Povera la mia Istria?” si chiede Giani Stuparich nel romanzo “L’isola” nel quale racconta il viaggio a Lussino con suo padre. Ed elenca i prodotti che arrivavano a casa sua con i loro profumi, la fragranza, la freschezza, sapori autentici e pieni di storia che esaltavano le papille ma muovevano anche la fantasia. Anche in queste descrizioni Stuparich precorreva i tempi, così come nei suoi scritti sulla Prima guerra mondiale o nel libro dei ricordi. Chi ha il dono di vedere lontano, spesso non viene capito dal suo tempo ma il messaggio “in bottiglia” viaggia ad incontrare i posteri.
Sono considerazioni emerse dal convegno organizzato a Trieste dalla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Trieste e dall’IRCI. Una due giorni con decine di interventi di studiosi provenienti dalle altre università italiane e dal resto del mondo per una riflessione a livello internazionale sull’opera dell’autore triestino. Il tutto in questo 2011 che segna due ricorrenze, della sua nascita nel 1891 e della sua scomparsa nel 1961.
In prima fila la figlia Giovanna, novantaduenne, a ricordare gli insegnamenti del padre, la nipote Giusi Criscione vissuta con questa figura incombente del nonno, una sfida dura ed affascinante che ha segnato alfine un percorso di successo. A salutare il numeroso pubblico che ha affrontato una giornata di bora scura per non mancare all’appuntamento, il Presidente dell’IRCI, prof. Lucio Delcaro, la presidente della Provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat e l’Assessore alla Cultura del Comune di Trieste, Andrea Mariani.
Uniti, idealmente, ad un autore che fuori Trieste è poco, o per niente conosciuto, ma che qui, in questa terra di confini e divisioni, di mare e pietre urlanti, vanta un costante e mai sopito interesse per la sua opera. Ai coordinatori del convegno scientifico, Proff. Giorgio Baroni e Cristina Benussi, il plauso di autorità e partecipanti.
Testimone della realtà letteraria del ’900
“Quando abbiamo chiesto di aderire al convegno – dichiara il prof. Baroni – accanto ai sessanta che hanno risposto affermativamente, ce n’erano tanti altri che avrebbero voluto aderire ma che non disponevano di fonti adeguate ad affrontare uno studio approfondito. Il che sta a significare la necessità di proporre un’azione nazionale per dare a Stuparich il ruolo che gli spetta quale testimone della realtà letteraria del Novecento triestino ed italiano con ristampa della sua opera integrale. Dal convegno emergono modelli di grande attualità: per esempio la sua dimensione profondamente cristiana in una città laica come Trieste. Ma la sua è una religiosità che si manifesta nei principi e nel rapporto con l’altro. Di profonda pietas nel dolore della trincea ma anche nella volontà di donarsi per giusti ideali. Tra qualche mese, quando – lo prometto – vedranno la luce gli atti di questo convegno, ci sarà un ulteriore veicolo di dibattito e conoscenza dell’autore che reputo fondamentale per comprendere il Novecento”.
L’uomo che in trincea si portava nella borsa i libri di Mazzini e Dante, ha tanto da insegnare. “Per alcuni anni, è stato anche mio professore – ricorda la figlia Giovanna – mi concedeva un unico privilegio: non mi dava del lei e mi chiamava per nome davanti ai miei compagni. E’ stato un maestro moderno, un uomo eccezionale”. Potrebbe sembrare banale, ma parlarne oggi, significa puntare il dito verso quella mancanza di valori che impoverisce il presente.
“Non a caso – afferma la Prof.ssa Benussi – abbiamo voluto proporre Stuparich in tutti i suoi aspetti letterari in continua evoluzione, tanto da distinguere un prima e un dopo la guerra. Importante il suo rifiuto dell’omologazione, per cui centrale rimangono le sorti dell’individuo, ma anche il mito del dovere. Come Slataper, anche Stuparich è un federalista per cui abbraccia un territorio vasto che si riconosce nella cultura e nella lingua. Per raccontarlo si serve della memoria attraverso la quale cerca di costruire”.
Iniziativa atta a riscoprire gli autori dell’epoca
Al successo del convegno ha contribuito anche il “contenitore”, vale a dire l’edificio che ospita l’IRCI e diventerà il Civico Museo della Civiltà Istriana, Fiumana e Dalmata. Per diversi motivi. Le relazioni sono state presentate in diverse sale, adiacenti a quelle museali che ospitano allestimento provvisori che anticipano il concetto del Museo stesso, vale a dire un viaggio attraverso usi, costumi, tradizioni, lingua, la quotidianità di un mondo dissolto ma ancora pieno di richiami e di insegnamenti. Mentre si parla di Stuparich, la mostra su Nera Hreglich, donna lussignana, racconta di capitani di lungo corso e di donne, forti e volitive, in grado di tramandare il culto della famiglia, con forza e determinazione. Ma ci sono anche le altre donne nella mostra curata da Giusi Criscione e poi, non ultime per importanza, le mostre dell’IRCI, curate da Piero Delbello e Roberto Starez sulla cultura materiale in Istria attraverso il racconto suggerito dalle masserizie si è svolto in varie.
