Non poteva essere scelta personalità migliore di quella di Francesco Drenig per celebrare il ventennale del Trattato di tutela delle minoranze stipulato fra Roma e Zagabria: come titola la mostra a lui dedicata ed attualmente ospitata negli ambienti di pertinenza del Senato presso l’Istituto di Santa Maria in Aquiro in Piazza Capranica 72 a Roma, l’intellettuale fiumano rappresentò con le sue traduzioni “L’anello di congiunzione” in ambito letterario fra il mondo italico e quello balcanico.
All’inaugurazione della mostra venerdì 14 ottobre gli onori di casa sono stati fatti dal Senatore Aldo Di Biagio, il quale ha sottolineato la rilevanza dell’evento, al fine di far conoscere al di fuori dei consueti ambiti di frontiera dell’Alto Adriatico le fondamenta del dialogo interculturale italo-croato. Fiume, città che dette i natali a Drenig nel 1892, avrà modo di far conoscere quanto importante sia stata in questo dialogo grazie al ruolo di Capitale europea della cultura che rivestirà nel 2020. Al capoluogo quarnarino va riconosciuta non solo «la capacità di creare ponti in nome di una comunità adriatica – ha spiegato Di Biagio – ma anche quella di recuperare la sua storia nonostante la frattura costituita dall’Esodo avvenuto al termine della Seconda guerra mondiale: il conferimento all’esule Amleto Ballarini della massima onorificenza cittadina ha segnato un importantissimo passo avanti».
I successivi interventi sono stati preceduti da un’esibizione alla viola del Maestro Francesco Squarcia, il quale ha redatto un itinerario musicale capace di congiungere Roma (“Arrivederci Roma”) alla tradizione fiumana (“Una serata blu fiumana” e “Cantime Rita” impreziosita dai versi di “Immensamente” del maratoneta Abdon Pamich, presente in sala) passando per il motivo de “La gazza ladra” del pesarese Gioacchino Rossini.
Pure l’Ambasciatore della Repubblica di Croazia in Italia Damir Grubiša ha fatto riferimento alla targa conferita a Ballarini, Presidente della Società di Studi Fiumani di Roma, definendola un «ricongiungimento simbolico» a suggello del ventennale dell’accordo Dini – Granić, il quale ha assicurato la reciprocità di tutela fra le minoranze. D’altro canto la feluca ha ricordato che in Italia vi sono circa 65.000 croati di prima o di seconda generazione, una radicata comunità in Molise ed 80 parlamentari fanno parte dell’associazione di amicizia italo-croata. Analogamente, 21.000 cittadini croati si dichiarano italiani, 27.000 possiedono il doppio passaporto e l’Unione degli Italiani annovera 50.000 soci: la casa editrice Edit ed il Dramma italiano di Fiume rappresentano punti di riferimento culturali di altro livello. Ma la sinergia italo-croata è destinata a prosperare: «Recentemente – ha illustrato Grubiša – è entrato in vigore il protocollo esecutivo di collaborazione culturale e nell’ambito della ricerca ed avranno luogo la Settimana della cultura croata in Italia e la Settimana della cultura italiana in Croazia. “Il porto della varietà” sarà il motto di Fiume 2020 all’insegna della multiculturalità e dell’interculturalità, ma questa mostra suggerisce anche i nomi dei fiumani continuatori dell’opera di congiunzione attuata da Drenig: Alessandro Damiani, Giacomo Scotti e Diego Zandel». Quest’ultimo, presente in sala, è successivamente intervenuto per segnalare come in effetti si stia già adoperando grazie ad una piccola casa editrice che nella collana Oltreconfine presenta traduzioni di autori croati contemporanei.
La figura di Drenig è stata quindi ben delineata nel documentario curato dal Direttore del Museo della Città di Fiume Ervin Dubrović, il quale ha rilevato innanzitutto la capacità del ragioniere Drenig di ergersi a punto di riferimento letterario nei rapporti letterari italo-slavi nel tumultuoso periodo fra le due guerre mondiali. Di padre sloveno e di madre croata, il giovane Francesco sposò tuttavia la causa dell’italianità, prendendo parte addirittura ad un attentato contro la residenza del governatore asburgico; soldato austro-ungarico sul fronte di Galizia, fu poi riconosciuto da Gabriele d’Annunzio come “valoroso e tenace propagandista” della causa italiana a Fiume, ma dopo la conclusione dell’esperienza dannunziana Drenig auspicò che il capoluogo del Quarnaro non fosse pomo della discordia, bensì anello di congiunzione. In rapporto epistolare con Piero Gobetti, del quale ammirava il coraggioso antifascismo, operò anche con lo pseudonimo di Bruno Neri e promosse riviste fondamentali per presentare al pubblico italiano il panorama letterario jugoslavo e balcanico, come Termini, Delta e Fiumanella: la sua volontà di conservare la cittadinanza italiana fece sì che anche la famiglia Drenig partecipasse all’esodo che interessò la quasi totalità della comunità italiana locale.
La sinergia che intercorre tra la comunità fiumana in esilio e l’attuale Rijeka/Fiume è stata ricordata dal Presidente della Società di Studi Fiumani Amleto Ballarini, che ha poi ben tratteggiato l’ambiente culturale in cui si formò Drenig: «Nella Fiume della sua infanzia vi erano consolati di tutto il mondo e facevano scalo navi provenienti da tutte le rotte – ha affermato Ballarini – non c’era chiusura provinciale tanto che Drenig venne a contatto con influenze futuriste. Patriota intriso di ideali mazziniani, forieri quindi di un messaggio di fratellanza fra popoli oppressi, visse da vicino l’esperienza della Reggenza Italiana del Carnaro, la cui Carta, auspicando l’uguaglianza fra italiani e minoranze ma anche fra uomini e donne era in anticipo sui tempi». Artista, poeta e fotografo, Drenig fondò riviste cosmopolite aperte verso le culture slave: le sue pubblicazioni bilingui fecero conoscere in Italia personalità come Ivo Andrić e d’altro canto tradusse Montale, Palazzeschi e Malaparte, diventando così un sincero mediatore culturale dalla sensibilità europea.
Sulla medesima lunghezza d’onda l’intervento di Marino Micich, direttore del Museo Archivio Storico di Fiume con sede al Quartiere Giuliano-Dalmata di Roma, che ha inoltre ricordato come sia stato Neri Drenig, figlio di Francesco, a consentire il primo contatto fra le istituzioni fiumane in esilio ed il prof. Dubrović. L’avvio non è stato semplice, ma ormai il connubio è prospero e destinato a ulteriori sviluppi, tanto più che il museo fiumano capitolino possiede documenti e reperti importantissimi per ricostruire la storia liburnica.
Presenti in sala anche l’Ambasciatore della Bosnia-Erzegovina in Italia ed il Senatore Lucio Toth, storica figura dell’associazionismo degli esuli, che ha riconosciuto i grandi meriti di Amleto Ballarini nell’avviare il dialogo esuli-rimasti quando gran parte del mondo della diaspora appariva quanto meno diffidente: «Questo convegno – ha concluso Toth – e la mostra dimostrano l’importanza della cultura nella ricomposizione dell’antica frattura e la figura di Drenig costituisce un prisma in cui si riverbera la pluralità delle terre dell’Alto Adriatico».
Lorenzo Salimbeni