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Fuga dall’Ucraina fino a Trieste ai tempi di Stalin (Il Piccolo 19 mag)

Maria Porcelli è nata a Trieste nel giugno del 1943, alla vigilia dell’occupazione nazista. Per puro caso, perché i suoi genitori, Antonio e Isabellina, originari della Puglia, erano fuggiti dall’Ucraina, dove vivevano da decenni con la famiglia in condizioni agiate, sotto la pressione dei sovietici. Sua sorella Vittoria, di otto anni più vecchia, è invece nata proprio lì, nella città Kerch, tra il Mar d’Azov e il Mar Nero. Anche Domenico Di Pinto, 74 anni, residente a Trieste dal 1937, è nato a Kerch, e anche i suoi genitori si fermarono a Trieste durante la fuga dall’Ucraina. Ma queste di Maria Porcelli e Domenico Di Pinto sono solo due delle centinaia di storie che riguardano uno degli eccidi meno ricordati della storia: la strage e la deportazione degli italiani di Crimea ad opera del regime sovietico. Una memoria letteralmente cancellata rievocata ieri a èStoria in un incontro alla Tenda Apih da Giulia Giacchetti Boiko, presidente di Cerkio, la Comunità degli emigrati italiani in Crimea, Giulio Vignoli, curatore del libro “Gli italiani di Crimea” e una rappresentanza della comunità triestina di profughi della Crimea, tra cui appunto Maria Porcelli e Domenico Di Pinto. A coordinare l’incontro Stefano Mensurati, vicedirettore del Gr1 Rai, che si sta adoperando in prima persona per trovare una soluzione alla richiesta per l’ottenimento dello status di minoranza etnica deportata da parte dei circa 350 discendenti da quegli emigrati – in gran parte pugliesi – che tra il 1830 e il 1870 lasciarono l’Adriatico per raggiungere il villaggio di Kerch. Quasi tutti erano riusciti lavorando sodo a raggiungere un buon tenore di vita, ma nel 1942 l’avanzata dell’esercito tedesco spinse le truppe staliniste a deportare in Kazakistan e Uzbekistan tutti gli italiani, accusati di collaborazionismo. Molti fuggirono e tornarono in Italia dopo aver perso tutto, molti altri, tra i deportati, terminata la guerra sono rientrati in Crimea anche loro senza più nulla. «Oggi in Crimea – spiega Giulia Giacchetti Boiko, 45 anni, che ha direttamente vissuto in famiglia le sofferenze delle persecuzioni e della deportazione – gli italiani non sono ancora stati inseriti nella lista delle minoranze etniche deportate, ma noi chiediamo con forza questo riconoscimento, e cerchiamo l’appoggio anche del governo italiano per un disegno di legge al parlamento ucraino che ci porterebbe benefici quali l’aumento delle pensioni più basse, sconti per le cure mediche, sussidi per gli anziani». «Finora dalle istituzioni – ha spiegato Mensurati – sono arrivate risposte evasive, anche perché mancano i documenti, distrutti durante le deportazioni, che comprovino l’origine etnica della comunità». In quanto alla comunità di profughi di Crimea che vivono a Trieste, «ormai contando tutti i discendenti siamo diverse decine», spiega Di Pinto, il cui padre, come molti altri tra quelli rifugiati a Trieste, aveva lavorato alla Fabbrica Macchine Sant’Andrea e nei cantieri navali.

 

Pietro Spirito

“Il Piccolo” 19 maggio 2012

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