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Fulvio Monai: retrospettiva a Gorizia (CDM 09 nov)

Una rappresentazione dei percorsi artistici attraversati da Fulvio Monai, pittore istriano trasferitosi a Gorizia nel 1947, è stata recentemente presentata alla Biblioteca statale isontina del capoluogo isontino, in occasione della retrospettiva che verrà ufficialmente inaugurata oggi nella stessa sede di via Mameli.

«Le opere, appartenenti alla famiglia, e le sei incisioni provenienti dagli archivi della Biblioteca stessa, sono segno tangibile di un’evoluzione artistica che si muove sulla scia delle avanguardie. La sua inclinazione parte dalla passione per i paesaggi, rievocativi di luoghi a lui cari come l’Istria e il Carso, ai richiami successivamente più informali, dove comunque mai apparirà la figura umana», ha spiegato la curatrice dell’esposizione, Marianna Accerboni.

Monai (Pola 1921-Gorizia, 1999) è stato ricordato dai presenti come un uomo schivo e riservato, ma ben inserito nell’ambiente intellettuale giuliano. Alla conferenza stampa, alla quale ha partecipato anche il direttore della Bsi, Marco Menato, Sergio Monai ha infatti citato le visite del padre allo scrittore gradese Biagio Marin, l’attenzione di personaggi del calibro di Max Fabiani in occasione della sua prima mostra, le collaborazioni con Anton Zoran Music e l’amicizia con Marco Pozzetto.

Parte di questi contatti è stata raccolta e qui proposta nelle teche presenti nel contesto espositivo, che da lunedì mostreranno dei carteggi inediti di Monai uomo, giornalista e animatore culturale, compresi quelli con Marin (dal ’76 all’86), il cui rapporto si dimostra negli anni sempre più intenso, e con il conterraneo Fulvio Tomizza. Le carte, il cui inventario è stato curato da Antonella Gallarotti, provengono dall’archivio donato dalla famiglia alla Biblioteca e verranno successivamente pubblicate sulla rivista Studi goriziani.

L’esposizione si completa con la cura della catalogazione sotto il profilo tecnico. Verranno infatti proposti un’ampia sequenza di oli e di disegni eseguiti a carboncino in bianco e nero e delle grafiche con particolare attenzione all’acquaforte, tecnica incisoria fra le sue preferite accanto alla linoleumgrafia. Fulvio Monai fu molte cose.

“Animo fine, intelletto razionale e profondo” è la definizione data da Accerboni, che nella presentazione del pittore ha poi aggiunto- Monai si è dedicato con equilibrio e passione, nel corso di tutta la sua esistenza, alla narrazione della temperie culturale a lui coeva, lasciandoci in eredità un quadro oggettivo e intenso del milieu goriziano, isontino, istriano e regionale del secondo novecento: come se osservasse da quest’angolo di mondo del Nord Est il proiettarsi della nostra cultura in ambito italiano ed europeo, grazie anche al diffuso e allora nascente concetto di Mitteleuropa. Ma se dalle pagine de Il Piccolo, di Iniziativa isontina e di altre pubblicazioni di prestigio anche di livello nazionale, cui Monai collaborò intensamente, scaturiva la sua voce critica e narrante, acuta, pacata e nel contempo appassionata, un’altro racconto, in un certo senso più intimo e soggettivo, sgorgava dal pennello di questo artista e intellettuale, che fu a Gorizia una delle figure di maggiore riferimento della vita culturale della sua epoca.

Seguendo a latere, in modo indipendente e originale – prosegue il critico – l’evoluzione del linguaggio artistico d’avanguardia a lui contemporaneo, Monai maturò, dai primi anni quaranta alla fine del novecento, un idioma pittorico intenso ma insieme delicato, che lascia spazio e adito all’interpretazione lirica e onirica della natura e della realtà, sottolineandone e reperendone i valori di bellezza e spiritualità. Una ricerca – anche se l’autore non amava questo termine – che prese avvio negli anni della giovinezza, dal 1945 al ’51, attraverso l’analisi e la composizione del paesaggio, rarissimamente popolato di presenze umane, in campiture cromatiche e di luce nette, declinate prima su faesite preparata con cementite e poi su tela.

Un’analisi – conclude Accerboni – che, dopo gli anni cinquanta, si fa sintesi ed evidenzia progressivamente il dato luministico nel racconto del paesaggio naturale, il quale prende il posto di quello urbano: il Carso e l’amatissima Istria, abbandonata nel ’47, sono reinterpretati quasi da lontano. E in essi, dagli anni settanta in poi, soffusi, incantati bagliori di luce evidenziano un traguardo raggiunto attraverso un percorso condotto dagli esiti dell’impressionismo alla soglia dell’informale, nel cui ambito l’uso delle macchie di colore (in francese tache) sfiora il tachisme sperimentato da Monet nella tarda maturità e l’atmosfera sfumata e luminosa guarda alla modernità di William Turner.

Pittore, saggista, critico, giornalista ed educatore, visse a Gorizia fino alla morte, avvenuta nel ’99. Iniziò l’attività artistica a Pola nel ’41, esponendo per la prima volta nel ’45. Da allora prese parte a numerose mostre in Italia e all’estero (Svizzera, Austria, Finlandia, Australia, Unione Sovietica, Canada e Turchia).

Ha pubblicato i libri Istria ritrovata e Immagini e incontri, ha scritto saggi per volumi e riviste e tenuto conferenze su temi d’arte. Ha operato nei comitati di redazione di Studi goriziani e Iniziativa isontina, nel consiglio direttivo del Centro friulano arti plastiche e nella Commissione diocesana per l’arte sacra di Gorizia. Ha curato l’organizzazione della Mostra del collezionista, di alcune mostre antologiche e delle Biennali dei Giovani a Gorizia. È stato socio fondatore dell’Associazione provinciale artisti isontini.

Ha allestito personali anche in Friuli Venezia Giulia, così come a Venezia, Milano, Roma e in Slovenia, compiuto viaggi di studio in Francia, Spagna e Grecia e partecipato, con interventi e scritti, ai convegni dell’Istituto per gli incontri culturali mitteleuropei e della rivista istriana La Battana. Sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.

Emanuela Masseria

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