Un calo numerico sicuramente preoccupante, quello degli appartenenti alla Comunità nazionale italiana al censimento del 2011, perché si aggiunge anche alla flessione già registrata al rilevamento della popolazione del 2001. Lo sottolinea, nel suo primo commento a caldo sui risultati del censimento, il presidente dell’Unione Italiana e deputato della CNI al Sabor, Furio Radin, che rileva l’esigenza di prendere in considerazione sia l’esito del rilevamento per quanto concerne gli italiani, sia per quanto riguarda le comunità nazionali nel loro insieme in Croazia.
Negli ultimi vent’anni – evidenzia l’on. Radin – è venuto a mancare all’appello un italiano su sei. Le ragioni sono molteplici. Alcune sono di carattere esclusivamente demografico. Siamo infatti una comunità anziana e in quanto tale la flessione va vista in un ambito globale. Il calo è preoccupante anche in quanto tale perché sembrerebbe essere un nostro difetto irrecuperabile.
D’altro canto però bisogna parlare pure dei matrimoni misti, pur non disponendo di dati accurati. Stando a una ricerca effettuata nel 1970 erano attorno al 70 p.c. Ora saranno tra l’80 e il 90 p.c. Sono ormai rari i matrimoni tra due connazionali.
Nei matrimoni misti è chiaro che i figli tendono ad avere l’identità nazionale del padre oppure quella della madre. Ritengo quindi che le ragioni fin qui esposte siano presenti e importanti, ma sottolineandole eccessivamente potrebbe sembrare che il problema sia irresolubile. La flessione diviene però un fattore politicamente significativo quando si considera anche il calo demografico delle altre minoranze. Innanzitutto dei serbi, di cui si diceva che fosse in atto un efficace processo di rientro alle proprie case dopo l’esodo degli anni Novanta. Ma invece di un aumento del numero degli appartenenti derivante dal ritorno in Croazia dei profughi si registra comunque una flessione.
Inoltre tutte le altre comunità nazionali storiche registrano pure una diminuzione del numero dei loro appartenenti. Gli unici che segnalano un incremento demografico sono i bosgnacchi, i rom e gli albanesi. Quello dei bosgnacchi però è un aumento virtuale, nel senso che finora erano divisi in due tronconi, bosgnacchi e musulmani. Essendo sparita nel frattempo la categoria nazionale dei musulmani, quelli che si dichiaravano in tal modo secondo la prassi in vigore nell’ex Jugoslavia, ora si identificano come bosgnacchi.
Si nota inoltre un aumento consistente del numero dei rom e degli albanesi. Ma questo va ricondotto al numero dei figli e al fatto che forse in precedenza non ritenevano opportuno dichiarare apertamente la loro appartenenza nazionale. L’elemento di fondo è che sono in calo le etnie storiche e questo crea indubbiamente un problema politico, rileva sempre Radin.
Al di là dei proclami e delle dichiarazioni ufficiali, stando alle quali gli standard e le leggi croate in materia di tutela delle comunità nazionali sono i migliori in Europa se non nel mondo, nella prassi si vede che questa è ancora una regione (e il riferimento qui è all’ex Jugoslavia) in cui l’identità nazionale resta un problema. Come del resto è stato per tutto il ventesimo secolo, causando tragedie su tragedie. Interessante rilevare, a sostegno di questa tesi, che dal 1945 a oggi mancano all’appello un milione di appartenenti a quelle che sono oggi comunità minoritarie in Croazia, sommando italiani, tedeschi e serbi. Questo la dice lunga su quanto un paese di quattro milioni e rotti di abitanti abbia perso in fatto di ricchezza culturale, linguistica e in ultima analisi pure economica.
Oggi sono diversi gli intellettuali croati che si rendono conto di tale perdita. E tutto questo che fa sì che il problema assuma connotati politici, sottolinea il deputato. Per quanto concerne gli italiani, la flessione maggiore si registra in Istria, mentre è molto più contenuta nella Regione litoraneo-montana. La flessione più marcata in ambito istriano è quella nell’ex zona B. Uno dei fattori che determinano il nostro calo demografico è dunque rappresentato anche dal trasferimento di connazionali in Italia per ragioni di lavoro. La fascia confinaria è chiaramente quella più interessata da questo fenomeno. Secondo me questa è stata una ragione pure del calo degli italiani nel 2001. Indubbiamente è ancora preoccupante il fatto che ad andare in Italia siano i giovani.
Queste cose non vanno dette per cercare giustificazioni, ma per creare i presupposti per rendere questo problema evidente. Se una causa della flessione, quella dell’alto tasso di anzianità della popolazione italiana, non presenta antidoti, alle altre si potrebbe porre rimedio con una buona politica economica e con una politica migliore in genere nei confronti del problema nazionale.
Infine va sottolineata la valenza positiva del fatto che si registrano al censimento 25mila dichiarati istriani. Va tenuto conto che la dichiarazione nazionale di tipo regionale non stava nel tabellino del rilevamento: il censito doveva insistere perché fosse inserita dal rilevatore. Gli istriani, tra tutte le identificazioni, sono sicuramente quella più filoitaliana e di questo non possiamo che essere contenti, anche se una piccola parte probabilmente proviene dal nostro tessuto minoritario.
Salutiamo pure i 705 dichiarati dalmati, perché le identità regionali per noi sono importanti.
Va detto ancora che va fatta un’analisi accurata dei risultati per trovare rimedi al calo demografico. Nel 1991 eravamo passati da 11mila a 21mila. Oggi paradossalmente siamo ritornati molto vicini al numero degli italiani censiti al rilevamento del 1971, conclude Furio Radin.
Dario Saftich
“la Voce del Popolo” 18 dicembre 2012