di dedicare un quadro a S. Lucia e di promuoverne la devozione. Così, nominato Parroco di Forte dei Marmi (LU), ricordando il voto, commissiona il quadro e sceglie una ragazzina di paese come modella: Paola Paolicchi, che fino al 2019 è stata presente alla tradizionale festa della Santa.
Il 15 giugno 1947 è costituita a Roma la prima Lega degli esuli fiumani, cui fanno seguito analoghe aggregazioni in altre città, come a Napoli e a Udine, dove ne è artefice l’architetto Carlo Leopoldo Conighi, che cura la stampa di un Bollettino ciclostilato, oltre a dare assistenza ai profughi.Il vescovo Camozzo si porta in Toscana tutta una covata, come ha detto Valentina Zucchetti, sua fedele parrocchiana (vedi: Oscar Perich 2005, p. 14). I 24 sacerdoti e seminaristi esuli a Pisa con il vescovo Camozzo sono: Giovanni Cenghia, Clemente Crisman, Egido Crisman, Alberto Cvecich, Severino Dianich, Vittorio Ferian, Gabriele Gelussi, Floriano Grubesich, Mario Maracich, Rino Peressini, Fulvio Parisotto, Giuseppe Percich, Oscar Perich, Ariele Pillepich, Francesco Pockaj, Antonio Radovani, Giovanni Regalati, Aldo Rossini, Arsenio Russi, Janni Sabucco, Giovanni Slavich, Giacomo Desiderio Sovrano, Giuseppe Stagni e Romeo Vio.
Soltanto quattro di questi sacerdoti sono ancora viventi: si tratta di Mons. Egidio Crisman, Mons. Severino Dianich, Mons. Giuseppe Percich e don Romeo Vio. Sono stati parroci molto attivi. Due sono andati in missione secondo lo spirito della «Fidei donum»: don Rino Peressini e don Antonio Radovani. Mons. Giovanni Slavich è stato vicario generale di Mons. Alessandro Plotti. Mons. Alberto Cvecich e Mons. Severino Dianich hanno insegnato teologia. Mons. Egidio Crisman è arciprete della Primaziale Pisana.
Biografia di Mons. Janni Sabucco – Figlio di Raimondo e Angela Bertolissi, Janni Sabucco nasce a Coseano (UD) il 12 gennaio 1916. Frequenta le scuole medie al Seminario di Castellerio di Pagnacco (UD), come riferì egli stesso alla nipote Angela. Compiuti gli studi filosofici e teologici nei Seminari di Venezia e di Fiume (1937-’38), consegue la Licenza in Teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dal 1938 al 1940. Come accenna Angela Sabucco, in quel mentre è don Luigi Polano, nativo di San Daniele del Friuli (UD), che desidera portarselo a Fiume, con l’assenso dell’autorità ecclesiale. Don Oscar Perich in effetti ha scritto di averlo avuto come insegnante al Seminario di Fiume dal 1939 al 1942 (“Caro Don Janni”, 2001, p. 9).
Muore nelle prime ore del 26 giugno 2001 all’Ospedale civile di Viareggio (LU), dove era ricoverato da alcuni giorni. Dopo una celebrazione eucaristica presieduta dal Mons. Arcivescovo, la sera del 27 giugno, le sue esequie sono state celebrate il giorno successivo da S.E. Mons. Riccardo Fontana, Arcivescovo di Spoleto e Norcia, originario di Forte dei Marmi, nella chiesa di Forte dei Marmi alla presenza di molti sacerdoti e di una gran folla di fedeli. La salma di Mons. Sabucco è stata tumulata nel cimitero di Forte dei Marmi. Il Comune di Forte dei Marmi (provincia di Lucca, ma diocesi di Pisa), in ricordo di Mons. Janni Sabucco, che ha retto la parrocchia per quasi 40 anni, ha voluto intitolargli una piazza che ci affaccia su via Idone.
Il presente profilo biografico è prevalentemente contenuto nel testo a cura dell’Arcidiocesi di Pisa. Altre notizie e vari dati su Mons. Janni Sabucco sono stati ripresi dalle fonti orali e dagli scritti nel web, del 2020, di Mons. Piero Malvaldi, della Propositura di Sant’Ermete in Forte dei Marmi (LU) – Vicariato Della Versilia; vedi il sito: http//www.chiesadelforte.it/
La poetica di Mons. Janni Sabucco – Il priore di Forte dei Marmi ha scritto alcuni libri di poesie, a dispetto di quanto sentenziava Giosuè Carducci: “Donne e preti non son poeti”. Da tali composizioni si comprende l’uomo di profonda cultura e di etica pura. La prima silloge, a versi liberi, di don Sabucco è datata 1942 ed è intitolata Quadri di M. Campigli. Egli sa spaziare dall’estetica teologica alla storia dell’arte. Eccone le parole: “Bambole etrusche / con l’impenetrabile sorriso / e la loro magra policromia / intente / gracili / e caldi / e imperituri / flauti di coccio” (Geografia d’occasione, p. 7). Amava il teatro, come Bruno Tardivelli, e le sue frequentazioni, nonostante l’accusa di essere burbero e forastico, erano tra i personaggi illustri della letteratura e dell’arte italiana: Bruno Cicognani, Giovanni Papini, Enrico Pea e Guido Gabrielli.
