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Esuli in Uruguay, il 10 Febbraio con il Nunzio Apostolico (C.G.U. 15 feb)

Domenica scorsa si è celebrata nella chiesa della Missione Cattolica Italiana una messa in suffragio delle vittime delle foibe e dell´esodo giuliano-dalmata, nel quadro del Giorno del Ricordo.
La ricorrenza, che si celebra dal 2004, ha lo scopo di ricordare le atrocità di cui furono vittima migliaia di italiani nella zona di confine con l´allora Jugoslavia nel 1943 e negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale.

Il Nunzio Apostolico Monsignor Anselmo Guido Pecorari ha presieduto la cerimonia, insieme a padre Giovanni della Missione Cattolica, al padre Claudio, segretario della Nunziatura e a un diacono. La messa è stata preparata insieme al Circolo Giuliano, che raduna gli immigrati in Uruguay da quelle terre e i loro discendenti.

In apertura, il suo presidente, Dario Pribaz, ha letto un breve testo nel quale ha sottolineato l´importanza del Giorno del Ricordo, stabilito per legge, che ha permesso di “far conoscere a tutti gli italiani una pagina della nostra storia scomoda e perciò troppo a lungo rimossa”.

“Per troppo tempo, infatti” ha continuato Pribaz, “l’orribile capitolo delle foibe e dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati, di un intero popolo, è stato taciuto agli italiani, ed oggi la lunga rimozione di quella tragedia collettiva, intrisa di atrocità e di orrori, appare in tutta la sua ingiustizia. Il Giorno del Ricordo ha vinto la congiura dell’oblio, e ha fatto finalmente giustizia di tanti ritardi, di tanti silenzi e di tante colpevoli omissioni, e finalmente nei libri di testo si parla delle foibe e dell’esodo e nelle scuole si fanno seminari ed incontri”.

Un intervento quanto mai opportuno e necessario, quello del presidente del Circolo Giuliano, depositario in Uruguay di questa eredità di dolore. Pribaz ha definito “gli eccidi del 1943 e del dopoguerra” “un crimine contro l’umanità”. Ed ha ricordato che in quell´epoca, in quella zona convulsa, passata dalle mani fasciste a quelle tedesche, ai partigiani ed infine alle squadre comuniste della Jugoslavia di Tito, “si intrecciarono drammaticamente nelle nostre terre un giustizialismo sommario, rivalse sociali, un parossismo nazionalista e un disegno di sradicamento della presenza italiana. Le nostre genti furono vittime di un moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri contorni della pulizia etnica. Con la disumana ferocia delle Foibe si consumò una delle peggiori barbarie del secolo scorso”. L´odio e la persecuzione provocarono l´esodo di oltre 300mila italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia, che si rifugiarono in oltre oltre cento campi di rifugiati disseminati per tutta l´Italia. Oltre 100mila emigrarono poi all´estero.

Pribaz ha anche espresso la speranza che la volontà di “guardare al futuro e non restare prigionieri del passato”, poiché “il secolo delle idee assassine fortunatamente è alle nostre spalle. Le nostre popolazioni hanno imparato a loro spese i costi dei nazionalismi, dei totalitarismi e degli odi etnici. Nel momento in cui anche la Croazia si appresta ad entrare nell’Unione Europea”, ha continuato, “ e lo stesso trattato di Osimo (del 1975, tra Italia e Jugoslavia, nel quale l´Italia rinuncia definitivamente e senza contropartita agli ultimi lembi della penisola istriana) appare per molti aspetti superato” (poiché la realtà politica dell´ex Jugoslavia è cambiata profondamente e sono cambiate le condizioni sociopolitiche e i rapporti tra gli stati attuali) “bisogna aprire una fase nuova, guardando al futuro, alla caduta dei confini, all’integrazione e allo sviluppo di queste nostre terre dell’Adriatico orientale”. “In questa prospettiva europea vanno affrontati i problemi ancora irrisolti, la cui soluzione va però perseguita senza forzature polemiche, senza strumentalizzazioni politiche, ma con equilibrio e buon senso”.

Tra le questioni aperte, il presidente ha indicato il riconoscimento della “realtà plurale della regione istriana, dove si sono incontrate e integrate nei secoli culture diverse, tutte autoctone e degne di uguale tutela” e “il diritto degli esuli istriani, fiumani e dalmati di sentirsi radicati su quel territorio, che non fa più parte dello Stato italiano, ma dove è stata ed è ancora forte la presenza della comunità italiana”. Ma perché il conto con la storia possa essere saldato e si possa davvero voltare pagina, Pribaz segnala “il pieno, reciproco riconoscimento dei crimini commessi dal fascismo e dal comunismo durante e al termine della seconda guerra mondiale” come “ presupposto indispensabile per una vera riconciliazione”. L´intervento si è chiuso con le parole del vescovo di Trieste, Mons. Antonio Santin, lette ogni 10 febbraio presso la foiba di Basovizza: “Questo calvario, col vertice sprofondato nelle viscere della terra, costituisce una grande cattedra che indica nella giustizia e nell’amore le vie della pace”.

Nell´omelia, il Nunzio ha pronunciato parole di comprensione della situazione di chi ha dovuto abbandonare tutto ciò che gli era caro per fuggire dall´odio, ha ricordato il suo soggiorno in Slovenia, che gli ha permesso di capire meglio la loro situazione e si è rivolto ai “cari esuli” invitandoli a continuare a vivere e tramandare le loro tradizioni culturali e religiose, che ha definito “un tesoro” e che si è detto molto felice di condividere nella messa. “Avete voluto vivere il Giorno del Ricordo con una celebrazione eucaristica: in ogni eucaristia facciamo memoria di Gesù Cristo, che ha lasciato la casa di suo Padre per venire ad abitare tra di noi, affinché possiamo tornare a quella patria che tutti ci attende, che è il cuore di nostro Padre Dio”.

Dopo aver sottolineato come le letture della messa gettano luce sulla nostra vita in questo senso, mons. Pecorari ha ricordato il dovere di “lavorare per la salvezza di tutti, senza emarginare nessuno: neppure i nostri nemici e coloro che ci hanno fatto del male”, ed ha concluso con la speranza che la Madonna di Tersatto (venerata nell´attuale Croazia, nel sito in cui sostò per alcuni anni la “casetta di Nazareth – dove abitò la Sacra Famiglia – oggi a Loreto), aiuti a perdonare e ad “affrontare il futuro con la speranza di saper costruire insieme agli attuali abitanti della vostra terra natale, un´unica famiglia in seno alla Chiesa Cattolica”. Al termine della celebrazione, il rappresentante del Papa in Uruguay ha ringraziato sentitamente per aver vissuto questo momento insieme alla collettività istriano-giuliano-dalmata.

Ha sottolineato anche la “vocazione degli esuli”, citando l´istriano Sergio Endrigo nella sua canzone “Girotondo attorno al mondo” (“se tutti i ragazzi, i ragazzi del mondo, volessero una volta diventare marinai, allora si farebbe un grande ponte, con tante barche intorno al mare”): portare in tutto il mondo le proprie tradizioni culturali e religiose.

Silvano Malini

Circolo Giuliano dell’Uruguay 15 febbraio 2012

 

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