Un fiumano di vecchia data, testimone orale di tempi passati, quando nella nostra città l’italiano era sulla bocca di tutti quale lingua madre. Ma anche splendidamente ebreo, appartenente a quel nutrito gruppo di 700 famiglie che componevano la ricca comunità ebraica della Fiume di un tempo. Così umanamente e intellettualmente ricca, che il poeta e scrittore italiano Paolo Santarcangeli definiva Fiume (assieme a Trieste) “lievitate e fruttificate dall’apporto del sangue ebraico…”.
Stiamo parlando del nonagenario Federico Falk, esule da Fiume, che abbiamo incontrato all’inaugurazione della mostra “Dall’emancipazione all’Olocausto. Gli ebrei di Fiume e di Abbazia, 1867 – 1945”, al Museo civico di Fiume, organizzata in occasione della “Stolpersteine – Pietra d’inciampo”. E proprio in quell’incontro abbiamo posto alcune domande a Falk, che tra l’altro è autore del saggio “Le Comunità israelitiche di Fiume e Abbazia tra le due guerre mondiali: Gli ebrei residenti in Provincia del Carnaro negli anni 1915- 1945” (Roma 2012).
Che cosa l’ha spinta a scrivere il volume sulle comunità ebraiche di Fiume e Abbazia?
“Lo spunto l’ho avuto conversando con alcuni amici notai che avevano le idee poco chiare su ciò che era avvenuto durante la guerra a Fiume, e in particolare sulle comunità ebraiche di quella zona. Iniziai così una ricerca di notizie riguardanti le famiglie che risiedevano prima della guerra nella provincia del Carnaro. L’intento era lasciare ai posteri una traccia sull’argomento. Ho ritenuto opportuno realizzare una specie di fotografia delle comunità ebraiche di cui io stesso, assieme alla mia famiglia, facevo parte. Lo scopo era donare ai posteri uno schedario che riassumesse le notizie essenziali di ciascun nucleo familiare: i nomi, la provenienza, la residenza, la composizione, la professione e la deportazione”.
Com’era inserita la popolazione ebraica nella vita fiumana? Quant’era numerosa?
“A Fiume risiedevano circa 1.900 ebrei, mentre ad Abbazia, Volosca e Laurana vivevano altri 800 componenti. Una percentuale abbastanza alta, circa il 4 p.c., confrontata con quella dell’Italia, dove non si raggiungeva l’1/1000 complessivamente. La popolazione ebraica era perfettamente integrata nella vita della città e delle località della Riviera Quarnerina, tanto da non avere neanche un ghetto”.
Perché secondo lei Fiume non possedeva un quartiere ebraico?
“Nella città quarnerina non vi era un ghetto, sul tipo di quello veneziano o di quello romano, perché l’amministrazione asburgica si comportò sempre con molta liberalità nei confronti della popolazione ebraica. La componente era, infatti, attiva in tutti i segmenti della vita quotidiana. I fiumani non facevano alcuna distinzione tra ebrei e non”.
Come reagì quando furono promulgate le leggi razziali nel 1938?
“Con l’entrata in vigore delle leggi razziali fasciste del 1938 personalmente ho subito gravi limitazioni, in primo luogo l’esclusione dagli studi universitari che avrei intrapreso subito dopo aver conseguito la maturità al Liceo Scientifico nel 1938. Anche mia sorella dovette interrompere la frequenza al Ginnasio. Mio padre, medico, fu licenziato dagli incarichi che aveva – Cassa Mutua Ammalati, Pia Casa di Ricovero Fratelli Branchetta per anziani e orfani, Silurificio Whithead, ROMSA –. Fu un duro colpo per tutti. L’atmosfera a casa nostra cambiò drasticamente. Divenne cupa e incerta”.
È stato testimone di quando i nazisti incendiarono la sinagoga di Fiume?
“In quel triste momento ero a Fiume, rimasi sconvolto quando i soldati tedeschi incendiarono la grande sinagoga in Via Pomerio. La ricordo splendida. Venne costruita alla fine dell’Ottocento, e i nazisti la distrussero in pochi attimi il 30 gennaio 1944”.
Com’è riuscito a sottrarsi alla deportazione nei campi di sterminio?
“Fortunatamente quando i nazisti vennero a cercarci in casa, ci eravamo già allontanati paventando il grave pericolo e riuscimmo a trovare un rifugio al di fuori dell’Adriatisches Küstenland, che era la zona d’operazione del Litorale adriatico sotto amministrazione militare tedesca”.
Che idea si è fatta della figura di Giovanni Palatucci? Ha avuto modo di conoscerlo personalmente?
“Non ho conosciuto personalmente Giovanni Palatucci, capo dell’ufficio stranieri e poi vicequestore, ma so che la sua opera è stata eccezionale, com’è ben noto”.
È ritornato a Fiume, sua città natia. Quali sensazioni ha provato?
“Sono ritornato a Fiume parecchie volte dopo la guerra anche perché desideravo visitare le tombe dei miei antenati al cimitero di Cosala. Quello che ho provato è stata una grande nostalgia per i ricordi della mia infanzia e della mia gioventù, ma anche una grande tristezza nel non ritrovare la maggior parte dei miei parenti”.
(fonte “la Voce del Popolo” 27 giugno 2013)