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Ex valichi, 5 anni dopo degrado senza confini (Il Piccolo 25 set)

Era il dicembre del 2007 quando Trieste disse addio alle frontiere con la Slovenia, entrata ufficialmente in area Schengen. In un clima di festa ed euforia la città consegnava ai libri di storia un evento epocale. Con le grandi celebrazioni a Fernetti e a Rabuiese se ne andavano per sempre i controlli, la carta d’identità e la “prepustnica” da esibire al poliziotto, le code in automobile. Se ne andavano soprattutto le barriere più dure da abbattere, quelle mentali. «Un giorno cercheremo il confine e non sapremo più dov’era», commentò l’allora ministro dell’Interno Giuliano Amato nel suo intervento a Rabuiese, per decenni uno dei simboli della cortina di ferro che separava Italia e Jugoslavia, l’Europa Occidentale dall’Est. Quel giorno che il ministro auspicava non è ancora arrivato. Non a Pese, non a Rabuiese e nemmeno a Fernetti.

 

Qui – a differenza della parte slovena, dove poco ci manca a vedere fiori nelle aiuole – quel che resta dei valichi si vede eccome. E in quale stato: a quasi cinque anni di distanza sono ancora là, abbandonati. Terra di nessuno, dove regna il degrado. Un ottimo biglietto da visita per chi, da Trieste, entra nel nostro Paese. Quelle frontiere mostrano, oggi, il loro volto più desolante. Un pallido ricordo del 2007. A Rabuiese gli ex uffici di dogane e Polizia sono lasciati a se stessi, così come le palazzine delle ditte di spedizione che, dell’apertura dei confini, hanno pagato il prezzo più caro. I bordi del piazzale che separa, anzi unisce, Italia e Slovenia, è cosparso di spazzatura. Centinaia e centinaia di bottiglie e taniche di plastica, sacchi, pezzi di elettrodomestici, escrementi. E ancora batterie d’auto, copertoni, resti di cibo, vetri e calcinacci. Residui edili che qualcuno trasporta con i camion e scarica per terra.

 

La cavità di una barra di ferro lunga qualche metro è stata trasformata in una sorta di lungo cestino delle immondizie. Scenario decisamente migliore a Lazzaretto, Muggia. La zona, che si trova nelle vicinanze dei campeggi e della spiaggia, è tutto sommato dignitosa. Ma la struttura che doveva accogliere dogane e forze dell’ordine mostra chiari segni di incuria. All’interno si scorgono porte sfondate, pareti sbrecciate e cavi divelti. C’è anche la barra tricolore che la Polizia alzava e abbassava a ogni passaggio delle auto. Il peggio si trova a Pese. L’area che una volta era adibita a parcheggio per i tir è stata riasfaltata e non è più accessibile. Ma nessuno si è preoccupato di pulire anni e anni di immondizia stratificata, lasciata per terra dai camionisti.

 

Tutt’intorno, quintali di spazzatura. Anche qui il solito inventario: ruote, migliaia di bottiglie di vetro e plastica, scatolette di latta arrugginite e rimasugli di pasti. Un’autentica discarica che si estende per diverse decine di metri nel bosco circostante. Anche qui le classiche palazzine che fino a cinque anni fa ospitavano poliziotti e finanzieri. Ma c’è di più. Un edificio bianco, con la porta sfondata, è preda di vandali. L’interno è devastato. Sul pavimento c’è di tutto: in mezzo alla sporcizia documenti doganali, manuali della Polizia, vecchie copie di giornali e un calendario dell’83. I cartoni e gli stracci usati come giacigli di fortuna sono tracce evidenti che questa catapecchia è un’abituale dimora per clochard e gente di passaggio. Desolazione anche al piccolo confine di Monrupino. Stavolta è la costruzione del valico italiano, anche questa abbandonata, che si presenta meglio. Nella parte slovena invece, nel paese di Dol Pri Vogljah, il casolare che fino al ‘91 serviva da alloggio ai militari è letteralmente a pezzi. Davanti resiste ancora la garitta per il soldato di guardia e, poco più in là, gli ex uffici della Policija. Nel bosco vicino ci si imbatte in un magazzino crollato, con la copertura di amianto sparsa a terra. Siamo in Slovenia, ma poco importa: il degrado non conosce confini.

 

Gianpaolo Sarti

“Il Piccolo” 25 settembre 2012

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