Conclusioni – La complessità culturale e linguistica delle aree di frontiera si affronta meglio col rispetto reciproco, la convivenza civile e democratica o solo cambiando toponomastica, imponendo idiomi nazionalistici, chiudendo scuole altrui e mettendo proprie bandiere sul municipio, sorto su antiche vestigia Romane? A tale domanda non saprebbe rispondere nemmeno un dotto conferenziere, come Claudio Magris, che ha scritto: “Ma mi, perché parlo italian? Domanda una donna a Cherso, ignara da dove le arrivino queste parole che escono da lei e per lei sono un tutt’uno con le cose, fiduciosa che il conferenziere venuto da Trieste, e ospitato dal circolo della Comunità italiana a casa sua, possa darle una spiegazione. (…) Un Sintich, a Miholaščica (San Michele), contesta il parroco nazionalista croato che non vuol sentire cantare in italiano in chiesa e intona ‘Mira il tuo popolo’ , chiedendo poi a un ospite dell’osteria vicina il significato di alcune parole di quell’inno (Microcosmi, 1997, p. 158).
Fonti orali e digitali – Le interviste (int.) sono state condotte da Elio Varutti a Udine con penna, taccuino e macchina fotografica, se non altrimenti indicato. Un sentito ringraziamento vada agli intervistati e ai proprietari delle collezioni familiari per la cortesia dimostrata nella ricerca presente.
– Claudio Ausilio, Fiume 1948, esule a Montevarchi, provincia di Arezzo, int. al telefono del 22 e 24 aprile 2021.
– Miranda Brussich vedova Conighi (Pola 1919 – Ferrara 2013), esule da Fiume, int. a Ferrara del 17 agosto 2003 con Daniela Conighi.
– Silvio Cattalini (Zara 1927 – Udine 2017), int. del 24 novembre 2015.
– Maria Chialich vedova Pustetto, Dignano d’Istria (Pola 1919 – Udine 2010), int. del 27 gennaio 2004. Sulle vicende tragiche di tale famiglia, c’è un’altra fonte orale, Anna Maria L. istriana, Tolmezzo, UD, 1963, che ha vissuto negli anni ‘60 a Pola coi nonni, cugini e zii Chialich rimasti, int. del 15 dicembre 2010.
– Rodolfo Decleva, Fiume 1929, Don Luigi Polano, messaggio su Facebook nel gruppo “Un Fiume di Fiumani” del 3 maggio 2018.
– Flavio Fiorentin, Verteneglio (PL) 1935, con avi paterni di Veglia, esule da Fiume, email del 22 ottobre 2018.
– Roberto Luis Picchiani di Borbone, Arsia (Albona) 1941, esule a Forte dei Marmi (LU), int. telef. dei giorni 1, 9 e 11 giugno 2020 ed email del 12 giugno 2020, con la collaborazione di Claudio Ausilio.
– Angela Sabucco, Udine 1960, int. del 12 e del 24 aprile 2021.
– Aldo Tardivelli (Fiume 1925 – Genova 2020), int. telefonica e per e-mail del 20-24 gennaio 2017, con la collaborazione di Claudio Ausilio.
Documenti originali
– Arcidiocesi di Pisa (a cura di), Sacerdoti di Fiume defunti, testo in Word, 2021, pp. 9.
– Silvio Cattalini, Elogio funebre di Maria Chialich vedova Pustetto, Chiesa di San Giuseppe, Udine 7 settembre 2010, ANVGD, pp.2, datt.
– Valentina Zucchetti, 50 anni! Una vita, una lunga vita di servizio spesa per la comunità, Parrocchia di Sant’Ermete Martire, Forte dei Marmi (LU), pp. 6, ms.
Archivi e Collezioni private – Archivio ANVGD di Udine, ricevute.
Famiglia Conighi, esule da Fiume a Ferrara e Udine, cartoline e Bollettino della Lega Fiumana, aderente al Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD.
Marija Oseli, S. Giovanni al Natisone (UD), documento dell’OZNA.
Joseph Pivato, Edmonton, Canada, documenti, fotocopie e testimonianze a Angela Sabucco.
Louise Pivato, Toronto, Canada, documenti, ms e testimonianze a Angela Sabucco.
Angela Sabucco, Udine, fotografie e documenti.
Sergio Satti, esule da Pola a Udine, documenti, dattiloscr.
Bibliografia e sitologia
– Arcidiocesi di Udine, Stato del personale del clero, Udine, Arti Grafiche Friulane, 1934-1955.
– Amleto Ballarini, L’Olocausta sconosciuta. Vita e morte di una città italiana, Roma, Edizioni Occidentale, 1986.
