STORIA NON SOLO D'ANNUNZIO: UNA CITTÀ CRUCIALE NEL '900 NEL SAGGIO DI PARLATO
L'identità italiana messa alla prova in mezzo al guado di Fiume
di MANLIO TRIGG1ANI
Simbolo dell'irredentismo, «Città olocausta», per dirla con Gabriele D'Annunzio, Fiume fu nella prima metà del Novecento un vero laboratorio politico, sociale, istituzionale, al centro dell'attenzione dei governi di tutta Europa. Furono gettate lì le basi per nuovi modelli politici autoritari che di lì a poco si sarebbero sviluppati. Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea alla Libera Università San Pio V di Roma, storico del '900, ha inaugurato una nuova collana dell'editore Cantagalli, «I fatti e la storia», da luì stesso diretta, con un testo che ripercorre cinquanta anni di storia di Fiume. Il libro, infatti, fa chiarezza su alcuni aspetti poco conosciuti della vita a Fiume dalla fine deU'800 alla fine della seconda guerra mondiale.
Parlato spiega i quattro modelli politici e sociali che hanno segnato lo sviluppo, in quegli anni, della città. Dapprima, l'autonomismo, realtà che Fiume visse dall'inizio del 1530, quando faceva parte della corona austro-ungherese godendo di ampi spazi di autonomia. Autonomia che fu messa a dura prova nella seconda metà dell'800, quando per circa un ventennio Fiume passò alla Croazia: le minacce del nazionalismo slavo fecero mutare l'autonomismo in irredentismo. Nei primi del '900 fu accelerato il processo di «magiarizzazione» da parte della corona ungherese. E così molti fiumani chiesero l'annessione all'Italia. Ma nel 1918 il Consiglio nazionale italiano di Fiume, nel nome dell'autodeterminazione dei popoli, chiese l'annessione all'Italia. Così si compì l'irredentismo, secondo modello.
H terzo, fu quello dell'impresa di Gabriele D'Annunzio. L'impresa fiumana fu il seguito del fallimento, da parte di Nitri, di trovare una soluzione alla assegnazione di Fiume, dopo gli errori compiuti dalla diplomazia italiana.
Di fronte a trattative che finivano in un vicolo cieco, lo scrittore pescarese, che si definiva «uomo d'arme»,decise di dare una svolta a quella fase di stallo: creo il fiumanesimo e con qualche migliaio di volontari occupò Fiume. Nacque un nuovo e modernissimo genere di Stato, sindacal-rivoluzionario, nel quale convivevano autonomie locali, sistema corporativo, mito dal capo carismatico, diritti delle donne.
Dall'irredentismo si passò all'annessione della città all'Italia, con un programma rappresentato dalla Carta del Carnaro.
Il quarto modello si compì con l'annessione di Fiume all'Italia, nel 1924 che non godette più dell'autonomia ma fu una scelta frutto degli scontri degli opposti nazionalismi, quello slavo e quello italiano. Rispetto agli altri studi su Fiume qui sono analizzati aspetti sociali ed economici, le strutture previdenziali, le condizioni di vita della popolazione. I fiumani si riconoscevano nell'appartenenza all'Italia: 40mila fiumani, dopo le vicende la «pulizia etnica» delle foibe ritine, lasciarono le terre per affermare la propria identità.
G. Parlato, «Mezzo secolo di Fiume» (Cantagalli ed., pagg. 210, euro 14,90)