di Ilaria Rocchi
Praticamente all'indomani dell'armistizio dell'8 settembre 1943, sottraendo all'Italia una parte del suo territorio, Hitler istituì – insieme con l'Alpenvorland, che inglobava Trento, Bolzano e Belluno – l'Operationszone Adriatisches Kustenland, detto anche Litorale adriatico o zona d'operazioni del Litorale adriatico, che comprendeva Udine, Gorizia, Lubiana, Trieste, Pola e Fiume. Anche se il mantenimento dei poteri pubblici, prefettizi, politici e di ordine pubblico stava ad assicurare una formale continuità italiana, la regione si trovò di fatto sotto il controllo dei tedeschi, i quali cominciavano a guardare sempre più con benevolenza alle aspirazioni dei croati (ustascia), che che non nascondevano il desiderio di annettere Fiume, Zara e l'Istria allo Stato indipendente croato (NDH) creato da Ante Pavelić.
Soffermiamoci sul capoluogo quarnerino. Nell'ultimo periodo del conflitto la situazione a Fiume divenne sempre più complessa e drammatica. Agli inizi del 1944 avvenne il primo bombardamento aereo anglo-americano, al quale ne seguirono altri 27, che provocarono centinaia di morti e danneggiarono gran parte delle strutture portuali e industriali. Le recrudescenze del regime nazista – si vedano a esempio la deportazione degli ebrei e la distruzione della Sinagoga (che era rimasta fino ad allora intatta) e l'efferrato crimine del 30 aprile 1944 a Lipa, dove oltre 220 civili, donne, vecchi e bambini, furono fucilati per rappresaglia – stavano consumando la popolazione, parimenti alle minacce che arrivavano dall'alto. Alle porte della città stava avanzando l'esercito jugoslavo di Tito. I fiumani si ritrovarono così stretti in una morsa tra i tedeschi da una parte e le truppe jugoslave dall'altra parte, nonché una città sventrata dalle bombe. Anche se la disfatta nazista e lo sgombero dei tedeschi erano ormai diventati una questione di ore, non fu affatto facile per le unità della IV Armata popolare jugoslava entrare a Fiume; alla fine, nella notte tra il 2 e il 3 maggio 1945, i tedeschi cominciarono la ritirata, dirigendosi verso Villa del Nevoso, e alle dieci del mattino del 3 maggio le prime colonne di partigiani incominciarono a scendere dal sobborgo di Drenova per insediarsi a Fiume. Senza attendere l'esito dei trattati di pace, procedettero subito con l'instaurazione del nuovo potere popolare, per il tramite di un "proprio" Comitato Popolare Cittadino. Nella situazione che via via si era venuta a creare e si stava sviluppando a Fiume un Comitato di Liberazione Nazionale "italiano", capeggiato da Antonio Luksich-Jamini, nonché un altro Comitato fiumano, di ispirazione autonomista, non ebbero alcuna seria possibilità d'intervento, come fu del resto vana l'attesa di molti fiumani di un (im)probabile sbarco alleato e il sogno (anacronistico) della (ri)costituzione di uno stato libero fiumano, un po' sul modello di quello che Riccardo Zanella aveva creato dopo la Prima guerra mondiale, all'indomani dell'impresa dannunziana e in seguito al Trattato di Rapallo (12 novembre 1920).
Ai fiumani non fu lasciato alcun margine d'azione e fu subito fatto capire quale sarebbe stato il destino (l'unico ammesso) della città. Già la mattina del 4 maggio 1945 si sparse la voce che nella notte si erano verificate irruzioni della polizia segreta jugoslava – l'OZNA – in molte case di privati cittadini. Furono uccisi esponenti del vecchio partito autonomista, come Mario Blasich, Nevio Skull, Giuseppe Sincich; si persero le tracce del senatore Icilio Bacci (arrestato il 21 maggio 1945), mentre l'altro senatore, Riccardo Gigante (arrestato il 4 maggio 1945), fu prelevato e condotto insieme ad altre persone a Castua per essere fucilato e trucidato a colpi di baionetta.
