Per la prima volta un’istituzione della comunità ebraica in Italia ed un’associazione dell’Esodo giuliano-dalmata hanno collaborato alla realizzazione di un evento congiunto in cui si sono intrecciate nella storia del confine orientale tematiche attinenti alla Giornata della Memoria ed al Giorno del Ricordo.
È stata la prestigiosa sede della Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma ad accogliere mercoledì 7 febbraio l’evento “Ebrei tra le due guerre. Casi di studio: aspetti della vita sociale, economica e culturale a Roma e nell’Istria” organizzato dal Comitato provinciale dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia e dal Dipartimento per i Beni e le Attività Culturali della comunità ebraica capitolina.
Nei saluti istituzionali che hanno aperto il convegno, l’Assessore alla Cultura con delega alla Memoria di Roma Capitale, Miguel Gotor, ha evidenziato che aver lasciato nell’oblio così a lungo la storia della frontiera adriatica ha oscurato anche pagine che riguardano la presenza ebraica in Italia ed è quindi importante che avvengano incontri come questo. Sulla medesima lunghezza d’onda il Presidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati Giuseppe de Vergottini ed il Presidente della Società di Studi Fiumani Giovanni Stelli.
Prima sessione del convegno dedicata al contesto istriano, con la professoressa Donatella Schürzel (Presidente dell’ANVGD Roma) che ha delineato la presenza degli ebrei in Istria nel corso del tempo: una componente minore rispetto a situazioni limitrofe come Trieste, Gorizia e Fiume, ma radicata e ricca di rappresentanti illustri. «Provenienti soprattutto dalla Mitteleuropa – ha ricordato la professoressa Schürzel – gli ebrei istriani sono presenti in particoalre a Pirano, Rovigno e Pola. Molti di essi sono stati celebri medici: pensiamo a Geppino Micheletti (originariamente Michelstaedter, cugino dell’intellettuale goriziano Carlo, morto suicida giovanissimo) che si prodigò nell’assistere le vittime della strage di Vergarolla». Celebri sono stati anche il pittore Bruno Mascarelli (che elesse Rovigno a sua residenza) ed il fotografo Luciano Morpurgo, epigono di una famiglia originaria di Maribor poi trasferitasi in Dalmazia e da lì diffusa in tutto l’Adriatico orientale.
In Dalmazia sono pure giunti ebrei provenienti dalla Spagna, come ha ricordato Eufemia Giuliana Budicin (Consigliere nazionale ANVGD) nel suo intervento dedicato all’imprenditoria ebraica nelle terre adriatiche orientali. Grazie alla famiglia Stock si è sviluppata l’industria conserviera in Istria, portata a livelli di eccellenza da Giorgio Sanguinetti, il quale era stato assunto dalla ditta Arrigoni che avrebbe poi diretto in virtù dell’impegno e della dedizione profusi: a lui si devono gli stabilimenti Ampelea a Isola e a Rovigno. Guido Segre, noto economista di provenienza piemontese, sposato con la triestina Gabriella Metz (Melzi), imprenditrice a Portorose, fu uno degli artefici dello sviluppo del bacino carbonifero dell’Arsia negli anni Trenta: l’introduzione delle leggi razziali lo estromise da questi incarichi apicali, anche se potè essere discriminato “per meriti fascisti”.
Arsia città di fondazione destinata agli operai delle miniere di carbone è un gioiello urbanistico che è stato descritto da Maria Grazia Chiappori (insegnante di storia dell’arte) ed è frutto della creatività dell’architetto ebreo Gustavo Pulitzer, anch’egli frenato nella sua carriera dalla legislazione antisemita del 1938. «Il recupero della vecchia miniera “Carlotta” ed il prosciugamento del fiume Carpano – ha spiegato la professoressa Chiappori – dettero modo a Pulitzer di pianificare la modernizzazione dell’area, realizzando strade e collegamenti con Pola, infrastrutture come una diramazione dell’acquedotto ed una centrale elettrica, ma soprattutto la fondazione di Arsia, città progettata non solo attenendosi ai dettami ideologici del regime ma tenendo anche presente la funzionalità che era alla base del modernismo»
Ulteriori dettagli sono stati forniti da Natasha Pulitzer, figlia del grande architetto, la quale ha seguito le orme paterne e ne ha delineato un ritratto a metà tra la sfera intimistica e quella professionale: « Quando mio padre cominciava un nuovo progetto – ha ricordato l’esperta di architettura bioclimatica – aveva al primo posto il rispetto per gli abitanti della città che progettava o per i passeggeri delle navi alle quali si dedicò, contribuendo alla bellezza delle sinuose “navi bianche” in contrapposizione con i colossali transatlantici dell’epoca». Riguardo Arsia, a differenza di altre città di fondazione, essa ha una pianta compatta, che richiama la tradizione urbanistica italiana ed è caratteristico l’uso di luminose finestre e di portici funzionali alle necessità dei residenti.
Tullio Vorano (Museo civico di Albona) ha quindi fornito un approfondimento storico sull’area mineraria di Albona, che affonda le radici nei primi pozzi esplorati ai tempi della Repubblica di Venezia e proseguita in epoca austriaca con lo sviluppo di 3 siti estrattivi nella valle del Carpano che furono poi collegati alle principali vie di comunicazione con una ferrovia a scartamento ridotto. «Nel primo dopoguerra, durante il biennio rosso, la Repubblica di Albona, ispirata al modello sovietico, – ha ricordato Vorano – fu repressa solamente con l’intervento dell’esercito a fianco delle forze dell’ordine. Negli anni seguenti gli stabilimenti furono elettrificati e poi portati al massimo sviluppo da Segre. Il suo successore Augusto Batini si rifiutò di forzare la produzione per rispondere alle esigenze autarchiche e fu rimosso»: di lì a poco avvenne la tragedia del 28 febbraio 1940, con 185 morti e 150 intossicati.
