Alcuni media hanno annunciato in tono polemico la visita del presidente della Camera del Parlamento italiano, Gianfranco Fini, in Croazia. Particolarmente effervescenti sono state poi le reazioni all’annuncio del suo arrivo a Pola. Lo storico Dukovski si è detto addirittura convinto che Fini sia venuto apposta proprio lo stesso giorno in cui novant’anni fa Mussolini venne a Pola minacciando “la razza inferiore”, il che gli sarebbe valso uno schiaffo per mano dell’anarchico Eugenio Grabovac. Gli antifascisti sono stati durissimi con Fini; ben più cordiali e costruttivi sono stati Jadranka Kosor e Luka Bebić. Quanto alla stampa, la maggior parte delle testate croate ha semplicemente ignorato la sua visita. Uno strano silenzio stampa.???!!!.
Altre testate ancora (eccezion fatta per il Glas Istre e La Voce) hanno sottolineato dettagli marginali (l’assenza di Jakovčić) sollevando (o rischiando di sollevare) un polverone. Così, NESSUNO dei politici e dei media ha colto il punto essenziale. Innanzitutto, Fini ha confermato che il Parlamento italiano sarà il primo a ratificare l’Accordo di adesione della Croazia all’UE. Inoltre, Fini ha detto che le foibe sono il passato e che di fronte a noi si schiude un comune futuro europeo. In secondo luogo, Fini ha sottolineato, alla pari dei politici croati, che è di fondamentale importanza il fatto che persone che in passato sono state discriminate hanno ora la possibilità di tornare in possesso dei loro beni nazionalizzati o di ricevere un giusto indennizzo…
Eh, la storia; quella storia alla quale anch’io mi dedico troppo. Ma mi ci dedico (come un tempo faceva Tomizza) proprio perché va fatta chiarezza per poter fare passi avanti. E lo fanno anche molti giovani che seguono la stretta, ma importantissima via della convivenza. Lo fa anche il giovane di origine istriana che mi scrive:
“Ora l’autunno si è aperto con uno sforzo immane per l’ultimazione del nuovo romanzo, terminato e consegnato la scorsa settimana. Che dire? Ho pensato molto a lei mentre lo scrivevo, tanto che ho sentito il bisogno di dare il suo nome ad uno dei personaggi. Serve avere dei punti fermi quando si è pazzi e si vuole fare gli scrittori, senza avere amicizie influenti che ti raccomandino. Lei negli anni Ottanta ha avuto il coraggio di scrivere e pubblicare un romanzo scomodo, io mi accingo a farlo ora, in un’epoca in cui le cose scomode in fondo non interessano quasi a nessuno. Mi sembra di averle già accennato il tema, si tratta del rovescio della medaglia della tragedia delle foibe e dell’esodo. Il dolore non ha colori o nazioni, ha solo la disperazione di chi lo prova. Così (il mio romanzo) vuole raccontare gli abusi subiti dai non italiani della Venezia Giulia, dello smembramento della Jugoslavia di allora, della guerra, dei campi di concentramento di Gonars e Arbe, della genesi di un infoibatore che, a ben vedere, non era un mostro, ma solo un uomo stanco di piegare il capo che si vendica nel peggiore dei modi. Ovviamente, se qualche editore degno di questo nome, accetterà di rischiare e far emergere la mia voce”…
Ho risposto all’autore della lettera e all’opinione pubblica riproponendo alcuni passaggi di una mia intervista rilasciata al Dnevnik sloveno nel 2008, che un portale italiano ha ripreso integralmente:
“Disse anche Fulvio Tomizza nel ricevere un premio a Treviso. ‘M’identifico con la frontiera’. Cosa può significare una frase tanto banale? Accetto il confine. Certamente sì. Ma questo significa anche accettare il passaggio del confine, specialmente se vietato, scomodo, strano. Il confine suscita il desiderio di andare là oltre, dall’altra parte. Cosa c’è di più umano? Questo ci tiene in piedi. Questo rimane vivo nella mia generazione sulla costa e credo anche in altre generazioni. Questo è stato piantato in noi da Venezia. In politica economica era spietata… Tutto il resto era aperto… Vogliamo essere realisti? A Trieste, a Gorizia ed in Istria era o noi o loro. Il motivo era il territorio, come a Srebrenica. Tutto il resto è letteratura. Comunque, a vincere era la vita della gente comune… La formula della coesistenza è una formula europea prima dell’Europa…
Cos’è successo allora in Istria? In Istria gli italiani furono oggetto di vendetta e di una punizione spaventosa. La punizione fu spietata. Per questo ho scritto Riva i druži. Come la vittoria anche la punizione ha profonde radici storiche. Uno degli Stuparich scrisse che nell’incendio del Narodni dom aveva visto anche l’incendio che avrebbe portato via gli italiani da queste terre. Questo è un terreno infido. Una tale punizione non può essere giustificata giuridicamente. Tre o quattromila italiani furono uccisi. Italiani, fascisti, civili, difficile a dirsi. Comunque gente disarmata. I partigiani croati e sloveni uccisero questa gente senza processo durante e dopo la guerra. Questa non è giustizia. Questa è punizione e vendetta… Fu il romanzo La miglior vita di Fulvio Tomizza, che avevo tradotto aveva risvegliato in me il bisogno di fare in modo che noi slavi meridionali ci dimostrassimo di animo nobile e larghe vedute e mostrassimo quel pentimento mostrato da Fulvio Tomizza”.
Fini è giunto in Croazia e ha lanciato messaggi importanti; un altro fiore sugli innumerevoli patiboli del XX secolo.