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Fiume-Rijeka: Romano sul CorSera (Corriere della Sera 23 dic)

Noto positivamente la grande performance della Pellegrini ed il nuovo record. Noto invece negativamente che come al solito l'Italia ha paura del suo passato andando a scrivere che il record è stato ottenuto durante i campionati europei di Rijeka. Rijeka ha un nome italiano: Fiume. Non riesco a capire perche non si possa usarlo. Non scrivete London ma Londra, non scrivete Beijing ma Pechino, non scrivete Köln ma Colonia… e allora perché non si può scrivere Fiume, Pola e Ragusa? Non c'entra niente la politica ma solo il mantenimento e la constatazione della «normalità».

Luca Malaman, Lukediver66@yahoo.it

Secondo tutta la stampa italiana, Corriere compreso, i campionati europei di nuoto si sono appena svolti a Rijeka, in Croazia. Sarà forse per ignoranza dura e pura, e non per la «cupidigia di servilismo» evocata da Croce: fatto è che bisognerebbe ricordare a tutti costoro che Rijeka in italiano si chiama Fiume, e che è possibile chiamarla col nome italiano senza essere tacciati di «dannunzianesimo» o, non sia mai, di fascismo.

Giuseppe Giannetti, indiana@fastwebnet.it

Cari lettori,

Accanto alle ragioni del patriottismo esistono anche quelle della geografia. Per molto tempo quasi tutti i nomi geografici sono stati tradotti nelle diverse lingue nazionali europee, spesso utilizzando, quando esistevano, le loro vecchie denominazioni latine. È questa la ragione per cui diciamo Monaco anziché München, Ratisbona anziché Regensburg, Marsiglia anziché Marseille, L'Aja anziché Den Haag, Stoccolma anziché Stockholm. Ma altri nomi, più difficilmente traducibili o meno frequentemente usati, hanno conservato la loro grafia originale. Accade così, per esempio, che due città austriache — Salzburg e Innsbruck — abbiano avuto sorti diverse: il nome della prima è diventato, in italiano, Salisburgo e il nome della seconda è rimasto invariato. Non bisogna dimenticare inoltre che sono sempre esistite in Europa, soprattutto in regioni abitate da molti gruppi linguistici, città e borghi che hanno avuto almeno due nomi. Penso a Pressburg- Bratislava, a Breslau- Wroclaw, a Lemberg- Lviv (in italiano Leopoli).

Più recentemente, grazie allo straordinario aumento degli scambi umani e commerciali, abbiamo smesso di tradurre ed è prevalso l'uso di preferire, per quanto possibile, il nome indigeno. Vi sono addirittura molti casi in cui la traduzione è stata scartata a favore dell'originale. Cento anni fa dicevamo Brusselle, oggi diciamo Bruxelles. Cinquant'anni fa dicevamo Nuova York e Nuova Delhi; oggi preferiamo New York e New Delhi.

Contemporaneamente, tuttavia, un altro fattore, il nazionalismo, ha avuto e continua ad avere una grande influenza sulla toponomastica. Quando conquista o riconquista l'indipendenza, un possedimento coloniale cerca di eliminare dalla carta geografica i nomi imposti dai colonizzatori. È il caso dell'India dove Bombay è diventata Mumbay e Benares si è trasformata in Varanasi. Quando reclama una provincia irredenta e riesce a impadronirsene, lo Stato nazionale europeo cerca di cancellare i segni della presenza straniera e impone i propri nomi. È quello che l'Italia ha fatto nella provincia di Bolzano ricorrendo a vecchi nomi latini o, addirittura, alla fantasia. È ciò che la Jugoslavia ha fatto in Istria e Dalmazia. In alcuni casi il problema è stato risolto con la toponomastica bilingue, come in Alto Adige e in Friuli. Ma altrove il nuovo padrone ha imposto i propri nomi. Molto dipende dalla composizione etnica d'una città. Non è facile difendere il nome tedesco di una città polacca da cui i cittadini tedeschi sono partiti in massa alla fine della seconda guerra mondiale (non è un caso che la sola città della Polonia che conservi un nome tedesco sia Oswiecim, meglio nota al mondo come Auschwitz). Per la stessa ragione non è facile continuare a chiamare Pola e Fiume due città dove gli italiani sono ormai una piccola percentuale della popolazione. Detto questo, credo anch'io che i giornalisti italiani, quando riferiscono di fatti avvenuti a Rijeka, dovrebbero ricordare, almeno tra parentesi, che la città si chiamava Fiume. È un omaggio doveroso alla sua storia secolare e a coloro che hanno dovuto abbandonarla.

Sergio Romano

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