Oltre ai due senatori del Regno, furono arrestati e uccisi a Fiume, a ostilità finite, Carlo Colussi (già podestà) e sua moglie Nerina Copetti in Colussi, Rodolfo Moncilli, Mario Blasich, Angelo Adam, sua moglie Ernesta Stefancich e sua figlia Zulema Adam, Nicolò Cattaro, panettiere di Abbazia, Lucia Vendramin, Giuseppe Sincich, Nevio Skull, il prof. Gino Sirola (ultimo podestà di Fiume dopo l'8 settembre 1943 e riconfermato il 9 febbraio 1944 che, arrestato dai "titini" a Trieste il 3 maggio 1945, fu riportato a Fiume nella villa Rippa, trasformata in carcere, e poi scomparve), Margherita Sennis e sua figlia Gigliola, Angela Neugebaucr, crocerossina più volte decorata e tante altre ancora furono le vittime, gli arresti, le liquidazioni sommarie, gli scomparsi, le confische dei beni, le intimidazioni… Alla fine, circa l'85 per cento della popolazione abbandonò Fiume. Stando alle stime dell'Opera per l'Assistenza ai Profughi Giuliani e Dalmati, tra il 1946 e il 1947 più di 25.000 italiani lasciarono Fiume. Prima di quel periodo altri 67 mila italiani avevano già lasciato la città.
Ora, sono trascorsi 65 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale e dalle esecuzioni sommarie del maggio '45. L'impresa partigiana, ossia l'effettiva liberazione di Fiume, quella dall'occupazione nazista, si celebra puntualmente ogni anno il 3 maggio, come pure vengono giustamente condannate le atrocità commesse sotto i regimi fascista e nazista, gli orrori di una guerra provocata dalla politica e dalle mire scellerate di due spietati dittatori. Si ricordano le vittime, le sofferenze, anche attraverso le testimonianze dei sopravvissuti. E dev'essere così, anche come insegnamento da lasciare alle generazioni del futuro, affinché le brutture, le tragedie e simili episodi della nostra storia non abbiano più a ripetersi.
Ma affinché il messaggio da tramandare ai posteri sia completo e veramente efficace nella prospettiva di una società migliore, più giusta, la condanna dei responsabili di tali atrocità deve essere piena, completa, indiscussa, chiara, e riguardare tutti i crimini. E se è vero che il diritto internazionale umanitario considera vittime di guerra tutte le persone che non hanno mai partecipato ai combattimenti o che hanno cessato di parteciparvi, non si possono, non si dovrebbero ignorare o dimenticare le vittime del maggio '45, quelle dei crimini commessi dai partigiani di Tito, rispettivamente quelle uccisioni compiute sotto l'egida del nuovo "potere del popolo". Tra i tanti, c'è pure il corpo del senatore fiumano Riccardo Gigante, che si trova in una fossa comune, a poche centinaia di metri dalla cittadina di Castua, nel bosco della Loza. Il luogo è stato individuato anni fa nel corso di una ricerca storica congiunta della Società di Studi Fiumani con sede a Roma e l'Istituto Croato per la Storia di Zagabria, a cura di Amleto Ballarini e Mihael Sobolevski, e pubblicata in versione bilingue, italo-croata nel 2002, con il titolo "Le vittime di nazionalità italiana a Fiume e dintorni (1939-1947)", rispettivamente in croato "Žrtve talijanske nacionalnosti u Rijeci i okolici (1939.-1947.)". A onorare queste vittime fiumane, per lo più italiane, è, da undici anni a questa parte, la Società di Studi Fiumani. I rappresentanti dell'associazione tornano puntualmente nel capoluogo quarnerino "per ricordare al mondo dell'esodo e alle autorità italiane e croate, che i loro poveri resti sono ancora in attesa di dignitosa e cristiana sepoltura". Alla Società, espressione "dell'anima fiumana esodata", si uniscono gli esponenti "dell'anima fiumana dei rimasti". Un modo più che giusto per sollecitare l'attenzione pubblica (carente) – oltre che per commemorare i defunti -, su questa parte della vicenda fiumana; un modo più che opportuno per remare in direzione di una memoria da condividere senza rancore, astio, risentimento, per un domani più sereno. Evitando così che il Giorno del Ricordo si trasformi con il tempo (solo) in uno strumento di cui la parte italiana si servirà per rievocare le proprie ferite e i propri morti, rispettivamente che in occasione del 3 maggio le autorità di Fiume oggi croata, continueranno a rimanere sorde e cieche di fronte ai crimini commessi dalla parte all'epoca jugoslava, snobbando il ricordo delle vittime italiane. Purtroppo anche quest'anno è andata così e finché si proseguirà su questa strada, anzi su strade parallele – a prescindere dalle tante mani tese -, non ci potrà essere veramente un'eredità civile e culturale – quella fiumana, italiana, croata, o di altra nazionalità – di cui fare tesoro, per progettare e costruire un futuro da condividere.