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Eroi del canottaggio tra Lario e Dalmazia (Corriere Como 19 nov)

La mattina del 7 settem­bre 1911, nel primo bacino del Lario, si svolgono i Campionati italiani di ca­nottaggio, organizzati dalla locale e già famosa Canottieri Lario. I miglio­ri equipaggi di quel tempo, dai padroni di casa alla Bucintoro di Venezia, dal­la Pro Gorla all'Italia di Napoli, si contendono la vittoria nella finale della Jole a quattro vogatori e timoniere.

La gara è piuttosto com­battuta per quel che ri­guarda le posizioni dalla seconda all'ultima, l'allo­ro va invece a una società remiera sconosciuta e nettamente più forte.

La Diadora di Zara (dal greco «dia dora», condivi­sione di doni e di onori), pur ottenendo la vittoria non può fregiarsi del titolo di campione d'Italia, lo scudetto tricolore viene assegnato alla squadra partenopea che neanche a farlo apposta si chiama Italia.

Gli atleti di Zara, giunti a Como attraverso mille peripezie, vincono anche la gara successiva dell'ot­to e altre due regate grazie a un escamotage architet­tato dai loro stessi diri­genti societari, filoitalia­ni ma sudditi di Francesco Giuseppe.

Solo quattro anni prima la Canottieri Diadora si era iscritta al Reale Rowing Club Italiano. Nata come società di canottieri nel 1898, aveva iniziato a disputare competizioni in territorio italiano dal 1907 usando la Marina Militare Italiana come supporto per poter gareggiare fuori dai confini imperiali.

I PROTAGONISTI

Le stesse gare sul bacino lacuale comasco vedono la partecipazione di due stelle lariane del remo: Teodoro Mariani e Giu­seppe Sinigaglia vincono nel doppio e il secondo an­che nel singolo. "Sina" (il soprannome di Siniga­glia) non può fare a meno di notare nell'equipaggio del quattro con e nell'otto di Zara un 19enne che si di­stingue per doti agonisti­che. Si chiama Pietro Luxardo ed è il rampollo di una notabile famiglia del capoluogo dalmata. I Luxardo sono a Zara dalla se­conda decade del 1800. Il bisnonno di Pietro si chia­mava Girolamo, giunse in Dalmazia da Santa Mar­gherita Ligure per com­merciare in cordami e co­rallo, ma si ritrovò a pro­durre su scala industriale il liquore ottenuto dalle aspre ciliege marasche da sempre coltivate sulla co­sta e le isole, inventando il famoso maraschino.

Pietro Luxardo è desti­nato a prendere in mano le redini dell'azienda di fa­miglia, ma ancora vuole esprimersi nell'agonismo. Molte sono le similitudini che lo accomunano a Sini­gaglia. Entrambi amano lo sport, hanno praticato altre attività sportive -uno la lotta, l'altro la scherma – ed entrambi fi­niranno al fronte nel corso della Grande Guerra.

Sinigaglia non tornerà più a rivedere il suo lago. Morirà sul Carso nell'ago­sto 1916. Nicolò Luxardo, fratello maggiore di Pie­tro, egli pure canottiere e irredentista, è a pochi chi­lometri di distanza a dirigere operazioni ai guerra come tenente di fanteria in quel di Monfalcone. Pietro Luxardo non riesce a servi­re la patria di origine dei suoi avi, viene costretto ad arruolarsi nell'esercito dell'Impero d'Austria-Un­gheria, ma dopo alcuni tentativi, nel 1917, riesce a tornare a Zara nella sua ditta di liquori, avendo ot­tenuto il congedo per ma­lattia da quell'esercito di cui mai aveva desiderato far parte.

La guerra finisce nel 1918. Il fratello Nicolò tor­na a casa dal fronte del Carso con due medaglie al valore. Zara è finalmente un'enclave italiana in quello che è diventato ter­ritorio di Jugoslavia dopo le spartizioni post-belli­che fra le potenze vincitri­ci. A Como, la "Lario" piange la morte dei suoi due campioni Sinigaglia e Mariani, che avevano vi­sto il giovane Luxardo ben destreggiarsi con i remi durante i Campionati na­zionali del 1911.

