“Per altre terre andrò, per altro mare”, dice il poeta. Qualcuno ha potuto farlo, qualcuno vi è stato costretto. A Fertilia, borgo sul mare a metà strada tra la città vecchia catalana di Alghero (Sassari) e l’aeroporto della Ryanair, via Pola termina in uno spalto sul mare, a mo’ di prua di nave, dove si innalza una stele di travertino con il leone di Venezia, su cui si legge:
“Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraternamente gli esuli dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia”
Una città di profughi dalla pulizia etnica, nell’Istria occupata dai partigiani titini, che si affaccia al capo nord del golfo di Alghero, con la città catalana che le fa cenno dall’altra parte della baia. Quell’Alghero di orgogliosa identità catalana, anch’essa frutto di un atto di pulizia etnica ante litteram, quando tra 1354 e 1372 i catalani, conquistata la città e repressa una rivolta, ne espulsero tutti gli originari abitanti sardi sul monte, a Monteleone.
Nata nel 1936 come città di fondazione, il borgo di Fertilia proseguiva gli sforzi già ottocenteschi per la bonifica della piana della Nurra e della laguna di Calich. Il fascismo stese l’impianto urbano secondo i canoni dell’architettura razionalista di regime, mentre l’Ente Ferrarese di Colonizzazione si occupò di condurre le prime 100 famiglie dalla bassa ferrarese in nuovi poderi colonici.
Fu dopo la seconda guerra mondiale, e l’esodo giuliano-dalmata, che Fertilia si trasformò in centro di raccolta per quegli esuli che non avevano trovato accoglienza in altre parti d’Italia.
“C’è una piccola città incompiuta. Occupiamola, e sarà nostra“, si sente dire nel bel video di Giampaolo Penco e Diego Clericuzio. Fertilia dei Giuliani, ultima spiaggia, per chi era già stato rifiutato sul continente. Con l’arrivo degli esuli, Fertilia iniziò a vivere di vita propria. Le strade vennero rinominate: via Pola, via Fiume, via Orsera, via Istria, via Dalmazia, via Parenzo, lungomare Rovigno, piazza Venezia Giulia. Sulla piazza, nel 1957, alla chiesa parrocchiale intitolata al “Sacro cuore di Gesù e San Marco”, venne affiancato un campanile che riprende le forme di quello della Cattedrale di Venezia.
Col tempo, agli originari ferraresi e ai giuliano-dalmati si aggiunsero sardi e algheresi attratti dal basso costo delle abitazioni. Oggi gli esuli non sono più la maggioranza, il borgo è una società integrata; ma ne resta la traccia indelebile. Nei nomi delle vie, in quel leone di San Marco che guarda ad ovest, come se dovesse fare il giro del mondo per tornare con lo sguardo all’Istria natìa.
Fertilia è l’immagine della nostalgia, con il leone di san Marco che rimanda al quadro “Le mal du pays” di René Magritte, dove un angelo nero si sporge da una balaustra, mentre alle sue spalle giace immobile un tranquillo leone.
@davidedenti
www.eastjournal.net 18 settembre 2013
Il Leone marciano sulla stele di Fertilia che ricorda l’arrivo degli esuli (foto Davide Denti)