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Foibe, allarme negazionismo – 08feb13

L’11 febbraio Napolitano presenzierà al Quirinale alla cerimonia del “Giorno del ricordo”, ultimo del suo settennato. Sei anni fa, il 10 febbraio 2007, in occasione del suo primo “Giorno del ricordo”, il presidente rievocò con coraggio le «miriadi di tragedie e di orrori» che assunsero «i sinistri contorni di una pulizia etnica» subita dagli italiani del nostro confine orientale ad opera dei titini, denunciando la «congiura del silenzio» che infoibò anche la memoria di quelle agghiaccianti vicende. Proprio l’insistito rilievo acquisito, col presidente Napolitano, dal “Giorno del ricordo”, ha reso manifesta una nuova declinazione del negazionismo.

Il negazionismo è un vocabolo che ha guadagnato facinorosa visibilità, lontano da qualsiasi fondatezza scientifica, sostenendo l’inesistenza della Shoah, e poi assumendo politicamente una valenza dilagante e comprendente la negazione di altri grandi drammi del ’900, dal genocidio armeno alla pulizia etnica appunto contro gli italiani di Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, congiungendo dunque l’estremismo radicale di destra e sinistra. Annualmente, in prossimità del 10 febbraio (ricordo del giorno del Trattato di pace firmato dall’Italia a Parigi nel 1947 e simbolo di quelle tragedie già iniziate e comunque proseguite), si registra l’acuirsi di un negazionismo materiale, già diffuso e oggi uguale – negli intenti distruttivi di un passato da oscurare – ad altre estreme manifestazioni in tutto il mondo: da Bamiyan in Afghanistan, dove nel 2001 i talebani hanno preso a cannonate le straordinarie statue di Buddha del III-IV secolo, alla odierna distruzione degli antichi mausolei di Timbuctu da parte dagli integralisti islamici. Abrasioni violente di simboli religiosi che da noi hanno un versante politico, ma dunque una stessa logica.

Monumenti, targhe, lapidi… evidentemente accendono conflitti assai più di edizioni di libri. La ricerca porta infatti a risultati immateriali e comunque soggetti a revisioni, accertamenti, critiche. Il marmo o il bronzo invece resta materialmente stabile, appare perenne alla vista dei contemporanei, definisce e stabilisce l’onore del ricordo. E dunque il negazionismo vi può esercitare materialmente i suoi riti violenti.

Storia non nuova: a Traù nel ’32 la scalpellatura aggressiva degli antichi simboli veneziani, i marmorei Leoni di San Marco, da parte di attivisti slavi, provocò interrogazioni in Senato da parte di Giovanni Gentile e Corrado Ricci; non parliamo di questo dopoguerra, dove alle foibe e agli annegamenti si aggiunse la distruzione materiale di ogni simbolo della presenza veneziana-italiana (che non risparmiò nemmeno a Sebenico il monumento al Tommaseo, lasciato erigere dagli austriaci nel 1896, distrutto con la dinamite dai titini nel 1945); in Croazia, dopo che nel 1929 le autorità italiane avevano rimosso da Pola il monumento al Tegetthoff vincitore dello scontro navale di Lissa che vide l’infausta prova della marina del neonato Regno d’Italia, è stato riprodotto e riposizionato quel monumento, ma senza i nomi italiani (veneti, triestini, dalmati) dei caduti e decorati della flotta austriaca. In questi ultimi anni, poi, a Marghera è stata trafugata la lapide infissa nel masso carsico a ricordo dei profughi e degli infoibati giuliano-dalmati; a Mantova nel giardino parimenti dedicato a infoibati e profughi è stata abbattuta la relativa intestazione marmorea; a Monfalcone in un già penoso insieme di pochi centimetri quadrati di massi comuni con pretesa d’essere un manufatto dedicato a quel ricordo, la relativa targa di plexigas è stata oscurata da diaframmi vari…

L’elenco è lungo, e si arricchisce in queste settimane. Al di là di un’eterogenesi di fini che porta questi gesti a sottrarre il ricordo all’appannamento della ritualità istituzionale, consta dunque che “quel” ricordo fa paura. Dopo gli interminabili decenni del silenzio opportunistico e ipocrita, quella paura, proprio per come si esprime, è il successo maggiore e più inatteso del “Giorno del ricordo”.

Dimenticavamo: nel Cimitero romano di Prima Porta il 22 settembre ’78, alla presenza di esponenti dei governi italiano e jugoslavo, fu inaugurato senza problemi né conseguenze il monumento ai partigiani titini.

Paolo Simoncelli su Avvenire del 6 febbraio 2013

 

 

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