Rispetto per il Giorno del Ricordo
Il Giorno del Ricordo 2007 segna il 60° anniversario del trattato di
pace dal quale derivò l’esodo, a più ondate e nelle più diverse e
comunque sempre tragiche circostanze, della popolazione italiana
autoctona dai territori ceduti alla Jugoslavia. Un esodo senza tutele –
se non quelle minime da Pola – senza quelle tutele che oggi si invocano
giustamente in simili circostanze, ancorché spesso assenti, e sotto la
minaccia più odiosa, essendo ridotti ad una condizione di totale,
annichilente inferiorità. Nulla è infatti più odioso della costrizione
che obbliga l’individuo libero e responsabile ad atti contrari alla sua
libera facoltà di scelta, al suo maturo agire.
Nel 1997, ancora lontano il raggiungimento di un Giorno del
Ricordo condiviso da tutta la Nazione, votato pressoché unanimemente dal
Parlamento, l’ANVGD volle commemorare il cinquantesimo dell’esodo con
una solenne celebrazione religiosa – officiata da padre Rocchi – alla
quale erano presenti le rappresentanze di tutte le comunità esuli in
Italia.
Dieci anni dopo Trieste accoglie esuli, rappresentanti
istituzionali e politici nella sua cornice che vide passare, con
disperazione ma anche con volenterosa speranza, migliaia di profughi, di
scampati sorpresi, appunto, di essersi sottratti al male. Perché dal
male fuggivano. Non è retorica, questa: intorno all’evento storico
dell’esodo dalla Venezia Giulia e dalla Dalmazia si addensano decine e
decine di migliaia di vite interrotte e riprese, di esistenze spentesi
nella delusione per il volgere della storia che macina gli individui e
riacutizza il tormento corrosivo della perdita. Le sentiamo tutte,
queste vite.
Il Giorno del Ricordo, maturato un decennio dopo quella
manifestazione romana, è perciò un bene prezioso; non porta un
indennizzo materiale – al quale beninteso gli esuli hanno diritto – ma
ha un significato morale, storico e politico enorme. Per altro verso, il
10 Febbraio non deve fornire motivo di retorica improduttiva e
regressiva. La legge che lo dichiara segna un punto fondamentale a
favore dell’onesta interpretazione degli eventi e delle loro
concatenazioni, strappati finalmente alle opposte strumentalizzazioni
che per decenni hanno gravemente nociuto alla conoscenza, presso
l’opinione pubblica nazionale, di quanto accaduto ai confini orientali.
Che alla dichiarazione di princìpio contenuta nella legge sul
Giorno del Ricordo debba seguire un costante e vigile impegno di
attenzione è confermato da alcune iniziative annunciate, di cui si
apprende notizia in questi giorni. Iniziative che, dietro l’etichetta,
celano un evidente intento settario e fondamentalmente negazionista, e
che propongono letture e accostamenti impropri per indebolire la
legittimità del ricordo stesso, per ancorarlo – di nuovo, nonostante
l’evoluzione della storia e delle idee – a schemi interpretativi faziosi
e avvelenati. L’emarginazione, in Italia, della vicenda degli esuli
dalle province orientali è nata proprio dalla riduzione in cattività
della loro storia, tirata da opposti contendenti che in varia misura
ancora oggi aspirano ad esercitare, da una parte, il diritto al
monopolio, e dall’altra mirano alla demolizione di una memoria antica in
nome di un nazionalcomunismo ideologicamente ripugnante. Entrambi
guardano al Giorno del Ricordo come ad una conferma di tesi e posizioni
politiche superate, e che per nulla vanno alimentate.
La commemorazione di Trieste, sulla quale converge l’attenzione
dei media e dell’opinione pubblica, deve fornire – così come è accaduto
a Torino nel 2005 – l’occasione per ribadire l’integrità della memoria e
il rifiuto di arretramenti ideologici e storiografici. Le teorie
totalitarie del Novecento e i loro strascichi contemporanei hanno
utilizzato e penalizzato la storia: il lavoro che ha preceduto la
promulgazione della legge sul 10 Febbraio è durato anni ed è stato
improbo proprio a causa di quei condizionamenti incancreniti. Ora, il
dettato della legge va rispettato, e tocca agli esuli vigilare con
equilibrio sulle appropriazioni indebite come sulla denigrazione che li
offende nei sentimenti e nel ricordo di quella antica, mai dimenticata
costrizione.
Patrizia C. Hansen