«Quando un popolo individualista come il nostro perde la fiducia in se stesso e nelle istituzioni che lo reggono, l’immoralità diventa una forma di vivere civile e la mediocrità invade la cosa pubblica». Parole di Curzio Malaparte tratte da “La rivolta dei santi maledetti”. L’aforisma è contenuto nella pagina d’apertura di “Foibe, una tragedia annunciata. Il lungo addio italiano alla Venezia Giulia”, scritto da Vincenzo Maria de Luca, edito da Settimo Sigillo. L’autore non è uno storico rodato, ma un libero professionista che ama dilettarsi della materia, padroneggiandola però da vero intenditore. Ne è risultato un manuale agile, completo e usufruibile specialmente dai più giovani, le vere vittime dell’ostracismo in cui è stata condannata l’intera vicenda.
Per decenni infatti si è assistito a una damnatio memoriae degli avvenimenti narrati nel libro di de Luca. Vale a dire che dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale la parola d’ordine è stata chiara e categorica per chiunque: tutto quello che poteva solo richiamare la memoria delle imprese compiute dai “liberatori” slavocomunisti nella Venezia Giulia, in Istria e nella Dalmazia dal 1945 in poi andava rimosso o cancellato. E se proprio si era obbligati a trattare l’argomento l’imperativo era deformare, alterare, mistificare i fatti, se non negarli tout court. Il massacro di decine di migliaia di persone rastrellate un po’ ovunque per la regione, legate col filo spinato, passate per le armi e precipitate (a volte ancora vive!) nei profondi burroni disseminati per l’altopiano carsico. Le foibe, appunto. Il tutto al fine di alterare l’identità etnica, culturale e storica della provincia, che grazie all’aberrante sillogismo un italiano, un fascista si è ritrovata in breve tempo completamente slavizzata e pronta per essere gentilmente regalata al compagno Tito.
L’operazione di rimozione collettiva di quell’olocausto riuscì alla perfezione. Tanto che quando nel 1996 “Area”, rivista d’attualità politica, decise di pubblicare un “focus” sulle verità negate, e per l’argomento intraprese un monitoraggio mirato sui manuali di storia, il risultato fu sconcertante: se andava bene la parola “foibe” era completamente ignorata. Se andava male i massacri giuliano-dalmati risultavano opera dei nazisti. Al tentativo di rimettere in carreggiata verità e buon senso, i magliari autori delle veline di partito spacciate per trattati di storia si sollevarono inviperiti gridando al revisionismo, o a un rigurgito di fascismo: «Noi abbiamo detto il necessario», fu la scandalizzata giustificazione. L’importanza del libro di de Luca sta nella vastità del percorso storico offerto. Un percorso al termine del quale si ha una chiara idea dell’accaduto.
(fonte “Il Secolo d’Italia” 16 novembre 2012)