di Luciano Garibaldi
Sono trascorsi 62 anni dal fatale Trattato di Pace di Parigi che assegnò alla Jugoslavia le terre italiane della Venezia Giulia, dell`Istria e della Dalmazia, e costrinse 350mila nostri connazionali, dopo l`orrore delle foibe, a fuggire dalle loro città, dalle loro case, abbandonando ogni avere. Ridotti in povertà, senza un avvenire, costretti, il più delle volte, a emigrare all`altro capo del mondo.
Eppure, ancora oggi, nonostante la loro odissea sia stata finalmente riconosciuta grazie all`istituzione della Giornata del Ricordo, che cade il 10 febbraio, giorno anniversario del Trattato di Parigi, essi continuano a essere trattati come cittadini di serie B. E toccato anche a Romano Cramer, segretario dell`Associazione culturale nazionale «Istria Fiume Dalmazia», che, sottopostosi a una visita medica, si è visto consegnare dall`Azienda Sanitaria di Milano un certificato dal quale risulta «nato ad Albona, Croazia». A questo punto, Cramer non ci ha visto più, è andato dal suo avvocato e ha presentato una denuncia-querela nei confronti della Asl per omissione di atti d`ufficio.
Egli è nato infatti ad Albona, comune istriano in provincia di Pola, il 7 luglio 1946, quando Pola era una città italianissima, e sette mesi prima che quel tragico Trattato di Pace l`assegnasse a Tito. Quindi, nato, a tutti gli effetti, in Italia e non in Jugoslavia, meno che mai in Croazia, che, all`epoca, nemmeno esisteva.
Cramer quindi ha deciso di procedere all`azione giudiziaria anche a nome delle centinaia di nostri concittadini esuli dalle terre orientali che hanno subìto e cointinuano a subire trattamenti simili.
Esiste infatti la legge numero 54 del 15 febbraio 1989 che fu varata proprio a tutela delle delicate situazioni personali createsi a seguito dell`esodo.
Non è la prima volta che Cramer è vittima di questo malcostume. Diciott`anni fa gli capitò addirittura di vedersi recapitare un documento rilasciatogli dalla Procura della Repubblica di Milano da cui risultava «nato ad Albona, Jugoslavia». Protestò duramente con l`allora procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, che gli rispose con una lettera umanissima nella quale gli manifestava «la più profonda e accorata comprensione per i suoi sentimenti, che ogni vero italiano non può non condividere».
Purtroppo non tutti i pubblici funzionari hanno la sensibilità e il senso dell`etica di un magistrato come Borrelli. Lo testimoniano le centinaia di casi analoghi dei quali esiste un`ampia documentazione presso il "Movimento Istria Fiume Dalmazia". Un esempio? Il Comune di Grosseto ha rilasciato a una signora, figlia di esuli istriani, ma nata a Fermo nel 1951, un certificato da cui risulta «immigrata da Serbia Montenegro Albona».
Non possiamo che condividere e sottoscrivere quanto affermato nella denuncia-querela di Romano Cramer. A puro titolo di cronaca, il legale che assiste Cramer nella denuncia-querela è il penalista milanese avvocato Vetullio Mussolini, patrocinante in Cassazione. «L`esodo – si legge nella denuncia – fu dovuto alla sistematica e preordinata politica di pulizia etnica praticata dagli slavi per eliminare la maggioranza italiana e conseguentemente assegnare il territorio istriano alla nuova federazione jugoslava. I motivi che portarono all`esodo 350mila italiani erano in gran parte legati alle pretese jugoslave sulla zona, che si espressero, in pieno regime titoista, in un programma organico di annessione, posto che la presenza italiana veniva vista, all`epoca, come un corpo estraneo ed ostile allo Stato jugoslavo, e per tale motivo intollerabile. Gli italiani d`Istria furono così oggetto di rappresaglie, processi sommari, infoibamenti e altri atti di atroce violenza». Per favore,quindi, non aggiungiamoci l`umiliazione di vedersi definire «nati in Jugoslavia».