Edoardo Mandich, operaio coatto in lager e poi esule da Fiume

Nato a Fiume, nel Regno d’Italia, il 28 febbraio 1924, Edoardo Mandich allo scoppio della Seconda guerra mondiale è una promessa del calcio. È un giocatore dotato di un tiro vigoroso, sia di destro che di sinistro. La Pro Patria, società calcistica italiana con sede nella città di Busto Arsizio, in provincia di Varese (allora in serie B) lo tessera per la squadra giovanile. È molto dinamico e ha una particolare concezione del gioco, come si legge nel sito web Campioni nella memoria [foto di copertina].

Nell’estate del 1943 riceve la cartolina precetto. Deve presentarsi a Venezia per l’arruolamento nella Regia Marina, ma l’8 settembre, mentre è per le calli, viene fermato dalla Gestapo. Dopo alcune settimane di carcere è deportato nel lager di Hildesheim, nella Bassa Sassonia. Edoardo Mandich viene occupato come lavoratore coatto alla “Zuckerraffinerie”, fabbrica nella quale viene estratta dallo zucchero la glicerina utile alla fabbricazione di materiale esplosivo. Mandich è uno degli 800 mila italiani, militari e civili, trasferiti coattivamente nel territorio del Terzo Reich, per essere impiegati come forza lavoro nell’economia bellica tedesca. Sono gli Internati Militari Italiani (IMI).

Il lavoro al lager di Hildesheim è pesante e conta 70 ore settimanali, solo la domenica si riposa. In quella fabbrica vengono impiegati prigionieri di varie nazionalità – si legge nel sito Campioni nella memoria – tra questi Edoardo, detto Edi, incrocia gli occhi di Marianna Walkowska, una ragazza polacca di diciotto anni. Non parlano la stessa lingua, ma l’amore non conosce confini. Ogni attimo è buono per incontrarla, ma devono stare attenti perché le guardie vigilano e sorvegliano attentamente i prigionieri. Il 22 marzo del 1945 un attacco aereo degli alleati distrugge quasi completamente la fabbrica. Le Waffen SS ordinano di sgomberare quel che resta del deposito di zucchero. Allora Edi, preso dalla fame, decide di prenderne un po’, ma viene visto e picchiato. Tale ripercussione può considerarsi poca cosa in confronto a quello che accade solo quattro giorni dopo ad altri italiani che, sorpresi con la bocca piena, vengono impiccati sulla pubblica piazza sotto gli occhi dei compagni. La furia nazista comporta ben 130 soldati impiccati a Hildesheim il 27 e 28 marzo 1945 perché sorpresi con un po’ di cibo recuperato tra le macerie della fabbrica.

Verso il 6 aprile 1945 il Campo di concentramento viene liberato dagli Americani con i quali Edi collaborerà per la realizzazione dell’ospedale da campo, mentre Marianna troverà un impiego presso un albergo. I due innamorati si sposano in una chiesa della città e con una tradotta, senza una lira in tasca, arrivano nel Centro Italia a Campello sul Clitunno, vicino a Spoleto (PG), dove vive una sorella di lui. Edi ricomincia a giocare a calcio nel Ponte Felcino (PG) – come si legge nel sito Campioni nella memoria – ma i giorni duri del lavoro coatto lo condizionano pesantemente, tanto che solo un paio d’anni dopo potrà esprimere al meglio le sue capacità calcistiche, quando firmerà il contratto per l’Unione Sportiva Lavoratori di Narni (TR). Chiamato “il principe” Edi diventa uno dei più forti centrocampisti della serie C umbra, gioca nella Ternana e nella Narnese che gli offre anche un lavoro presso l’Elettrocarbonium. Della squadra narnese diventa il capitano e dopo la conclusione della carriera come centrocampista (con la patente del goleador) nel 1953 gli viene affidata la gestione della squadra. Edi si spegne, dopo tre infarti ed un ictus, alla fine d’agosto del 1998. Muore senza rimpianti per non aver potuto vivere una grande carriera calcistica, perché si considerava comunque fortunato per essere sopravvissuto alla furia nazista. 
C’è un altro Mandich grande sportivo da menzionare, omonimo di Edoardo, ma non suo parente. Tra i nomi di celebri calciatori, infatti, c’è Alfio Mandich, fiumano classe 1928, scomparso a Genova l’11 gennaio 2006, dopo una vita per il calcio, da centrocampista della Fiumana, proseguita poi nel Radnik, con la Torpedo e il Locomotiv. Era fenomenale nel ruolo jolly difensivo. Nel 1948 circa, anno dell’inizio dell’Esodo dalle terre destinate alla Jugoslavia di Tito che lo costrinse alla migrazione, giocò nel Merano (BZ), allenato da Olindo Serdoz. Nel 1949-’50, militò in Serie A nella Pro-Patria di Meazza, e successivamente, nel Varese e nell’Empoli. Alfio Mandich, che passò dal Centro raccolta profughi di Laterina (Crp), provincia di Arezzo, ha riferito che “i profughi di Laterina si sentivano come pellerossa in una riserva con tanto di quel filo spinato che circondava il campo profughi”.

Ci sono altri illustri Mandich da citare, come ci ricorda Igor Mandich. La mamma di Giovanni Host Venturi era Francesca Mandich, nata a Fiume e poi c’è la tragica storia di Oleg Mandić, l’ultimo bambino uscito vivo dal lager di Auschwitz, dopo aver passato la prigionia nel reparto di Josef Mengele, il dottor Morte. Il bimbo croato Oleg divenne testimone della Shoah.

Cenni bibliografici e del web

– Campioni nella memoria, Edoardo Mandich, on line su campioninellamemoria.it

– I deportati, on line su www.difesa.it

– Elenco di italiani al lavoro coatto, con Edoardo Mandich, Archivi di Arolsen (Germania). Ultima consultazione del 30.11.2022.

– Giuseppe Mayda, Storia della Deportazione dall’Italia 1943-1945 Militari, ebrei e politici nei lager del Terzo Reich, Torino, Bollati Boringhieri, 2002.

– E. Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Aska edizioni, Firenze, 2021. Anche in formato e-book dal 2022.

Ringraziamenti – Oltre agli operatori e alla direzione degli Archivi di Arolsen, si ringrazia l’artista Giorgio Celiberti che, il 17 novembre 2022, ha cortesemente concesso l’autorizzazione alla pubblicazione e diffusione nel presente blog di una sua opera incentrata sul tema del lager di Terezin. Celiberti visitò, nel 1965, quel campo di concentramento nazista, presso Praga, dove trovarono la morte migliaia di bambini ebrei. I graffiti sui muri fatti dai piccoli ebrei lì internati, con cancellature, serie di numeri e di lettere, colpirono a tal punto la sensibilità dell’artista da mutare il suo linguaggio pittorico, permeato poi di quei segni.

Grazie all’architetto Franco Pischiutti (ANVGD di Udine), al geometra Claudio Ausilio (ANVGD Arezzo) e a Miljenko Smokvina, di Fiume/Rijeka (Croazia) per la collaborazione alla ricerca.

Note – Progetto e attività di ricerca di: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Girolamo Jacobson e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo), Igor Mandich (ANVGD di Genova), Sergio Satti (ANVGD di Udine) e il professore Stefano Meroi, di Udine.

Ricerche per il blog presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/

Fonte: Varutti Elio3 – 01/12/2022

Opera di Giorgio Celiberti sul tema del lager di Terezin. Immagine di D.C.

 

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