La legge sul Giorno del Ricordo fu approvata nel 2004 da una maggioranza vastissima del Parlamento, comprendente tutte le principali forze politiche, che fissò la data della celebrazione il 10 febbraio. Era il segno di una consapevolezza diffusa circa l’importanza che la tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata ha avuto nella nostra storia recente. Purtroppo però sulla memoria di quegli avvenimenti sorgono regolarmente polemiche animate da uno spirito di parte. All’uso strumentale che la destra tende a fare del dramma istriano, occultando le gravissime responsabilità pregresse del fascismo, corrisponde la propensione minimizzatrice presente in alcuni ambienti di sinistra, che stentano a riconoscere le conseguenze della politica annessionistica praticata dai partigiani comunisti jugoslavi di Tito al confine orientale dell’Italia.
Da ultimo l’Associazione nazionale dei partigiani (Anpi) ha preso duramente posizione contro la circolare inviata dal ministero dell’Interno per sollecitare la definizione di un quadro complessivo degli eventi in vista del 10 febbraio. Si ha l’impressione di assistere a un riflesso condizionato, come se il Giorno del Ricordo fosse in contrasto con i valori della Resistenza. Eppure tra le vittime della repressione jugoslava vi furono anche esponenti antifascisti, tanto che il Cln di Trieste dovette tornare in clandestinità durante l’occupazione della città da parte delle forze di Tito.
Le contrapposizioni pregiudiziali non giovano a nessuno, mentre sarebbe opportuno sottrarre argomenti così delicati al gioco scontato delle polemiche di giornata. Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha indicato la via da percorrere: il suo incontro nel 2020 a Trieste con l’allora presidente della Slovenia Borut Pahor vide il franco riconoscimento dei torti reciproci tra il nostro Paese e Lubiana. È su quella strada che occorre proseguire.
Antonio Carioti
Fonte: Corriere della Sera – 25/10/2023