“La comunità ebraica di Roma dal 1922 alle leggi del 1938” era l’intervento della dottoranda Giordana Terracina, la quale ha evidenziato che, nell’ambito del processo di integrazione della comunità ebraica nello Stato italiano, avviatosi in epoca risorgimentale, ci fu un’adesione alle istituzioni fasciste che si affiancò alla conservazione dei propri simboli e luoghi identitari. «La comunità ebraica di Roma – ha spiegato la ricercatrice – fu anche un punto di riferimento dopo il 1933 per gli ebrei in fuga dalla Germania nazista e diretti verso la Palestina mandataria o gli Stati Uniti. Quando ci fu l’appello di Mussolini a “dare oro alla patria”, gli ebrei romani risposero generosamente, considerando quest’azione un gesto patriottico nei confronti dell’Italia. La comunità romana si interfacciò con lo Stato anche in merito alla presenza ebraica in Etiopia rappresentata dai Falascià. Di lì a poco il re avrebbe sottoscritto l’introduzione della legislazione razziale»
Ulteriore ambito in cui gli ebrei dimostrarono il proprio lealismo nei confronti del Regno d’Italia fu l’esercito, come ha spiegato lo storico militare Giovanni Cecini: «Si registrarono 5000 mobilitati durante la Grande guerra, i quali si trovarono a combattere contro confratelli con la divisa asburgica: un migliaio furono i decorati ed oltre 400 i caduti». Il 19 giugno 1921, alla presenza di Re Vittorio Emanuele III, fu inaugurata la lapide che ricorda gli ebrei romani morti durante la Prima guerra mondiale, ai quali si sarebbero aggiunti i morti nelle guerre di Abissinia e di Spagna. Durante l’intervento fascista nella guerra civile spagnola vennero promulgate le leggi razziali: Giorgio Morpurgo, combattente volontario in Spagna, il primo gennaio 1939 sarebbe stato congedato in quanto ebreo, ma il 23 dicembre 1938 preferì morire durante un assalto suicida, ottenendo peraltro una Medaglia d’oro al valor militare.
Nel periodo tra le due guerre mondiali avvenne anche la traslazione del cimitero ebraico dall’Aventino (ove attualmente si trova il roseto comunale) , ove era giunto da Trastevere nel 1645 allorchè fu edificata Porta Portese nell’area che ospitava la prima sede cimiteriale. Le leggi ebraiche tuttavia vietano di spostare i corpi dei defunti, quindi nel 1934 si avviò una laboriosa trattativa con il Governatore di Roma: «L’operazione si concluse facendo riferimento ad un precedente storico – ha spiegato Silvia Haia Antonucci, giornalista e curatrice dell’archivio storico della Comunità ebraica romana – in quanto si scoprì che il rav di Praga nell’Ottocento aveva autorizzato il rabbino di una piccola comunità a spostare il cimitero per non deteriorare i rapporti con il rappresentante locale del potere, il quale voleva ampliare un edificio pubblico andando sull’area della città dei morti»
Sergio Amedeo Terracina, architetto e saggista, ha quindi esposto i risultati di un lavoro realizzato assieme alla collega Sara Cava sulle Sinagoghe a Roma, le quali risentono della provenienza delle diverse componenti della comunità ebraica cittadina. Sulla comunità originaria, infatti, si sono innestate provenienze sefardite ai tempi della cacciata dalla Spagna ed askenazite dall’Europa centrale. La più importante di tutte è quella che si trova oggi sul Lungotevere all’entrata del vecchio ghetto, inaugurata 120 anni fa e che suggellò il perfetto inserimento della comunità all’interno della realtà di Roma capitale del Regno d’Italia. Di lì a poco, nell’imperversare delle leggi razziali promulgate dal fascismo, avrebbe continuato a svolgere i riti, a suo rischio e pericolo, solamente la sinagoga associata all’ospedale israelitico.
Ironica, emozionante e schietta è stata, infine, la testimonianza di Gianni Polgar, nato a Fiume nel 1936 e giunto a Roma nel 1939 poiché il padre aveva assunto un incarico presso l’Unione delle Comunità Ebraiche: «Non sono mai tornato a Fiume perché per me Fiume è quella che mi raccontavano i miei genitori – ha spiegato l’ex assessore della comunità ebraica romana – e non volevo rovinare quell’immagine così bella, ma presto ci andrò per porre delle pietre d’inciampo. Nella mia identità si arricchiscono a vicenda le parti ebraica, italiana e fiumana. Come fiumano ho ereditato una mentalità aperta che si è scontrata con la mentalità chiusa della comunità romana, condizionata dai secoli di reclusione nel ghetto». Il suo spaccato famigliare ci racconta di suo padre e suo zio legionari dannunziani e della madre militante del fascio femminile finchè nel 1938 le venne notificata la cessazione dell’iscrizione.
In attesa della pubblicazione degli atti del convegno che confermeranno la valenza scientifica dell’evento, gli organizzatori Donatella Schürzel e Claudio Procaccia (direttore del DIBAC) sono apparsi pienamente soddisfatti di questa occasione di approfondimento che ha destato molto interesse (presenti la Rai regionale e Radio Radicale) e consolidato una proficua collaborazione da anni avviata.
Lorenzo Salimbeni
FOTO: Michelangelo Gratton