Un po’ sommessamente da qualche anno a questa parte, oggi più decisamente, gli antichi toponimi italiani dell’Istria, del Quarnero e della Dalmazia vengono finalmente citati nelle comunicazioni e nelle newsletter dell’Ente croato per il Turismo, l’Istituzione che da alcuni decenni cura in Italia la promozione di viaggi e soggiorni in quei luoghi ad alta densità di storia e di arte italiane.
La storiografia titoista, che si è inventata letteralmente i nomi, sovente, purché non ‘suonassero’ italiani e, successivamente, l’ultranazionalismo di Tuđjman, hanno imposto per anni indicazioni di città e luoghi su dépliant e guide esclusivamente nella versione balcanica. Oggi, finalmente, vengono introdotte per le città istriane e dalmate le denominazioni originarie accanto ai toponimi in lingua croata.
Tale segnale di significativa apertura – si spera – viene accolto con estrema soddisfazione dalle Associazioni dell’esodo che hanno ostinatamente proclamato la verità storica e culturale dell’Adriatico orientale e richiesto a gran voce un segno di rispetto per i luoghi a cui l’intero popolo dell’Esodo appartiene.
Non si tratta, com’è evidente, di sciovinismo – come sessant’anni di propaganda jugoslava e nazionalista hanno con protervia voluto far credere – ma di rispetto della complessa identità dell’ampia regione ceduta nel 1947 alla Jugoslavia di Tito e dell’intera Dalmazia: un’identità storica eminentemente italiana nel suo costume sociale, nel suo profilo architettonico ed artistico e nella sua lingua d’uso, e tuttavia caratterizzata da un plurisecolare tessuto di relazioni e di convivenze con comunità diverse, etniche e religiose.
Recuperare i nomi originari delle care città dell’Istria, del Fiumano e della Dalmazia restituisce ad esse la loro originaria bellezza in maniera completa, dona argomenti per una memoria attiva al concetto di identità e valorizza, al contempo, il lavoro tenace dell’Associazionismo degli esuli, che dal dopoguerra, in solitudine, hanno custodito la storia e proclamato il diritto al rispetto della civiltà cui appartengono essi stessi ed i luoghi dai quali furono costretti a fuggire dal nuovo regime totalitario di Tito, ma ai quali rimarranno indissolubilmente legati, nonostante le distanze fisiche e le fratture dell’anima.
Antonio Ballarin, presidente nazionale ANVGD