“L’apporta dell’IRCI – afferma la prof.ssa Benussi – è stato fondamentale e continua un’operazione di riscoperta dei nostri autori, già collaborata con Quarantotti Gambini. Questa interazione tra letteratura e collezioni museali rappresenta un unicum che lascia negli studiosi delle varie università italiane ed estere, una sensazione di perfetta interazione tra lo studio sulle fonti archivistiche e il chiaro riferimento alla quotidianità dell’epoca. L’atmosfera è perfetta”.
A partire dalla sala in cui il convegno è stato inaugurato nella quale sono esposte le immagini fotografiche delle opere custodite nel vicino Museo Sartorio. “Il nostro sogno – ha sottolineato Piero Delbello, direttore dell’IRCI, nel suo saluto ad ospiti e partecipanti – è che quelle opere provenienti dalle chiese di Capodistria, Isola e Pirano, restaurate con il contributo del MIBAC, trovino definitiva collocazione proprio in questa sala”. Sembra una piazza istriana con i balconi che s’affacciano dalle sale superiori.
Uno degli illustri assenti nei libri di scuola
Ma perché, è la domanda che aleggia al convegno, Stuparich è poco presente nei libri si scuola? Il discorso vale per molti altri autori della letteratura novecentesca. Qualche anno fa al Ministero s’era stabilito che l’ultimo anno della scuola secondaria fosse dedicato interamente allo studio del secolo XX, ma la direttiva è rimasta prevalentemente inapplicata. E Stuparich è una delle tante vittime illustri dell’incapacità della scuola italiana di affrontare la contemporaneità.
“E’ vero – afferma la prof.ssa Elis Deghenghi Oluic, unico rappresentante dell’Università di Pola, al convegno – mi sono accorta che di Stuparich si sa veramente poco. Nel preparare il mio intervento al convegno, ho sfogliato diverse antologie proprio per verificare questo dato. E risulta proprio questa assenza. Anch’io lo sto riscoprendo nella consapevolezza che c’è una Trieste di carta che è incredibilmente interessante e che, a mio avviso, si studia troppo poco. In questi volumi ne esce una dimensione di diversità giustamente esibita che non si riscontra in nessun’altra città italiana e che ne rafforza l’identità e che determina il livello dell’insegnamento che può dare agli altri”.
Lo scoppio della guerra, nel 1914, aveva rappresentato per Stuparich una sconfitta, il crollo degli ideali coltivati fino allora, di cooperazione spontanea dei popoli verso un obiettivo comune di civile convivenza. Tuttavia, dopo l’inizio del conflitto europeo, anch’egli si era convinto – come Slataper e altri rappresentanti dell’interventismo democratico – che ormai l’unica possibilità perché gli italiani della Venezia Giulia vedessero riconosciute le loro aspirazioni nazionali era che l’Italia dichiarasse guerra all’Austria, a fianco dell’Intesa. Aderì alla guerra come a una necessità, pur rilevando la contraddizione irrisolta esistente tra i suoi ideali liberal-democratici e le aspirazioni nazionali che ormai potevano trovare soddisfazione solo in quel modo violento. Da qui la sua sofferenza e l’impulso a continuare a scrivere, per dare ragione e merito ad una sofferenza che continua a pesare sulla storia e nell’animo della gente. Da leggere e rileggere quindi “Colloqui con mio fratello” e “Guerra del ’15”, “Ritorneranno”, per il quale lo scrittore fu fatto oggetto di una campagna di stampa, dalla quale derivò anche l’episodio dell’arresto da parte delle SS tedesche e dell’imprigionamento nella Risiera di San Sabba. “L’isola”, considerato un gioiello, per la capacità dello scrittore di condensare nella dimensione del racconto una grande ricchezza di motivi, affrontati con felice semplicità e linearità di stile. E poi “Trieste nei miei ricordi”, un testo nel quale si intrecciano memorialistica e saggistica storica e filosofica, analisi della realtà e scavo interiore.
Dal 1932 al 1961, l’anno della morte, pubblicò una mole considerevole di scritti, alcune centinaia di pezzi, che recentemente sono stati editi – in parte – in due volumetti antologici da Sandra Arosio, che in tal modo ha salvato dall’oblio questi scritti. La stessa ansia comunicativa è percepibile nelle conversazioni radiofoniche di Stuparich, anch’esse molto numerose e pubblicate in minima parte, che sono un terreno ancora tutto da esplorare da parte degli studiosi.
Rosanna Turcinovich Giuricin
“La Voce del Popolo” 22 ottobre 2011