Noto positivamente la grande performance della Pellegrini ed il nuovo record. Noto invece negativamente che come al solito l'Italia ha paura del suo passato andando a scrivere che il record è stato ottenuto durante i campionati europei di Rijeka. Rijeka ha un nome italiano: Fiume. Non riesco a capire perche non si possa usarlo. Non scrivete London ma Londra, non scrivete Beijing ma Pechino, non scrivete Köln ma Colonia… e allora perché non si può scrivere Fiume, Pola e Ragusa? Non c'entra niente la politica ma solo il mantenimento e la constatazione della «normalità».
Luca Malaman, Lukediver66@yahoo.it
Secondo tutta la stampa italiana, Corriere compreso, i campionati europei di nuoto si sono appena svolti a Rijeka, in Croazia. Sarà forse per ignoranza dura e pura, e non per la «cupidigia di servilismo» evocata da Croce: fatto è che bisognerebbe ricordare a tutti costoro che Rijeka in italiano si chiama Fiume, e che è possibile chiamarla col nome italiano senza essere tacciati di «dannunzianesimo» o, non sia mai, di fascismo.
Giuseppe Giannetti, indiana@fastwebnet.it
Cari lettori,
Accanto alle ragioni del patriottismo esistono anche quelle della geografia. Per molto tempo quasi tutti i nomi geografici sono stati tradotti nelle diverse lingue nazionali europee, spesso utilizzando, quando esistevano, le loro vecchie denominazioni latine. È questa la ragione per cui diciamo Monaco anziché München, Ratisbona anziché Regensburg, Marsiglia anziché Marseille, L'Aja anziché Den Haag, Stoccolma anziché Stockholm. Ma altri nomi, più difficilmente traducibili o meno frequentemente usati, hanno conservato la loro grafia originale. Accade così, per esempio, che due città austriache — Salzburg e Innsbruck — abbiano avuto sorti diverse: il nome della prima è diventato, in italiano, Salisburgo e il nome della seconda è rimasto invariato. Non bisogna dimenticare inoltre che sono sempre esistite in Europa, soprattutto in regioni abitate da molti gruppi linguistici, città e borghi che hanno avuto almeno due nomi. Penso a Pressburg- Bratislava, a Breslau- Wroclaw, a Lemberg- Lviv (in italiano Leopoli).
Più recentemente, grazie allo straordinario aumento degli scambi umani e commerciali, abbiamo smesso di tradurre ed è prevalso l'uso di preferire, per quanto possibile, il nome indigeno. Vi sono addirittura molti casi in cui la traduzione è stata scartata a favore dell'originale. Cento anni fa dicevamo Brusselle, oggi diciamo Bruxelles. Cinquant'anni fa dicevamo Nuova York e Nuova Delhi; oggi preferiamo New York e New Delhi.
Contemporaneamente, tuttavia, un altro fattore, il nazionalismo, ha avuto e continua ad avere una grande influenza sulla toponomastica. Quando conquista o riconquista l'indipendenza, un possedimento coloniale cerca di eliminare dalla carta geografica i nomi imposti dai colonizzatori. È il caso dell'India dove Bombay è diventata Mumbay e Benares si è trasformata in Varanasi. Quando reclama una provincia irredenta e riesce a impadronirsene, lo Stato nazionale europeo cerca di cancellare i segni della presenza straniera e impone i propri nomi. È quello che l'Italia ha fatto nella provincia di Bolzano ricorrendo a vecchi nomi latini o, addirittura, alla fantasia. È ciò che la Jugoslavia ha fatto in Istria e Dalmazia. In alcuni casi il problema è stato risolto con la toponomastica bilingue, come in Alto Adige e in Friuli. Ma altrove il nuovo padrone ha imposto i propri nomi. Molto dipende dalla composizione etnica d'una città. Non è facile difendere il nome tedesco di una città polacca da cui i cittadini tedeschi sono partiti in massa alla fine della seconda guerra mondiale (non è un caso che la sola città della Polonia che conservi un nome tedesco sia Oswiecim, meglio nota al mondo come Auschwitz). Per la stessa ragione non è facile continuare a chiamare Pola e Fiume due città dove gli italiani sono ormai una piccola percentuale della popolazione. Detto questo, credo anch'io che i giornalisti italiani, quando riferiscono di fatti avvenuti a Rijeka, dovrebbero ricordare, almeno tra parentesi, che la città si chiamava Fiume. È un omaggio doveroso alla sua storia secolare e a coloro che hanno dovuto abbandonarla.
Sergio Romano