TRIESTE Sono circa 10mila, secondo una stima dell’Università di Trieste, i migranti frontalieri che quotidianamente si muovono da Slovenia e Croazia per venire a lavorare in Friuli Venezia Giulia: un numero significativo su un mercato del lavoro locale come quello della nostra regione, che colpisce ancora di più se si considera che il Friuli Venezia Giulia è l’unica area italiana di confine che presenta un flusso di lavoratori frontalieri in entrata anziché in uscita. Ma in tanti settori, come l’edilizia, la cantieristica e la sanità, i frontalieri sono ancora dei lavoratori “invisibili”: costretti a lavorare in nero perché non ci sono le norme che consentono ai datori di lavoro di regolarizzarli. Dei problemi connessi con la mobilità dei lavoratori nelle aree di frontiera si è discusso ieri a Trieste nel corso di un seminario organizzato da Cgil, Cisl e Uil nell’ambito del progetto sostenuto dalla Confederazione europea dei sindacati. «Le difficoltà connesse alla mobilità lavorativa transfrontaliera sono di tre tipi – spiega Michele Berti, responsabile del dipartimento internazionale Uil Fvg-: fiscali, previdenziali e, per i lavoratori croati, legate alla legge Bossi-Fini. Per quanto riguarda il fisco c’è il problema ancora irrisolto della doppia imposizione sul reddito da lavoro dipendente. Manca poi il riconoscimento dell’indennità di mobilità ai lavoratori frontalieri sloveni e austriaci impiegati in Italia, che vengono considerati dall’Inps come residenti all’estero nonostante la Corte di Giustizia europea equipari i lavoratori stanziali e frontalieri. Per la Croazia, che non è ancora entrata nell’Ue c’è inoltre un problema legato alla Bossi-Fini: i governi italiano e croato non hanno ancora sottoscritto un accordo internazionale sul lavoro frontaliero che preveda parziali deroghe a questa legge, perciò i lavoratori croati, non comunitari, sono costretti a rimanere irregolari o a dichiarare un domicilio in Italia spesso fittizio. Comunque fra un anno, con l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, la questione sarà superata». «I transfrontalieri sono lavoratori invisibili – rincara la dose Dušan Semolic, presidente del sindacato sloveno Zsss -: non si sa quanti siano, perché il lavoro in nero va per la maggiore, eppure hanno un ruolo fondamentale per l’economia slovena. In Slovenia si assiste allo stesso fenomeno con i lavoratori croati, che con l’ingresso della Slovenia nell’Ue sono aumentati». Ma quanto è servito l’ingresso nell’Ue di Lubiana per risolvere i problemi di mobilità transfrontaliera? Ben poco, stando a Peter Majcen, segretario generale del sindacato sloveno Ks 90: «Parecchi anni dopo l’ingresso della Slovenia nell’Ue i problemi sono sempre gli stessi e non si è ancora trovato un rimedio. Si è fatto tanto per liberalizzare la circolazione di capitali e merci, ma la mobilità delle persone viene sempre messa all’ultimo posto».
Giulia Basso