– Ballarini, Giovanni Stelli, Marino Micich, Emiliano Loria, Venezia Giulia Fiume Dalmazia, le foibe, l’esodo, la memoria, Roma, Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e Dalmata nel Lazio, 2015.
– Danilo Battistini, “Tristezze e trasparenze di un uomo-sacerdote”, «Il Dialogo», settembre 1990, p. 16.
– Lucia Bellaspiga, “Foibe. Dopo 73 anni una tomba per le vittime di Tito: ‘Precedente che farà storia”, «L’Avvenire», 20 ottobre 2018.
– «Bollettino» della Lega Fiumana, aderente al Comitato Provinciale di Udine dell’ANVGD, n. 22 del 21 settembre 1959.
– Enrico Burich, “Esperienze di un esodo”, «Fiume, rivista di studi fiumani», XI, n. 3-4, luglio-dicembre 1964, pp. 97- 182.
– Mario Dassovich, Itinerario fiumano 1938-1949, supplemento alla rivista «Fiume», Roma, 1975.
– Mario Dassovich, “L’irredentismo di Riccardo Gigante nella testimonianza di Enrico Burich”, «Fiume, rivista di studi fiumani», N.S., IV, ottobre 1985, pp. 15-24.
– Rodolfo Decleva, 2 – 3 maggio 1945. L’occupazione jugoslava di Fiume, testimonianza depositata presso la Società di Studi Fiumani in Roma, 1 ottobre 2020; anche nel web.
– Stella Defranza, “La violenza nel contesto storico e giuridico nell’alto Adriatico”, «La Voce del Popolo», 30 marzo 2021, p. 21.
– Severino Dianich, “Fiume, la Croazia e la memoria degli italiani”, «Europa», Quaderno 3, 2020. Vedi il sito web : https://perfondazione.eu/fiume-la-croazia-e-la-memoria-degli-italiani/
– Alessandro Fulloni, “Foibe, il rientro in Italia di sette martiri: Ammanettati con il filo spinato, obbligati a scavarsi la fossa e poi uccisi”, «Corriere della Sera», 19 ottobre 2018.
– Gianni Angelo Grohovaz, Per ricordar le cose che ricordo, Toronto (Canada), Dufferin Press, 1974.
– Parrocchia di S. Ermete Martire, XXV Anniversario di Sacerdozio del Priore Don Janni Sabucco, Forte dei Marmi, 29 giugno 1967.
– Oscar Perich, “Caro Don Janni”, «Strettoia… la sua gente», X, n. 57, 2001, pp. 8-9.
– Oscar Perich, Don Janni Sabucco. La fragranza del pane. Commento alle letture festive, Pisa, Pacini, 2005.
– Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990.
– Janni Sabucco, … si chiamava Fiume, Perugia, «Quaderni di Centro Italia», s.d. [1953].
– J. Sabucco, Geografia d’occasione, Padova, Rebellato, 1967.
– J. Sabucco, Giochi di lanterne a Goa, Udine, La Nuova Base, 1972.
– J. Sabucco, Il mio testamento, Forte dei Marmi (LU), 30 maggio 1973.
– J. Sabucco, Il fondo della madia, Stanghella (PD), Grafiche Dielle, 1990.
– J. Sabucco, Omaggio a un destino, Stanghella (PD), Grafiche Dielle, 1991.
– Bruno Tardivelli, Fiume, la città smarrita, Genova, [s.e.], 2020.
– Luigi Maria Torcoletti, Fiume ed i paesi limitrofi, Rapallo (GE), Scuola tipogr. S. Girolamo Emiliani, 1954.
– Patrizia Venucci Merdžo, “Quel Tempio votivo cancellato dalla Memoria”, «La Voce del Popolo», 19 gennaio 2020.
Certe sue odi sono dedicate al popolo d’Israele, nell’ottica del dialogo con i “fratelli maggiori”, ma anche a Pasolini, a papa Luciani. La sua potenza estetica ricorda i versi di padre Maria Turoldo, suo conterraneo. Le sue parole sono ricche di umanità. È una poetica chiara e comprensibile, come lo sono state certe sue azioni. Si dice che siano state antesignane del Concilio, come quando si metteva a tradurre in italiano le parole latine di un rito religioso, perché tutti gli astanti capissero. “Le sue omelie anticipavano il Concilio – ha scritto Valentina Zucchetti, p. 2 – ricche di fede e di esempi concreti, sembrava avvertissero la necessita di certe riforme”. Si veda in merito anche don Oscar Perich, 2001, p. 9.
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Ricerca di Elio Varutti (ANVGD Udine) con la partecipazione di Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo) e la collaborazione di Guido Giacometti (ANVGD Toscana). Lettori: Angela Sabucco, Enrico Modotti, assieme a Annalisa Vucusa, del Gruppo di lavoro storico-scientifico del Comitato Esecutivo dell’ANVGD di Udine, coordinato dal professor Elio Varutti. Testi e Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – I piano, c/o ACLI – 33100 Udine – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.