Pietro Luxardo, nono­stante abbia nelle sue ma­ni i destini dell'impresa di famiglia, è deciso a non de­mordere con l'attività sportiva. In particolare, ora che la sua società può gareggiare senza alcun li­mite nei Campionati ita­liani. Dimostra tutto il proprio attaccamento e amor patrio, addirittura finanziando e appoggian­do sia moralmente sia a li­vello logistico i fautori dell'impresa dannunziana di Fiume nel 1919. Infatti un liquore ratafià ancora oggi prodotto da Luxardo e famoso in tutto il mon­do, il "Sangue Morlacco",

porta il nome datogli da Gabriele D'Annunzio in occasione della presa del­la città sul golfo del Quarnaro.

LA NUOVA SFIDA

L'occasione per divenire finalmente campione d'Italia si presenta per una strana sorte proprio a Como, il 1° agosto 1920, no­ve anni dopo le gare vinte sullo stesso bacino, senza però avere avuto la soddi­sfazione di tornarsene a casa con il tricolore.

Nel quattro con timo­niere la vittoria è cosa fat­ta, e Luxardo al secondo remo conquista il titolo tanto agognato davanti all'equipaggio della La-rio. Rimane la gara dell'otto e i ragazzi della Diadora sognano le Olim­piadi di Anversa in Belgio che avranno luogo alla fi­ne dello stesso mese.

Gli avversari più perico­losi sono gli stessi della ga­ra del quattro: gli atleti della Lario. Per il sodali­zio comasco remano Pep-pino De Col, Michelangelo Bernasconi, olimpiaco nel singolo ad Amsterdam nel 1928 e caduto da bersaglie­re sul fronte del Nordafrica nel 1943, Carlo Casnati, Edoardo Natella, Paolo Porta – il federale comasco fucilato a Dongo assieme ai gerarchi fascisti duran­te i fatti del 1945 – Ambro­gio Pessina, Enzo Malin-verno, Angelo Maiocchi con timoniere Plinio Urlo.

Per la società sportiva zaratina, Alfredo e Carlo Toniatti, i tre fratelli Cat-talinich, Simeone Sofonio, Luigi Miller e Pietro Luxardo con timoniere Alfredo Mazzola del circolo Aniene, l'unico di prove­nienza peninsulare.

Probabilmente l'ecces­sivo agonismo da parte dei rematori dalmati per la grande posta in palio pro­voca la rottura del remo di un vogatore.

I tentativi di far capire alla giuria le difficoltà nel poter gareggiare in quelle condizioni giungono tar­dive e la Lario va a vincere in scioltezza davanti alla Libertas di Capodistria.

Le proteste dei ragazzi di Zara continuano una volta arrivati di fronte al tavolo della giuria, ma per tutta risposta la decisione dei giudici è molto lonta­na dall'essere salomonica. La cosa più ovvia sarebbe stata far ripetere la gara, invece si procede in altro modo; il titolo va alla Lario, ma a rappresentare l'Italia alle Olimpiadi non va nessuno, né il quattro con timoniere della Dia­dora, né l'otto della Lario.

Pietro Luxardo e Paolo Porta non avranno più op­portunità nel corso della loro vita di poter disputa­re quella che per antono­masia viene definita da qualsiasi atleta la gara delle gare, ovvero l'Olim­piade. Il comasco si prodigherà a diventare un affermato avvocato, lo zaratino si impegnerà con tutto se stesso nella ditta Luxardo, ma vedrà con soddisfa­zione i suoi compagni so­cietari aggiudicarsi la medaglia di bronzo nell'otto, dopo quattro an­ni durante le Olimpiadi parigine.

L'OMONIMIA

Un altro legame curioso tra la Lario, i Luxardo e la Diadora è di tipo topono­mastico. Torreglia è un ameno paese ai piedi dei Colli Euganei. A pochi chi­lometri di distanza, dopo aver scollinato l'altura di poco più di seicento metri del Monte Venda, si giunge a un'altra località chia­mata Vo'. In quel luogo, il 24 ottobre del 1860 nacque Antonio Sinigaglia, ebreo, figlio di Giuseppe e di Giulia, giunti nel Padovano dalle terre marchigiane da cui prende origine il lo­ro cognome e dove furono mandati a vivere i figli di Abramo per ordine del Pa­pa nella seconda metà del '600. Quando ad Antonio Sinigaglia, che arrivò a Como per fare famiglia e per intraprendere l'attivi­tà di albergatore, nacque il primo figlio, gli sembrò giusto dargli il nome del proprio padre. Il 28 gen­naio 1884 a Como, sulla ri­va del Vo', Giuseppe Sini­gaglia gridò il suo primo vagito, suo padre venti­quattro anni prima aveva fatto la stessa cosa, sem­pre a Vo', ma sui Colli Eu­ganei.

Maurizio Casarola

(courtesy MLH)

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